N. 12 - Dicembre 2008
(XLIII)
VITA
E MISTERI DI RICHARD
SORGE
Il giornalista, la
spia, il comunista
di Cristiano Zepponi
Che un giornalista, nel
“dopo-lavoro”, si cimenti anche nel ruolo di spione,
potrebbe apparirci oggi del tutto normale; e d’altra
parte, è noto che i nostri criteri valutativi si basano
sulla prassi del tempo vissuto, per quanto miserabile
questo possa rivelarsi.
In questo settore, dunque, noi italiani possiamo
rivendicare un altro di quei buffi personaggi di cui
eccelle la mediocrità, ed il cui profilo si rivela
talmente patetico, ai limiti della farsa, da risaltare
sullo sfondo delle improbabili aspettative che gli si
appuntano addosso: Renato Farina, l’agente ‘Betulla’
nelle segrete stanze del SISMI (dal 1999),
particolarmente a suo agio nella violazione delle basi
della deontologia professionale, oltre che della legge
che impedisce ai servizi segreti di pagare un
giornalista per ottenere informazioni. Sarà un caso, ma
a noi toccano sempre le mezze calzette, i clown
arrivisti, i funamboli improvvisati.
A qualcun altro, invece, le cose sono andate decisamente
meglio: è questo il caso dell’URSS, e dell’agente ‘Ramsay’.
Richard Sorge nacque ad Adjikent, presso Baku, in
Azerbaijan, il 4 ottobre del 1895, da madre russa e
padre, un ingegnere minerario, tedesco; lo zio, invece,
era stato segretario generale di Marx.
A tre anni la famiglia si trasferì in Germania, a
Berlino; qui Richard non dimostra particolare interesse
per le materie scolastiche, a differenza delle
discipline sportive, né tratti particolarmente inusuali.
“Ero il tipico esponente di una società agiata e
stabile”, disse di sé, “non desideravo né avevo la
capacità di assumere una posizione critica, definita e
originale”.
La ‘condizione borghese’ in cui era vissuto s’interruppe
bruscamente nell’ottobre del 1914, quando partì per il
fronte, prima in Galizia (dove subì una ferita alla
gamba destra) e poi in occidente, quando uno shrapnel
gli spezzò entrambe le gambe, lasciandolo claudicante.
Nonostante la promozione e la croce di ferro, Sorge
cominciò allora a riflettere sulla sua condizione, sulla
guerra, sulla politica: “La mia anima era immersa in una
profonda confusione, fu allora che decisi di studiare e
di prendere parte al movimento rivoluzionario
organizzato”.
Subito dopo la guerra, dunque, si laureò in scienze
politiche, prima d’interessarsi della questione dei
minatori della Rühr e rappresentare la Vestfalia-Renania
al VII congresso del Partito Comunista tedesco.
A metà anni ’20 le sue doti, largamente apprezzate in
Germania, vengono notate anche in URSS, dal Comintern:
“Lasciai Berlino per Mosca alla fine del 1924 e agli
inizi del 1925 cominciai il mio nuovo lavoro”.
Cominciò con attività di partito: collegamento tra
Comintern e partiti comunisti (Norvegia, Svezia,
Germania, Inghilterra), raccolta d’informazioni sui
partiti stessi, controversie al loro interno. Una
strettoia troppo angusta, per interessarlo.
“I miei gusti, le mie preferenze, il mio carattere mi
portavano verso l’attività del servizio segreto in campo
politico, militare ed economico”, disse poi. E fu
accontentato.
Nel 1929, infatti, entrò nel IV Bureau dell’esercito
russo, sotto il comando del generale Berzin, il
fondatore del servizio segreto russo, che gli affidò
subito una missione impegnativa: recarsi in Cina,
studiare la situazione, riannodare i legami con Mao.
“Doveva concentrare le sue indagini sulla struttura
sociale e politica del governo di Nanchino di
Chang-Kai-shek; sulla sua forza militare, sui vari
gruppi e fazioni regionali che in Cina si opponevano a
Chang; sulla politica della Gran Bretagna e degli Stati
Uniti; e in generale sull’agricoltura e l’industria
cinese”, specificarono gli studiosi Deakin e Storry.
Sotto la copertura del giornalismo, affermando di
lavorare per il “giornale agricolo tedesco”, Sorge potè
lavorare per tre anni alla luce del sole, vivendo un
apprendistato fruttuoso, stabilendo una rete di contatti
e di rapporti, costruendosi la fama di grande esperto di
cose orientali, stilando rapporti sempre acuti e
puntuali.
