N. 147 - Marzo 2020
(CLXXVIII)
LE
REPUBBLICHE
MARINARE
Astuti
commercianti
e
abili
combattenti
di
Francesco
Giannetti
Nei
primi
secoli
dell’età
medievale,
l’Occidente,
in
pieno
declino
demografico,
comprime
il
volume
della
produzione
e
degli
scambi;
alcune
città
italiane
riescono
però
a
inserirsi
in
modo
vantaggioso
negli
spazi
commerciali
dell’Impero
bizantino
e
nel
mondo
arabo.
Si
tratta
di
città
costiere
che
normalmente
dipendono
da
Bisanzio,
con
cui
sono
quindi
generalmente
in
buoni
rapporti,
ma
che
possono
profittare
dell’autonomia
di
fatto
della
quale
godono.
In
questa
posizione
favorevole
si
trovano
soprattutto
antichi
o
più
recenti
centri
del
Lazio
meridionale,
della
Campania,
della
Puglia
e
della
Calabria:
Napoli,
Gaeta,
Amalfi,
Salerno,
Otranto,
Bari,
Taranto
e
Reggio.
Il
ruolo
iniziale
dei
mercanti
meridionali,
fino
all’inizio
del
IX
secolo
è
soprattutto
quello
di
mediare
tra
i
produttori
dell’entroterra
longobardo
e i
mercanti
bizantini,
attivi
lungo
le
coste;
già
nella
seconda
metà
del
secolo
però,
gli
italiani
cominciano
ad
assumere
in
proprio
l’iniziativa
commerciale
con
Costantinopoli
e
diventano
il
perno
degli
scambi
fra
aree
longobarde,
bizantine
e
musulmane.
È
questo
il
caso
particolare
di
Amalfi,
la
più
dinamica
fra
le
città
costiere
meridionali:
nel
X
secolo
è il
porto
più
vivace
d’Italia,
dispone
di
una
base
a
Costantinopoli
ed è
attiva
in
Sicilia,
nella
penisola
iberica,
nel
Maghreb,
in
Siria
e al
Cairo.
Il
suo
ruolo
di
intermediazione
commerciale
si
esplica
mediante
l’esportazione
dei
prodotti
dell’agricoltura
campana
sui
mercati
orientali
e
islamici,
dove
avviene
a
compravendita
di
schiavi,
stoffe,
oggetti
preziosi,
legno
e
ferro.
Anche
Gaeta
e
Bari
giungono,
fra
X e
XI
secolo,
a
conquistare
un
proprio
spazio
in
Oriente:
la
prima,
già
in
concorrenza
con
Amalfi,
soprattutto
in
Egitto
e in
Libano,
la
seconda
a
Costantinopoli
e
Antiochia.
Attraverso
i
mercanti
di
Bari
e
Gaeta,
olio,
vino
e
frumento
prendono
la
via
dell’Oriente;
cotone
e
pepe
quella
contraria.
Già
nella
seconda
metà
dell’XI
secolo
le
città
meridionali
perdono
di
centralità,
scontando
soprattutto
la
distanza
dai
porti
di
un’Europa
continentale
in
piena
ripresa,
la
perdita
di
autonomia
a
seguito
della
conquista
normanna
e la
scarsa
attenzione
al
commercio
delle
loro
classi
dirigenti,
ancora
in
larga
misura
legate
all’aristocrazia
fondiaria:
un’attenzione,
invece,
che
risulta
fin
da
principio
determinante
sia
per
la
repubblica
di
Venezia
sia
per
le
emergenti
città
costiere
del
Tirreno,
Pisa
e
Genova,
la
cui
concorrenza
sarà
un
altro
fattore
decisivo
per
il
declino
del
XII
secolo.
La
città
marinara
destinata
a
più
lunga
fortuna
è
Venezia
fondata
tra
V e
Vi
secolo
dagli
abitanti
di
città
venete
in
fuga
dalle
guerre
del
primo
Medioevo,
poi
formalmente
soggetta
a
Bisanzio,
ma
retta
da
un
doge
autonomo
già
nella
seconda
metà
dell’VIII
secolo.
La
città
gode
di
una
posizione
fortunata,
al
crocevia
tra
l’Impero
d’Oriente
e
quello
di
Occidente,
ma
spinge
precocemente
anche
altrove
le
proprie
iniziative
commerciali
e
militari.
I
traffici
con
il
mondo
arabo,
già
a
partire
dall’VIII
secolo,
permettono
a
Venezia
di
vendere
il
legname
delle
foreste
tedesche,
ricevendo
in
pagamento
oro
utile
per
l’acquisto
di
spezie,
preziosi
e
stoffe
sui
mercati
dell’Oriente
bizantino.
I
prodotti
vengono
poi
riversati
in
Occidente,
dove
è
ancora
presente
la
domanda
dei
beni
di
lusso,
soprattutto
nella
sede
pontificia,
a
Cremona
e a
Pavia,
capitale
longobarda
e
poi
carolingia.
