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N. 73 - Gennaio 2014 (CIV)

RICORDO DI UNA TRAGEDIA
PORTOPALO E UN NAUFRAGIO DISCUSSO

di Christian Vannozzi

 

La speranza a volte può infrangersi contro gli scogli e disperdersi in mare aperto, laddove le grida non possono essere sentite a causa del rumore delle onde e dove tonnellate d’acqua seppelliscono ogni sogno.

 

È in questo scenario surreale che prese vita uno degli eventi più drammatici della storia del Mediterraneo che si consumò nelle vicinanze del nostro Paese, e precisamente nelle acque che bagnano le coste della provincia di Siracusa, presso Portopalo di Capo Passero, punta più estrema della Sicilia.

 

A 17 anni dall’avvenimento è doveroso commemorare un evento così tragico, anche se purtroppo la catena dell’orrore non accenna a interrompersi, ma anzi annovera altre vittime, più di 300 lo scorso ottobre nei pressi di Lampedusa, a testimoniare come la cupidigia umana e il desiderio di una vita migliore non sempre vanno d’accordo, anzi spesso si scontrano, perché a volte i sogni non hanno prezzo. La visita del pontefice Francesco I a Lampedusa ha voluto rendere omaggio proprio a questo, sperando di debellare questo male e spezzare la catena della pazzia.

 

La notte di Natale del 1996, intorno alle ore 3:00 del mattino, accadde infatti qualcosa che rese tristemente famosa questa località turistica – già nota per le sue splendide spiagge e per i locali dove poter gustare del buon pesce – ma per una sciagura marittima, quella che passerà alla storia come la strage di Natale. 

 

Portopalo assistette inerme, poiché ignaro, al naufragio di un battello in cui persero la vita quasi 300 persone che speravano di toccare terra e iniziare una vita migliore di quella che avevano lasciato.

 

Numerose persone provenienti dall'India, dal Pakistan e dallo Sri Lanka avevano versato circa un migliaio di dollari a testa, il salario di un anno, per giungere in Occidente, in modo da poter realizzare i propri sogni, ma per farlo si erano messi nelle mani di traghettatori senza scrupoli che li avrebbero fatti giungere clandestinamente nei luoghi che desideravano, senza poter immaginare quanto sarebbe stato più alto del previsto il prezzo da pagare a questi moderni schiavisti che, a differenza dei loro predecessori, avevano diversi secoli di civiltà in più sulle spalle. 

 

Dal porto di Alessandria d’Egitto fu fatta salpare, la notte tra il 24 e il 25 dicembre, la motonave Yioahn, con a bordo circa 400 sognatori, nonostante le condizioni meteorologiche non ottimali per una traversata. Le forti onde sbatterono violentemente sullo scafo che navigava a fatica con un mare forza 8. Ciò nonostante le coste della Sicilia erano quasi raggiunte, tanto da decidere di trasferire gli uomini su un’altra imbarcazione che avrebbe dovuto portarli a riva, una specie di peschereccio che portava la sigla F174.

 

La nuova imbarcazione non riuscì però a contrastare le forti onde del mare in burrasca e chiese aiuto nuovamente alla Yioahn che nel tentativo di raggiungerla la urtò generando la catastrofe.

 

La piccola imbarcazione colò a picco, con quasi l’intero equipaggio. Solo pochissimi riuscirono infatti a mettersi in salvo e a salire nuovamente sulla motonave che a quel punto, con i pochi superstiti, si allontanò dal luogo del misfatto e si diresse verso la Grecia, sbarcando precisamente a Napflion, nel Peloponneso.

 

Dopo lo sbarco i superstiti rivelarono alla polizia ellenica l’accaduto, mentre il capitano della Yioahn dichiarò di aver solo soccorso i malcapitati e di non c’entrare niente con l’accaduto. 283 uomini risultarono dispersi in mare.

 

Il 31 dicembre la capitaneria di porto di Catania allertò tutta la costa orientale riguardo un possibile naufragio di una imbarcazione di circa 300 individui avvenuta la notte di Natale.

 

Il 5 gennaio del 1997, dopo un lancio dell’agenzia di stampa britannica Reuters, relativo all’avvenuto naufragio, il quotidiano italiano ‘Il Manifesto’, il britannico ‘The Observer’, e il giornale greco ‘Ethnos’ mandarono i loro inviati ad Atene per ricostruire l’accaduto.