Una volta di ritorno, ricevuti i complimenti del suo
superiore, si sentì rifiutare la proposta di rimanere a
Mosca: Berzin, infatti, lo informò dell’intenzione di
spedirlo in Giappone, dove avrebbe “dovuto osservare con
la massima intenzione la politica giapponese nei
riguardi dell’URSS e scoprire se il Giappone, dopo
quanto era successo in Manciuria, stesse o no preparando
un attacco contro l’Unione Sovietica. Questo per molti
anni fu l’incarico assegnato a me e al mio gruppo, e
questo era l’unico scopo della mia missione a Tokio”,
chiarì in seguito.
Tornò in una Germania caotica, dove Hitler era salito al
potere ma non aveva ancora stretto il suo cappio, e
grazie agli scarsi controlli polizieschi potè ottenere
il rinnovo del passaporto, la tessera del partito,
l’incarico di corrispondente per il prestigioso
Frankfurter Zeitung, per l’Algemeen Handelsblad
(quotidiano finanziario di MAster dam) e per altre
riviste.
La fama di fine conoscitore dell’Oriente gli garantì
un’entusiastica accoglienza all’ambasciata tedesca di
Tokio. D’altronde, “nel nostro lavoro bisogna unire il
coraggio e l’audacia al gusto del rischio e l’insolenza,
ma temperando tutto con la prudenza. Questa è
dialettica, compagno Sorge”, gli aveva consigliato
Berzin.
L’insolenza, in primis, ed una lettera di presentazione
che lo definiva “persona di assoluta fiducia”, permise
al giornalista-spione di stringere i rapporti con Eugen
Ott, il futuro ambasciatore tedesco, conquistato
dall’acutezza delle analisi e dall’originalità dei
consigli. Sorge divenne per lui amico fidato,
consigliere ed informatore, senza neanche immaginare la
possibilità di un doppio gioco.
Alcuni mesi dopo, Ott fu nominato ambasciatore, e Sorge
approfittò della promozione per trasformarsi in un
personaggio ufficiale, rispettato ed apprezzato dal
personale tedesco (dall’addetto navale Wenneker al
principe von Urach), consultato ed ascoltato riguardo le
questioni più importanti, gli affari più riservati.
L’accesso ad informazioni segrete, e spesso anche alla
valigia diplomatica, era libero e costante, specie dopo
la nomina a responsabile dell’ufficio stampa
dell’ambasciata: e tutto, naturalmente, veniva
fotografato e spedito in URSS.
Per ottenere le informazioni richieste
sull’atteggiamento del Giappone nei confronti dell’URSS
si avvalse in primo luogo di Hotsumi Ozaki. Scrittore,
giornalista, consigliere del primo ministro Konoye, spia
per patriottismo decisa ad evitare la guerra in
generale, ed uno scontro Giappone-URSS in particolare
(“era un intellettuale che l’educazione, l’esperienza e
la cultura spingevano all’azione politica”, per Chalmer
Johnson), aveva conosciuto Sorge in occasione del
soggiorno cinese e da allora ne era divenuto il “più
importante collaboratore”, come ammise lo stesso Sorge;
“I nostri rapporti sia di lavoro che personali erano
perfetti. Le informazioni da lui raccolte erano le più
esatte e interessanti che abbia mai avuto da fonte
giapponese. Diventai subito un suo vero amico”.
Ad Ozaki si aggiungevano Branko Vucelic, giornalista
jugoslavo incaricato di microfilmare i documenti
trafugati, Max Klausen, addetto alle trasmissioni radio,
e Yotoku Miyagi, informatore-osservatore. Sorge, oltre a
raccogliere informazioni, tentò a sua volta di adoperare
la sua rete di conoscenze altolocate, di amicizie e
contatti, per sventare il pericolo di una guerra tra
Giappone e URSS, influenzando per quanto possibile le
politiche dei due stati.
Nel giugno del 1938, poi, il generale della GPU Ljuskov
fuggì dall’URSS e si consegnò ai Giapponesi, rivelando
loro disposizione, schieramento ed equipaggiamento delle
divisioni russe in Siberia, l’entità delle forze in
Ucraina, i cifrari militari sovietici e l’esistenza di
un’opposizione al potere bolscevico.
