.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

contemporanea


N. 76 - Aprile 2014 (CVII)

sulLA RESISTENZA NON ARMATA

un ricordo doveroso
di Giorgio Giannini

 

La “Resistenza non armata” non è stata una “Resistenza passiva”, ma una e propria “Resistenza attiva”,attuata contro l’occupante nazifascista, alla quale hanno partecipato uomini e donne, lavoratori e studenti, giovani ed anziani, e che si è espressa in molteplici forme: dall’assistenza ai ricercati ( gli antifascisti,i renitenti alla leva,gli ebrei…) all’attività di controinformazione e di diffusione della stampa clandestina.

 

La “Resistenza non armata” ha dato un notevole contributo alla lotta di liberazione contro l’occupante nazifascista ed è stata altrettanto rischiosa della “Resistenza armata”, in quanto molti hanno pagato con la vita il loro impegno per la libertà del nostro Paese.

 

Resistenza armata e non armata

 

Ancora oggi, a distanza di quasi 70 anni dalla fine della guerra, quando si parla di Resistenza, si intende comunemente la lotta partigiana armata perché nella ricerca storica e nella storiografia hanno prevalso le interpretazioni in chiave militare della Resistenza.

 

Questo binomio Resistenza = lotta armata deriva dal Decreto Legge Luogotenenziale 21.8.1945 n. 518, in base al quale è considerato “partigiano combattente” solo chi ha fatto parte di una “formazione partigiana” ed ha partecipato ad almeno tre azioni armate. E’ invece considerato “patriota” chi, pur facendo parte di una formazione partigiana,non ha compiuto tre operazioni armate, e chi ha partecipato alla “insurrezione nazionale” del 25 aprile 1945. Infine, è considerato “benemerito” chi ha svolto attività non armata.

 

Inoltre, in base alla normativa suddetta sono state riconosciute come “formazioni partigiane” solo i gruppi che hanno svolto attività armata. Pertanto, non è considerata “vera Resistenza” (secondo la suddetta Legge) l’attività non armata svolta sia a livello individuale che collettivo, al di fuori delle formazioni partigiane “riconosciute” dalle apposite Commissioni Regionali istituite presso il Ministero della Difesa per il riconoscimento della qualifica di “partigiano combattente”, di “patriota” o di “benemerito”.

 

Questa distinzione tra partigiano combattente, da un lato, e patriota e benemerito ,dall’altro, e tra Resistenza armata e non armata, ha comportato una vera e propria “militarizzazione” della Resistenza. Pertanto, le “azioni di Resistenza non armata”,anche se compiute da moltissime persone,senza però appartenere a Movimenti della Resistenza, non sono riconosciute come azioni di lotta partigiana e quindi non sono considerate vere e proprie “azioni di Resistenza”. Di conseguenza, sono state sottovalutate dalla ricerca storica, fino all’inizio degli anni novanta,quando sono state portate all’attenzione degli storici in occasione di alcuni Convegni fatti per il 50le della Resistenza.

 

Nella migliore delle ipotesi, le “azioni di Resistenza non armata” sono considerate “complementari” o “di supporto” alla lotta partigiana armata e quindi non meritevoli di un riconoscimento autonomo. In verità, se questo è vero in molti casi (quali il sabotaggio delle attività industriali e l’organizzazione di scioperi nelle fabbriche e la diffusione della stampa clandestina), in molti altri casi le “azioni di Resistenza non armata” sono state espressione di una modalità di Resistenza “autonoma da quella armata” e sicuramente vi sono state coinvolte un numero di persone superiore rispetto alle azioni armate, attuate dai “partigiani combattenti” (che hanno praticato la lotta armata e che sono solo una parte dei “resistenti”), e quindi meritano un proprio riconoscimento.

 

La “Resistenza non armata” è pertanto una forma autonoma di Resistenza, per di più “popolare” in quanto praticata, in genere spontaneamente, da moltissime persone che volevano dare un contributo personale alla lotta contro l’occupante nazifascista.

