N. 76 - Aprile 2014
(CVII)
sulLA RESISTENZA NON ARMATA
un ricordo doveroso
di Giorgio Giannini
La
“Resistenza
non
armata”
non
è
stata
una
“Resistenza
passiva”,
ma
una
e
propria
“Resistenza
attiva”,attuata
contro
l’occupante
nazifascista,
alla
quale
hanno
partecipato
uomini
e
donne,
lavoratori
e
studenti,
giovani
ed
anziani,
e
che
si è
espressa
in
molteplici
forme:
dall’assistenza
ai
ricercati
(
gli
antifascisti,i
renitenti
alla
leva,gli
ebrei…)
all’attività
di
controinformazione
e di
diffusione
della
stampa
clandestina.
La
“Resistenza
non
armata”
ha
dato
un
notevole
contributo
alla
lotta
di
liberazione
contro
l’occupante
nazifascista
ed è
stata
altrettanto
rischiosa
della
“Resistenza
armata”,
in
quanto
molti
hanno
pagato
con
la
vita
il
loro
impegno
per
la
libertà
del
nostro
Paese.
Resistenza
armata
e
non
armata
Ancora
oggi,
a
distanza
di
quasi
70
anni
dalla
fine
della
guerra,
quando
si
parla
di
Resistenza,
si
intende
comunemente
la
lotta
partigiana
armata
perché
nella
ricerca
storica
e
nella
storiografia
hanno
prevalso
le
interpretazioni
in
chiave
militare
della
Resistenza.
Questo
binomio
Resistenza
=
lotta
armata
deriva
dal
Decreto
Legge
Luogotenenziale
21.8.1945
n.
518,
in
base
al
quale
è
considerato
“partigiano
combattente”
solo
chi
ha
fatto
parte
di
una
“formazione
partigiana”
ed
ha
partecipato
ad
almeno
tre
azioni
armate.
E’
invece
considerato
“patriota”
chi,
pur
facendo
parte
di
una
formazione
partigiana,non
ha
compiuto
tre
operazioni
armate,
e
chi
ha
partecipato
alla
“insurrezione
nazionale”
del
25
aprile
1945.
Infine,
è
considerato
“benemerito”
chi
ha
svolto
attività
non
armata.
Inoltre,
in
base
alla
normativa
suddetta
sono
state
riconosciute
come
“formazioni
partigiane”
solo
i
gruppi
che
hanno
svolto
attività
armata.
Pertanto,
non
è
considerata
“vera
Resistenza”
(secondo
la
suddetta
Legge)
l’attività
non
armata
svolta
sia
a
livello
individuale
che
collettivo,
al
di
fuori
delle
formazioni
partigiane
“riconosciute”
dalle
apposite
Commissioni
Regionali
istituite
presso
il
Ministero
della
Difesa
per
il
riconoscimento
della
qualifica
di “partigiano
combattente”,
di “patriota”
o di
“benemerito”.
Questa
distinzione
tra
partigiano
combattente,
da
un
lato,
e
patriota
e
benemerito
,dall’altro,
e
tra
Resistenza
armata
e
non
armata,
ha
comportato
una
vera
e
propria
“militarizzazione”
della
Resistenza.
Pertanto,
le “azioni
di
Resistenza
non
armata”,anche
se
compiute
da
moltissime
persone,senza
però
appartenere
a
Movimenti
della
Resistenza,
non
sono
riconosciute
come
azioni
di
lotta
partigiana
e
quindi
non
sono
considerate
vere
e
proprie
“azioni
di
Resistenza”.
Di
conseguenza,
sono
state
sottovalutate
dalla
ricerca
storica,
fino
all’inizio
degli
anni
novanta,quando
sono
state
portate
all’attenzione
degli
storici
in
occasione
di
alcuni
Convegni
fatti
per
il
50le
della
Resistenza.
Nella
migliore
delle
ipotesi,
le “azioni
di
Resistenza
non
armata”
sono
considerate
“complementari”
o
“di
supporto”
alla
lotta
partigiana
armata
e
quindi
non
meritevoli
di
un
riconoscimento
autonomo.