Sorge, tempestato di richieste, s’adoperò per scoprire
quanto rivelato, e per ricucire quanto strappato: da una
parte, ottenne la relazione dell’addetto militare
tedesco e la relazione dell’ufficiale dell’Abwehr
incaricato d’interrogare il prigioniero; dall’altra,
“facevo osservare che Ljuskov era una figura poco
attendibile e di secondaria importanza, che era
pericoloso giudicare la situazione interna della Russia
in base alle dichiarazioni di un uomo simile. Le
osservazioni di Ljuskov, dicevo, erano proprio dello
stesso tipo di quelle che si trovano nei libelli
antinazisti scritti dai profughi tedeschi […] dicevo di
essere convinto che avesse disertato perché era
scontento del trattamento ricevuto dalle autorità
sovietiche o forse perché temeva di essere colpito
dall’epurazione in corso nelle file della GPU”, mentre
Ozaki, da parte sua, invitava i connazionali alla
prudenza ed moderazione, enumerando i pericoli in caso
di guerra.
Il Giappone, sotto la pressione dei suoi circoli
militari, decise allora di saggiare lo spirito delle
truppe russe in Mongolia, senza mobilitare tutto
l’esercito, ma utilizzando la sola armata del Kwantung:
il solo compromesso accettato dal primo ministro Konoye,
influenzato e spaventato.
Il contrattacco corazzato dei sovietici, scattato
all’alba del 20 agosto 1939 sotto la guida del
maresciallo Zukov, travolse le truppe nipponiche
costringendole a ritirarsi; tre giorni dopo, inoltre, la
firma del trattato di non aggressione tra Germania
nazista ed URSS impose la scelta della pace, sancita con
l’armistizio del 16 settembre.
Dopo lo scoppio della guerra, Sorge fu incaricato di
scoprire quale sarebbe stato l’atteggiamento del
Giappone nei confronti dell’URSS. Qualcuno è arrivato al
punto di affermare che in realtà Sorge non spiasse, ma
semplicemente "ragionasse e deducesse”, il che ci sembra
francamente eccessivo, se preso alla lettera. Che
sfruttasse ogni occasione, ogni opinione ed ogni canale
(specialmente la stampa, data la fama di lettore
onnivoro) per formarsi un’opinione era indubbiamente
vero; che ricavasse molto da studi e lavori destinati a
tutt’altro uso anche; ma oltre a questo, vantava le sue
buone fonti.
Fin dalla primavera del 1941, in particolare, Sorge fu
informato dello spostamento d’ingenti forze militari
tedesche verso la frontiera orientale: a rivelarlo erano
stati corrieri dell’ambasciata ed ufficiali giunti da
Berlino. “In seguito seppi che le fortificazioni
tedesche sul fronte orientale erano ormai completate”.
Ma fu Kretschmer, il nuovo addetto militare
dell’ambasciata, a svelare i segreti di quella che
sarebbe stata chiamata “operazione Barbarossa”: “Mi
comunicò di aver ricevuto informazioni da Berlino per
informare il ministero della guerra giapponese che la
Germania era costretta a prendere misure contro i
concentramenti sovietici sulla frontiera orientale.
Queste istruzioni erano molto particolareggiate e
comprendevano una carta del dislocamento delle truppe
sovietiche. Appresi inoltre che la decisione sulla pace
o la guerra dipendeva esclusivamente dalla volontà di
Hitler e non dall’atteggiamento russo”.
La conferma venne dal colonnello von Niedermayer,
inviato del ministero della guerra: “la guerra contro
l’Unione Sovietica è stata già decisa”. E poi da Scholl,
l’ex addetto militare: “Scholl mi fornì un rapporto
particolareggiato”, riferì Sorge, “L’attacco sarebbe
iniziato il 20 giugno; era possibile un giorno o due di
ritardo, ma i preparativi erano ormai completi. Alla
frontiera orientale erano ammassate 170 delle 190
divisioni tedesche. Non ci sarebbero stati né ultimatum
né dichiarazioni di guerra. L’esercito russo sarebbe
crollato e il regime sovietico caduto entro due mesi”.
Per sfortuna dell’URSS, e di tutti gli uomini che
speravano in una rapida fine della guerra, il paranoico
Stalin aveva già deciso di fidarsi delle promesse di
pace hitleriane, e non intendeva credere a due uomini
insieme. Non solo fece fucilare Berzin, insieme a gran
parte degli ufficiale dell’Armata Rossa, indebolendo
pericolosamente l’apparato militare del Paese; ma nei
mesi che seguirono fece cestinare i rapporti di Sorge,
per quanto sicura fosse la fonte e circostanziata la
descrizione.
Il 22 giugno, come previsto (“un giorno o due di
ritardo”..) due milioni e mezzo di soldati tedeschi
scattarono all’assalto di obiettivi già ampiamente
identificati, nelle settimane precedenti, grazie alla
ricognizione aerea. "Quando la guerra scoppiò, Richard
era furente. Si domandava perplesso: perché Stalin non
ha reagito?" scrisse F.W. Deakin-G.R. Storry, ne “Il
caso Sorge”.