Considerato che in alcune zone del Paese la Resistenza è stata esclusivamente o prevalentemente attuata in forma “non armata”, è indubbio che la “Resistenza non armata” ha avuto un ruolo importante nella lotta di liberazione nazionale, contribuendo sicuramente al suo esito positivo.

 

Alcune riflessioni

 

Innanzitutto, si deve precisare che la Resistenza non armata non è stata una resistenza “passiva”,come molti credono o sostengono. È stata, invece, una tecnica di lotta “attiva”, perché si trattava di “fare qualcosa che non si doveva fare” (perché vietato) oppure di “non fare qualcosa che si doveva fare” (perché imposto). In ogni caso, l’azione o l’omissione comportava notevoli rischi per chi la compiva, anche il rischio della vita (ad esempio per chi nascondeva partigiani, antifascisti ed ebrei o semplicemente portava armi). Moltissimi hanno pagato con la morte il loro impegno patriottico.

 

Per questo motivo, appunto perché è stata una tecnica di lotta “attiva”, la Resistenza non armata non va confusa con l’attendismo (attendere passivamente l’evoluzione degli eventi, cioè la fine della guerra e l’arrivo degli Alleati).

 

La Resistenza non armata non è stata sempre organizzata o collegata alla Resistenza armata. Molto spesso, infatti, è stata attuata, spontaneamente, da singole persone, da gruppi o da larghi settori della popolazione ( lavoratori, docenti, studenti, donne..), e si è espressa in molteplici forme: dall’assistenza ai ricercati ( oppositori politici, renitenti alla leva, ebrei…) all’attività di controinformazione e di diffusione della stampa clandestina.

 

Quasi sempre, chi la praticava non era consapevole di attuare una tecnica di azione nonviolenta; semplicemente riteneva che quel comportamento fosse “efficace”, anche più della lotta armata.

 

La Resistenza non armata non ha avuto sempre successo: molto è dipeso dalle “circostanze” nelle quali è stata attuata. Comunque anche la lotta armata non è sempre efficace e, inoltre, comporta molto spesso la perdita di molte vite umane.

 

La Resistenza non armata ha contribuito sicuramente, per il suo carattere “popolare”, al successo della Resistenza armata.

 

La Resistenza non armata ha sicuramente reso meno cruenta la repressione nazista, in quanto gli occupanti, spesso, non hanno reagito in modo spietato alla azioni di Resistenza non armata, soprattutto se attuate da ampi settori della popolazione. Inoltre, la Resistenza non armata ha salvato molte vite, da entrambe le parti in lotta,proprio perché non si faceva ricorso all’uso delle armi.

 

In sintesi, la Resistenza non armata: ha dato un notevole contributo alla lotta di liberazione contro l’occupante nazifascista; è stata altrettanto rischiosa di quella armata, in quanto molti hanno pagato con la vita il loro impegno patriottico; ha addirittura salvato delle vite proprio perché non si faceva ricorso all’uso delle armi. 

 

Alcune forme di Resistenza non armata

 

La Resistenza non armata si è espressa in molteplici forme, quali:

 

1. L’attività di assistenza, mediante la fornitura di alloggio e di cibo ai ricercati dai nazifascisti: ebrei; antifascisti; soldati sbandati e prigionieri di guerra Alleati, fuggiti dai Campi di concentramento dopo l’8 settembre 1943; renitenti alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale Italiana;le persone che non si sono presentate nel Servizio Obbligatorio del Lavoro.

 

2. L’informazione clandestina, soprattutto attraverso la diffusione dei giornali e dei volantini curati dai Partiti e dai Movimenti antifascisti,ma anche attraverso l’apposizione di scritte, sui muri delle case, sui marciapiedi, nei bagni dei locali pubblici e nelle carrozze ferroviarie, inneggianti alla lotta contro il nazifascismo e per la liberazione dall’occupazione nazista.

 

3. Il sabotaggio della produzione industriale, delle linee telefoniche, delle ferrovie e delle attrezzature (ad es. molto diffuso nelle campagne era il sabotaggio delle macchine trebbiatrici per evitare che i tedeschi depredassero i cereali coltivati).