In
verità,
se
questo
è
vero
in
molti
casi
(quali
il
sabotaggio
delle
attività
industriali
e
l’organizzazione
di
scioperi
nelle
fabbriche
e la
diffusione
della
stampa
clandestina),
in
molti
altri
casi
le “azioni
di
Resistenza
non
armata”
sono
state
espressione
di
una
modalità
di
Resistenza
“autonoma
da
quella
armata”
e
sicuramente
vi
sono
state
coinvolte
un
numero
di
persone
superiore
rispetto
alle
azioni
armate,
attuate
dai
“partigiani
combattenti”
(che
hanno
praticato
la
lotta
armata
e
che
sono
solo
una
parte
dei
“resistenti”),
e
quindi
meritano
un
proprio
riconoscimento.
La
“Resistenza
non
armata”
è
pertanto
una
forma
autonoma
di
Resistenza,
per
di
più
“popolare”
in
quanto
praticata,
in
genere
spontaneamente,
da
moltissime
persone
che
volevano
dare
un
contributo
personale
alla
lotta
contro
l’occupante
nazifascista.
Considerato
che
in
alcune
zone
del
Paese
la
Resistenza
è
stata
esclusivamente
o
prevalentemente
attuata
in
forma
“non
armata”,
è
indubbio
che
la “Resistenza
non
armata”
ha
avuto
un
ruolo
importante
nella
lotta
di
liberazione
nazionale,
contribuendo
sicuramente
al
suo
esito
positivo.
Alcune
riflessioni
Innanzitutto,
si
deve
precisare
che
la
Resistenza
non
armata
non
è
stata
una
resistenza
“passiva”,come
molti
credono
o
sostengono.
È
stata,
invece,
una
tecnica
di
lotta
“attiva”,
perché
si
trattava
di
“fare
qualcosa
che
non
si
doveva
fare”
(perché
vietato)
oppure
di
“non
fare
qualcosa
che
si
doveva
fare”
(perché
imposto).
In
ogni
caso,
l’azione
o
l’omissione
comportava
notevoli
rischi
per
chi
la
compiva,
anche
il
rischio
della
vita
(ad
esempio
per
chi
nascondeva
partigiani,
antifascisti
ed
ebrei
o
semplicemente
portava
armi).
Moltissimi
hanno
pagato
con
la
morte
il
loro
impegno
patriottico.
Per
questo
motivo,
appunto
perché
è
stata
una
tecnica
di
lotta
“attiva”,
la
Resistenza
non
armata
non
va
confusa
con
l’attendismo
(attendere
passivamente
l’evoluzione
degli
eventi,
cioè
la
fine
della
guerra
e
l’arrivo
degli
Alleati).
La
Resistenza
non
armata
non
è
stata
sempre
organizzata
o
collegata
alla
Resistenza
armata.
Molto
spesso,
infatti,
è
stata
attuata,
spontaneamente,
da
singole
persone,
da
gruppi
o da
larghi
settori
della
popolazione
(
lavoratori,
docenti,
studenti,
donne..),
e si
è
espressa
in
molteplici
forme:
dall’assistenza
ai
ricercati
(
oppositori
politici,
renitenti
alla
leva,
ebrei…)
all’attività
di
controinformazione
e di
diffusione
della
stampa
clandestina.
Quasi
sempre,
chi
la
praticava
non
era
consapevole
di
attuare
una
tecnica
di
azione
nonviolenta;
semplicemente
riteneva
che
quel
comportamento
fosse
“efficace”,
anche
più
della
lotta
armata.
La
Resistenza
non
armata
non
ha
avuto
sempre
successo:
molto
è
dipeso
dalle
“circostanze”
nelle
quali
è
stata
attuata.
Comunque
anche
la
lotta
armata
non
è
sempre
efficace
e,
inoltre,
comporta
molto
spesso
la
perdita
di
molte
vite
umane.
La
Resistenza
non
armata
ha
contribuito
sicuramente,
per
il
suo
carattere
“popolare”,
al
successo
della
Resistenza
armata.
La
Resistenza
non
armata
ha
sicuramente
reso
meno
cruenta
la
repressione
nazista,
in
quanto
gli
occupanti,
spesso,
non
hanno
reagito
in
modo
spietato
alla
azioni
di
Resistenza
non
armata,
soprattutto
se
attuate
da
ampi
settori
della
popolazione.