Smaltita la delusione, il gruppo che faceva capo a Sorge
si adoperò di nuovo per intuire ed influenzare
l’atteggiamento che il Giappone avrebbe assunto: una
questione di primaria importanza, dato che dalla questa
dipendeva la disponibilità del gruppo d’armate di
riserva, bloccate in Manciuria.
Ozaki, sfruttando la direzione delle Ferrovie della
Manciuria, apprese prima che numerose unità dell’armata
del Kwantung rifluivano in Giappone, e poi che i tremila
ferrovieri previsti per il funzionamento della
Transiberiana, l’infinita arteria bolscevica, non erano
più richiesti. Il Giappone non avrebbe attaccato, per
ora. Peraltro, alcuni reggimenti delle guardie imperiali
partivano per il fronte, in quei giorni, con divise
estive: e di sicuro non andavano a nord.
“In un consiglio di guerra tenutosi alla presenza del
Mikado [l'imperatore], i capi dell'Esercito e della
Marina nipponici hanno deciso di spostare tutte le loro
forze nel sud-est asiatico, in vista di un possibile
confronto con la Gran Bretagna e forse, successivamente,
con gli USA”, comunicò Sorge, e stavolta fu ascoltato:
le unità bloccate in Manciuria affluirono a cascata per
tamponare le brecce aperte dai tedeschi in Occidente, e
riuscirono a tenere duro alle porte di Mosca. Se non
fossero intervenute, nessuno sa cosa sarebbe potuto
accadere.
Terminata anche questa missione, Sorge provò a proporre
ai superiori una nuova destinazione: sentiva forse il
fiato della polizia giapponese sul collo.
La rete del controspionaggio si dimostrò più veloce: il
15 ottobre Ozaki e Miyagi furono arrestati, e da quel
momento ogni dubbio sparì. Arrivarono a lui, Klausen e
Vukelic tre giorni dopo.
Sembra che il servizio di controspionaggio giapponese si
fosse imbattuto in un piccolo funzionario delle ferrovie
che aveva militato nel partito comunista giapponese (da
cui Sorge, seguendo le istruzioni ricevute, si era
saggiamente tenuto alla larga): gravemente malato di
tubercolosi, questi non resse alle torture e fece il
nome di vari compagni, tra cui quello di Miyagi, uno dei
collaboratori. Costui, che conosceva i metodi della
polizia, cercò di sottrarsi all'interrogatorio
lanciandosi da una finestra, ma riuscì solo a
fratturarsi le gambe, agevolando il compito degli
investigatori. E questi, in breve, ottennero i nomi di
Sorge e Ozaki.
Sorge, in un primo tempo, rifiutò di confessare,
nonostante gli fossero sbattute in faccia le confessioni
dei compagni Klausen, Vukelic e Miyagi.
"Per Sorge”, scrisse ancora F.W. Deakin-G.R. Storry, “la
crisi giunse quando gli mostrarono le deposizioni di
Klausen e degli altri, e quando Yoshikawa [il giudice
istruttore] gli rivolse un appello tipicamente
giapponese: '...Volete voi, il capo, abbandonarli al
loro destino? Al vostro posto confesserei’.
Allora Sorge rifletté che la guerra era vinta, e le sue
informazioni troppo vaghe per valere la vita dei
compagni. O forse cedette, e siamo ben lontani dal
biasimarlo: aveva mentito troppo a lungo. Con cortesia
borghese chiese carta e penna, su cui scrisse in
tedesco: 'Sono un comunista internazionale dal 1925'.
Vukelic e Miyagi morirono in carcere, Klausen scontò
l’ergastolo, Sorge ed Ozaki furono condannati a morte.
La sentenza fu eseguita il 7 novembre del 1944,
anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, giorno di
festa in Unione Sovietica. Affrontò la morte con dignità
e contegno, fino a che la botola non si aprì sotto i
suoi piedi.
Oggi riposa nel tranquillo cimitero di Tama, alle porte
di Tokyo, dov’è stato accompagnato da Hanako-san, la
donna con cui ha condiviso gli ultimi anni.
Al suo fianco riposano i compagni Ozaki Hotsumi e Miyagi
Yotoku.
Prima di salire sul patibolo, quando gli chiesero se
avesse qualcosa da dire, aggrondò l’espressione, inarcò
il folto sopracciglio destro, e scansò un ciuffo con la
mano; poi ringraziò, e rispose no. |