 

4. Il boicottaggio delle disposizioni emanate dalle autorità nazifasciste, pubblicizzate con appositi bandi, la cui inosservanza creava notevoli difficoltà alle forze di occupazione naziste ed alle autorità civili e militari fasciste (ricordiamo il rifiuto delle donne di Carrara di abbandonare la città, che doveva essere evacuata in quanto caposaldo della Linea Gotica fino a Rimini).

 

5. Le manifestazioni politiche, come i comizi volanti, in occasione di particolari ricorrenze (ad es. il 1° maggio, festa dei lavoratori, e il 7 ottobre, anniversario della Rivoluzione Russa del 1917) e le lotte nelle fabbriche, come gli scioperi, organizzati sia al livello locale che nazionale, con diverse motivazioni: dalla richiesta di aumenti salariali e di migliori condizioni di lavoro, alla protesta contro la guerra ed alla richiesta della pace.

 

Al riguardo, ricordiamo lo sciopero organizzato nel marzo 1943, durante il regime fascista, a Torino (poi estesosi anche a Milano), per chiedere miglioramenti economici e provvidenze per i cittadini rimasti “senza casa” a causa dei bombardamenti aerei angloamericani. Ricordiamo anche lo sciopero attuato a Torino, Milano e Genova (il cosiddetto triangolo industriale)nel marzo 1944, in piena occupazione nazista, per chiedere la fine della guerra e la cacciata degli occupanti tedeschi, con oltre 500 mila partecipanti. È stato lo sciopero più grande in un Paese occupato dai nazisti.

 

Ricordiamo anche la Resistenza non armata,attuata nei Campi di concentramento tedeschi da circa 650.000 nostri soldati catturati dai nazisti, dopo l’8 settembre,in Italia a nei vari “fronti di guerra” (Balcani, Grecia, Francia Meridionale), internati nei lager come Internati Militari Italiani (IMI), e quindi senza la protezione delle Convenzioni di Ginevra sui prigionieri di guerra,che sono stati utilizzati come manodopera a basso costo nelle fabbriche belliche del Terzo Reich.

 

La maggior parte di loro hanno preferito rimanere nei lager, rifiutando di rientrare in Italia per arruolarsi nelle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana-RSI,esprimendo così una chiara scelta antifascista,in conseguenza della quale circa 30.000 di essi ( il 5%) sono morti per le precarie condizioni dell’internamento e per la durezza delle condizioni di lavoro nelle fabbriche belliche.

 

In particolare,riguardo a Roma, ricordiamo la Resistenza non armata attuata dai docenti delle Scuole Superiori romane,che hanno organizzato, il 29 gennaio 1944,uno sciopero nelle Scuole,coinvolgendo anche gli studenti, e la Resistenza attuata dagli studenti universitari romani, che hanno bloccato,nel gennaio 1944, l’attività didattica in alcune Facoltà.

 

Ricordiamo anche la Resistenza non armata,attuata da alcune categorie professionali, quali i medici ( che nascondevano i ricercati nei reparti degli ospedali), i portieri ( che non informavano le autorità nazifasciste sulla presenza delle persone “nascoste” nel loro palazzo), i postelegrafonici (che aggiravano la censura della corrispondenza), i dipendenti comunali che procuravano documenti per gli antifascisti ed i ricercati),i tramvieri ( che spesso salvavano le persone dai rastrellamenti).

 

Ricordiamo infine la Resistenza non armata attuata dalle donne di alcuni quartieri romani,che nella primavera 1944, in piena occupazione nazista, hanno protestato contro il rastrellamento dei loro uomini ( mariti,figli, fratelli), che dovevano essere avviati al lavoro nelle retrovie del fronte di Cassino o nelle fabbriche belliche tedesche, ed hanno assaltato i forni per procurarsi il pane per alimentare i propri cari.