Inoltre,
la
Resistenza
non
armata
ha
salvato
molte
vite,
da
entrambe
le
parti
in
lotta,proprio
perché
non
si
faceva
ricorso
all’uso
delle
armi.
In
sintesi,
la
Resistenza
non
armata:
ha
dato
un
notevole
contributo
alla
lotta
di
liberazione
contro
l’occupante
nazifascista;
è
stata
altrettanto
rischiosa
di
quella
armata,
in
quanto
molti
hanno
pagato
con
la
vita
il
loro
impegno
patriottico;
ha
addirittura
salvato
delle
vite
proprio
perché
non
si
faceva
ricorso
all’uso
delle
armi.
Alcune
forme
di
Resistenza
non
armata
La Resistenza non armata si è espressa in molteplici
forme,
quali:
1.
L’attività
di
assistenza,
mediante
la
fornitura
di
alloggio
e di
cibo
ai
ricercati
dai
nazifascisti:
ebrei;
antifascisti;
soldati
sbandati
e
prigionieri
di
guerra
Alleati,
fuggiti
dai
Campi
di
concentramento
dopo
l’8
settembre
1943;
renitenti
alla
chiamata
alle
armi
della
Repubblica
Sociale
Italiana;le
persone
che
non
si
sono
presentate
nel
Servizio
Obbligatorio
del
Lavoro.
2.
L’informazione
clandestina,
soprattutto
attraverso
la
diffusione
dei
giornali
e
dei
volantini
curati
dai
Partiti
e
dai
Movimenti
antifascisti,ma
anche
attraverso
l’apposizione
di
scritte,
sui
muri
delle
case,
sui
marciapiedi,
nei
bagni
dei
locali
pubblici
e
nelle
carrozze
ferroviarie,
inneggianti
alla
lotta
contro
il
nazifascismo
e
per
la
liberazione
dall’occupazione
nazista.
3.
Il
sabotaggio
della
produzione
industriale,
delle
linee
telefoniche,
delle
ferrovie
e
delle
attrezzature
(ad
es.
molto
diffuso
nelle
campagne
era
il
sabotaggio
delle
macchine
trebbiatrici
per
evitare
che
i
tedeschi
depredassero
i
cereali
coltivati).
4.
Il
boicottaggio
delle
disposizioni
emanate
dalle
autorità
nazifasciste,
pubblicizzate
con
appositi
bandi,
la
cui
inosservanza
creava
notevoli
difficoltà
alle
forze
di
occupazione
naziste
ed
alle
autorità
civili
e
militari
fasciste
(ricordiamo
il
rifiuto
delle
donne
di
Carrara
di
abbandonare
la
città,
che
doveva
essere
evacuata
in
quanto
caposaldo
della
Linea
Gotica
fino
a
Rimini).
5.
Le
manifestazioni
politiche,
come
i
comizi
volanti,
in
occasione
di
particolari
ricorrenze
(ad
es.
il
1°
maggio,
festa
dei
lavoratori,
e il
7
ottobre,
anniversario
della
Rivoluzione
Russa
del
1917)
e le
lotte
nelle
fabbriche,
come
gli
scioperi,
organizzati
sia
al
livello
locale
che
nazionale,
con
diverse
motivazioni:
dalla
richiesta
di
aumenti
salariali
e di
migliori
condizioni
di
lavoro,
alla
protesta
contro
la
guerra
ed
alla
richiesta
della
pace.
Al
riguardo,
ricordiamo
lo
sciopero
organizzato
nel
marzo
1943,
durante
il
regime
fascista,
a
Torino
(poi
estesosi
anche
a
Milano),
per
chiedere
miglioramenti
economici
e
provvidenze
per
i
cittadini
rimasti
“senza
casa”
a
causa
dei
bombardamenti
aerei
angloamericani.
Ricordiamo
anche
lo
sciopero
attuato
a
Torino,
Milano
e
Genova
(il
cosiddetto
triangolo
industriale)nel
marzo
1944,
in
piena
occupazione
nazista,
per
chiedere
la
fine
della
guerra
e la
cacciata
degli
occupanti
tedeschi,
con
oltre
500
mila
partecipanti.
È
stato
lo
sciopero
più
grande
in
un
Paese
occupato
dai
nazisti.