 

Il corrispondente de ‘Il Manifesto’ Livio Quagliata pubblicò una serie di servizi sulla vicenda approfondendo le notizie dell’agenzia Reuters. Anche l’emittente televisiva catanese, ‘Telecolor’, si occupò della vicenda con un servizio del giornalista Massimo Leotta.

 

Il 9 gennaio del 1997 il Governo del Pakistan chiese ufficialmente al Governo italiano dei chiarimenti e dei dettagli sulla vicenda, in modo da poterne ricostruire la storia, individuarne i colpevoli e redigere la lista dei dispersi.

 

La prima lista dei naufraghi venne pubblicata il 10 gennaio da ‘Il Manifesto’ a firma del giornalista Massimo Giannetti, 68 nomi in tutto resi noti dall’ambasciata del Pakistan ad Atene, confermati anche dalla comunità pakistana di Roma i cui membri attendevano parenti e amici che sembravano dispersi nel nulla.

 

Il servizio del giornale italiano con il titolo provocatorio ‘I Fantasmi del Mediterraneo’, in virtù del fatto che nessuno aveva ancora ritrovato né i resti né i cadaveri dei poveri naufraghi, fece sì che la procura di Siracusa aprì un’inchiesta che portò a un nulla di fatto, tanto da far iniziare a circolare l’appellativo di ‘naufragio fantasma’.

 

Nel periodo che intercorse tra il naufragio e la ‘denuncia’ de il ‘Manifesto’ i pescatori di Portopalo tirarono sulle loro imbarcazioni, perché impigliati nelle reti, alcuni corpi dei poveri malcapitati, ma per paura li rigettarono in mare e non menzionarono l’accaduto. Per chi vive di pesca sarebbe stato difficile sopravvivere con le barche sequestrate e la costa chiusa alle imbarcazioni: per questa ragione, a malincuore, furono costretti a chiudere gli occhi e facendo finta di non vedere.

 

Livio Quagliata si pronunciò sulla vicenda nel video Il Viaggio di Adamo. Naufragi e accoglienza a Portopalo, un documentario prodotto nel 2009 dalla casa editrice Ginevra Bentivoglio EditoriA allo scopo di fare chiarezza su quanto realmente accaduto, cercando di far capire agli ascoltatori i motivi che portarono a una scelta del genere e accusando non tanto i pescatori ma le istituzioni che quasi non mossero un dito per far luce sulla vicenda, nonostante alcuni dei pescatori trovarono ugualmente il coraggio di denunciare l’accaduto, ma la polizia e le istituzioni locali non diedero troppo risalto alla cosa.

 

Alcuni anni dopo la comunità della cittadina sicula fu accusata di omertà e di agire per proprio tornaconto personale, cosa non vera essendo la città nota per il suo forte impegno sociale proprio nel prestare il primo soccorso agli immigrati che approdano costantemente sulle coste siracusane.

 

Per difendere la sua città e riportare in auge la verità sulla vicenda prese vita il reportage di inchiesta, Dossier Portopalo: Il naufragio del Natale 1996 (Eos dl 2006) scritto dal giornalista portopalese Sergio Taccone a dieci anni esatti dall’accaduto.

 

L’autore, corrispondente per la provincia di Siracusa per il quotidiano 'La Sicilia', raccolse e mise insieme, prima della stesura, articoli, inchieste, resoconti, interviste, documentari e trasmissioni televisive che servirono come fonte per la ricostruzione di questo naufragio, avvenuto quando era ancora un ragazzo.

 

Nel 2008 Sergio Taccone realizza una nuova edizione, rivedendo e completando la versione precedente dal titolo Il Naufragio fantasma: Verità a confronto, edito dalla casa editrice GB EditoriA, lavoro che gli valse, l’anno seguente, il premio internazionale di giornalismo ‘Maria Grazia Cutuli’ 2009.

 

Volontà del giornalista è stata quella di fare luce e raccontare in maniera dettagliata e chiara tutti gli avvenimenti che si susseguirono nei giorni successivi al naufragio e negli anni a seguire, poiché si arrivò al punto di scaricare l’intera colpa della tragedia sulla cittadina di Portopalo e sui suoi abitanti, che vennero accusati di omertà e insensibilità, quando invece chi conosce la cittadina o ha avuto modo di recarvisi per un week-end o una breve vacanza sa benissimo che i portopalesi si distinguono proprio per la loro ospitalità e integrazione nei confronti dei migranti, oltre ad essere fra i più impegnati, avendo un numero altissimo di volontari attivi nel campo del primo soccorso e dell’accoglienza.



 

 

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