 

È doveroso rivalutare la Resistenza non armata

Per una analisi approfondita e obiettiva della Resistenza, dal settembre 1943 all’aprile 1945, è necessario superare la logica della sua “militarizzazione”, che ha condizionato per molti anni la ricerca storica, ed iniziare finalmente a rivalutare ed a mettere nella giusta considerazione quei fatti che finora sono stati “collegati” alla Resistenza armata e che invece sono espressione di una “forma autonoma di Resistenza”, e nel contempo ricercare e rivalutare gli episodi più significativi di Resistenza non armata, che ha avuto una dimensione popolare e di massa.

 

Questa ricerca non solo è doverosa, ma è anche urgente perché la conoscenza dei fatti rischia di perdersi con la scomparsa dei protagonisti e dei testimoni diretti. In questa direzione, è necessario un concreto impegno di ricerca non solo da parte degli Istituti storici della Resistenza, ma anche dei Dipartimenti di Storia Contemporanea delle Università, dato che si tratta di scoprire e valorizzare un “pezzo” importante della nostra storia contemporanea, i quali dovrebbero favorire la concessione di tesi di laurea o di dottorato su questo argomento.

 

La ricerca storica, come tutte le attività di ricerca, è un processo che si evolve continuamente, con il passare del tempo, anche perché guardiamo al “passato” in modo diverso perché diverse sono le domande che ci poniamo ed alle quali cerchiamo di rispondere. Infatti, sempre diversa è la prospettiva attraverso la quale vediamo i fatti di un certo periodo,anche perchè muta il clima culturale e sociale. Pertanto, un determinato periodo storico può, e deve, essere studiato in modo nuovo o diverso dal passato e può rivelare “aspetti nuovi”.

 

Riguardo alla Resistenza al nazifascismo, a distanza di 70 anni da quel periodo (1943-1945) è doveroso rilanciare gli studi e le ricerche sulla Resistenza non armata per riconoscerle il giusto “ruolo”, rivalutando l’attività di quanti hanno lottato,senza armi, per la libertà del nostro Paese, pagando molto spesso un prezzo altissimo, quello della propria vita, senza comunque nulla togliere a coloro che hanno combattuto con le armi (i partigiani combattenti) contro l’occupante nazista ed il risorto fascismo, al suo servizio.

 

Infatti, la Resistenza non armata non deve incrinare l’unità della Resistenza,aprendo una diversità, o addirittura una “contrapposizione”, tra Resistenza armata e Resistenza non armata, basata sui diversi “mezzi” usati (con le armi e senza le armi) e quindi sulle diverse modalità di lotta, attribuendo ad esse,addirittura, un “valore diverso”, come se si dovesse stabilire tra di loro una “gerarchia”, sia sul piano politico che etico. Si deve, semplicemente, riconoscere ufficialmente, che accanto alla Resistenza armata c’è stata anche la Resistenza non armata e quindi entrambe meritano “pari dignità”.

 

Infatti,coloro che hanno praticato queste due forme di Resistenza, hanno contribuito alla lotta per la libertà del nostro Paese, sia dall’occupante nazista che dal risorto fascismo. Del resto, tutti i Resistenti, sia quelli che hanno ritenuto necessario o inevitabile ricorrere all’uso delle armi sia quelli che ,invece, per le proprie convinzioni morali, filosofiche o religiose non hanno usato le armi, hanno fatto una scelta: quella di obbedire alla propria coscienza e di dire No alla sopraffazione e di lottare per riconquistare la libertà perduta. Entrambe le “scelte” fatte, meritano rispetto, anche perché in entrambi i casi, si è rischiata la vita.

 

Un ruolo importante nella rivalutazione della Resistenza non armata possono svolgere gli Enti Locali, soprattutto i Comuni, bandendo Concorsi per gli studenti delle Scuole Medie Inferiori e Superiori, al fine della ricerca e del recupero degli episodi di Resistenza non armata attuati nel proprio territorio.

 

Confidiamo, pertanto, che la Resistenza non armata possa essere finalmente rivalutata in occasione del settantennale della Resistenza.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.