Ricordiamo
anche
la
Resistenza
non
armata,attuata
nei
Campi
di
concentramento
tedeschi
da
circa
650.000
nostri
soldati
catturati
dai
nazisti,
dopo
l’8
settembre,in
Italia
a
nei
vari
“fronti
di
guerra”
(Balcani,
Grecia,
Francia
Meridionale),
internati
nei
lager
come
Internati
Militari
Italiani
(IMI),
e
quindi
senza
la
protezione
delle
Convenzioni
di
Ginevra
sui
prigionieri
di
guerra,che
sono
stati
utilizzati
come
manodopera
a
basso
costo
nelle
fabbriche
belliche
del
Terzo
Reich.
La
maggior
parte
di
loro
hanno
preferito
rimanere
nei
lager,
rifiutando
di
rientrare
in
Italia
per
arruolarsi
nelle
Forze
Armate
della
Repubblica
Sociale
Italiana-RSI,esprimendo
così
una
chiara
scelta
antifascista,in
conseguenza
della
quale
circa
30.000
di
essi
( il
5%)
sono
morti
per
le
precarie
condizioni
dell’internamento
e
per
la
durezza
delle
condizioni
di
lavoro
nelle
fabbriche
belliche.
In
particolare,riguardo
a
Roma,
ricordiamo
la
Resistenza
non
armata
attuata
dai
docenti
delle
Scuole
Superiori
romane,che
hanno
organizzato,
il
29
gennaio
1944,uno
sciopero
nelle
Scuole,coinvolgendo
anche
gli
studenti,
e la
Resistenza
attuata
dagli
studenti
universitari
romani,
che
hanno
bloccato,nel
gennaio
1944,
l’attività
didattica
in
alcune
Facoltà.
Ricordiamo
anche
la
Resistenza
non
armata,attuata
da
alcune
categorie
professionali,
quali
i
medici
(
che
nascondevano
i
ricercati
nei
reparti
degli
ospedali),
i
portieri
(
che
non
informavano
le
autorità
nazifasciste
sulla
presenza
delle
persone
“nascoste”
nel
loro
palazzo),
i
postelegrafonici
(che
aggiravano
la
censura
della
corrispondenza),
i
dipendenti
comunali
che
procuravano
documenti
per
gli
antifascisti
ed i
ricercati),i
tramvieri
(
che
spesso
salvavano
le
persone
dai
rastrellamenti).
Ricordiamo
infine
la
Resistenza
non
armata
attuata
dalle
donne
di
alcuni
quartieri
romani,che
nella
primavera
1944,
in
piena
occupazione
nazista,
hanno
protestato
contro
il
rastrellamento
dei
loro
uomini
(
mariti,figli,
fratelli),
che
dovevano
essere
avviati
al
lavoro
nelle
retrovie
del
fronte
di
Cassino
o
nelle
fabbriche
belliche
tedesche,
ed
hanno
assaltato
i
forni
per
procurarsi
il
pane
per
alimentare
i
propri
cari.
È doveroso rivalutare la Resistenza non armata
Per
una
analisi
approfondita
e
obiettiva
della
Resistenza,
dal
settembre
1943
all’aprile
1945,
è
necessario
superare
la
logica
della
sua
“militarizzazione”,
che
ha
condizionato
per
molti
anni
la
ricerca
storica,
ed
iniziare
finalmente
a
rivalutare
ed a
mettere
nella
giusta
considerazione
quei
fatti
che
finora
sono
stati
“collegati”
alla
Resistenza
armata
e
che
invece
sono
espressione
di
una
“forma
autonoma
di
Resistenza”,
e
nel
contempo
ricercare
e
rivalutare
gli
episodi
più
significativi
di
Resistenza
non
armata,
che
ha
avuto
una
dimensione
popolare
e di
massa.
Questa
ricerca
non
solo
è
doverosa,
ma è
anche
urgente
perché
la
conoscenza
dei
fatti
rischia
di
perdersi
con
la
scomparsa
dei
protagonisti
e
dei
testimoni
diretti.
In
questa
direzione,
è
necessario
un
concreto
impegno
di
ricerca
non
solo
da
parte
degli
Istituti
storici
della
Resistenza,
ma
anche
dei
Dipartimenti
di
Storia
Contemporanea
delle
Università,
dato
che
si
tratta
di
scoprire
e
valorizzare
un
“pezzo”
importante
della
nostra
storia
contemporanea,
i
quali
dovrebbero
favorire
la
concessione
di
tesi
di
laurea
o di
dottorato
su
questo
argomento.
La
ricerca
storica,
come
tutte
le
attività
di
ricerca,
è un
processo
che
si
evolve
continuamente,
con
il
passare
del
tempo,
anche
perché
guardiamo
al
“passato”
in
modo
diverso
perché
diverse
sono
le
domande
che
ci
poniamo
ed
alle
quali
cerchiamo
di
rispondere.
Infatti,
sempre
diversa
è la
prospettiva
attraverso
la
quale
vediamo
i
fatti
di
un
certo
periodo,anche
perchè
muta
il
clima
culturale
e
sociale.
Pertanto,
un
determinato
periodo
storico
può,
e
deve,
essere
studiato
in
modo
nuovo
o
diverso
dal
passato
e
può
rivelare
“aspetti
nuovi”.
Riguardo
alla
Resistenza
al
nazifascismo,
a
distanza
di
70
anni
da
quel
periodo
(1943-1945)
è
doveroso
rilanciare
gli
studi
e le
ricerche
sulla
Resistenza
non
armata
per
riconoscerle
il
giusto
“ruolo”,
rivalutando
l’attività
di
quanti
hanno
lottato,senza
armi,
per
la
libertà
del
nostro
Paese,
pagando
molto
spesso
un
prezzo
altissimo,
quello
della
propria
vita,
senza
comunque
nulla
togliere
a
coloro
che
hanno
combattuto
con
le
armi
(i
partigiani
combattenti)
contro
l’occupante
nazista
ed
il
risorto
fascismo,
al
suo
servizio.
Infatti,
la
Resistenza
non
armata
non
deve
incrinare
l’unità
della
Resistenza,aprendo
una
diversità,
o
addirittura
una
“contrapposizione”,
tra
Resistenza
armata
e
Resistenza
non
armata,
basata
sui
diversi
“mezzi”
usati
(con
le
armi
e
senza
le
armi)
e
quindi
sulle
diverse
modalità
di
lotta,
attribuendo
ad
esse,addirittura,
un
“valore
diverso”,
come
se
si
dovesse
stabilire
tra
di
loro
una
“gerarchia”,
sia
sul
piano
politico
che
etico.
Si
deve,
semplicemente,
riconoscere
ufficialmente,
che
accanto
alla
Resistenza
armata
c’è
stata
anche
la
Resistenza
non
armata
e
quindi
entrambe
meritano
“pari
dignità”.
Infatti,coloro
che
hanno
praticato
queste
due
forme
di
Resistenza,
hanno
contribuito
alla
lotta
per
la
libertà
del
nostro
Paese,
sia
dall’occupante
nazista
che
dal
risorto
fascismo.
Del
resto,
tutti
i
Resistenti,
sia
quelli
che
hanno
ritenuto
necessario
o
inevitabile
ricorrere
all’uso
delle
armi
sia
quelli
che
,invece,
per
le
proprie
convinzioni
morali,
filosofiche
o
religiose
non
hanno
usato
le
armi,
hanno
fatto
una
scelta:
quella
di
obbedire
alla
propria
coscienza
e di
dire
No
alla
sopraffazione
e di
lottare
per
riconquistare
la
libertà
perduta.
Entrambe
le
“scelte”
fatte,
meritano
rispetto,
anche
perché
in
entrambi
i
casi,
si è
rischiata
la
vita.
Un
ruolo
importante
nella
rivalutazione
della
Resistenza
non
armata
possono
svolgere
gli
Enti
Locali,
soprattutto
i
Comuni,
bandendo
Concorsi
per
gli
studenti
delle
Scuole
Medie
Inferiori
e
Superiori,
al
fine
della
ricerca
e
del
recupero
degli
episodi
di
Resistenza
non
armata
attuati
nel
proprio
territorio.
Confidiamo,
pertanto,
che
la
Resistenza
non
armata
possa
essere
finalmente
rivalutata
in
occasione
del
settantennale
della
Resistenza.