L’affermazione
sull’Adriatico
conduce
i
Veneziani
a
sconfiggere
ripetutamente
i
Saraceni,
induce
i
dogi
ad
assumere
il
titolo
di
duces
Venetiarum
et
Dalmatiarum
e
accentua
la
concorrenza
con
altri
centri
marittimi,
soprattutto
con
Ancona
e
sulla
sponda
opposta,
con
Ragusa,
nonché
l’impegno
per
bloccare
l’espansionismo
croato
e
ungherese.
La
fortuna
di
Venezia
si
costruisce
però,
soprattutto
a
spese
dell’Impero
bizantino:
qui
il
commercio
è
trascurato
dallo
stato
e
dalle
classi
dirigenti,
che
lo
considerano
poco
remunerativo
e
socialmente
sconveniente.
Questa
circostanza,
unità
all’instabilità
che
Bisanzio
attraversa
nella
seconda
metà
dell’XI
secolo,
favorisce
l’inserimento
dei
mercanti
Veneziani
nel
commercio
marittimo
in
area
imperiale.
Nel
1082,
in
particolare,
i
Veneziani
ottengono
un’esenzione
totale
dai
dazi
commerciali,
in
cambio
dell’aiuto
che
la
loro
flotta
porta
all’Impero
minacciato
dai
Normanni.
Nella
prima
metà
del
XII
secolo
le
esenzioni
fiscali
vengono
estese
anche
ai
commerci
con
Cipro
e
con
Creta.
Acquisita
una
posizione
di
privilegio
e
compiuta
anche
un’evoluzione
istituzionale
interna,
decisiva
per
la
tutela
delle
politiche
commerciali
i
Veneziani
si
apprestano
a
infiltrarsi
in
profondità
nella
vita
economica
dell’Impero
favoriti
dalla
mancanza
di
una
concorrenza
temibile,
dalla
capacità
di
conquistare
un
ruolo
quasi
esclusivo
anche
nei
commerci
interni
dell’Impero
e
della
ripresa
produttiva
europea,
che
accentua
l’importanza
del
ruolo
intermediario
svolto
da
Venezia.
Pisa,
avvantaggiata
da
una
posizione
difendibile
con
relativa
facilità,
patisce
solo
in
parte
gli
sconvolgimenti
dell’alto
Medioevo,
mantiene
a
lungo
una
buona
importanza
commerciale
e
conquista
presto
una
discreta
autonomia
politica;
a
partire
dal
IX-X
secolo,
la
minaccia
saracena
nel
Tirreno
la
induce
a
potenziare
le
proprie
flotte,
ponendo
le
premesse
per
rilanciare
la
propria
fortuna
commerciale
anche
nel
Medioevo
centrale.
Anche
Genova
goda
di
un’autonomia
politica
di
cui
sono
protagonisti,
fin
dalla
fine
del
X
secolo,
ceti
in
larga
misura
di
origine
mercantile,
organizzati
nelle
“compagne”,
che
ne
guidano
la
crescita
in
direzione
di
una
notevole
attività
commerciale.
Le
due
città
condividono
una
posizione
favorevole
per
trarre
vantaggio
dalla
ripresa
degli
scambi
tra
Europa
continentale
e
Mediterraneo;
sono
ostacolate,
però,
dalla
presenza
dei
pirati
saraceni
nel
Tirreno:
operano
quindi
in
modo
congiunto
e
con
successo
per
combatterli,
sostenute
dalle
aristocrazie
cittadine
e
dalla
predicazione
pontificia
contro
gli
infedeli.
Tra
il
1015
e il
1016
li
cacciano
dalla
Sardegna
e
dalla
Corsica;
successivamente
i
Genovesi
si
dirigono
contro
le
basi
saracene
della
costa
spagnola
meridionale
e i
Pisani
compiono
incursioni
in
Sicilia
e,
ancora
i
Genovesi,
in
Africa.
Da
al-Mahdiyya,
in
Tunisia,
Pisani
e
Genovesi
riportano
nel
1087
privilegi
commerciali
e un
ricco
bottino,
col
quale
potenziano
le
flotte
mercantili
e
avviano
la
penetrazione
commerciale
anche
in
Oriente.
Il
Tirreno
e
l’Oriente,
ma
anche
le
coste
iberiche
e
poi
quelle
della
Francia
meridionale,
in
fase
di
espansione
commerciale,
diventano
in
seguito
i
fronti
lungo
i
quali
si
svilupperà
fra
Pisa
e
Genova
una
concorrenza
aspra,
da
cui
la
prima
uscirà
sconfitta.
Tra
XI e
XII
secolo
sono
Pisa
e
Genova
a
controllare
le
iniziative
sul
Mediterraneo
occidentale.
In
occasione
della
spedizione
per
la
riconquista
delle
Baleari,
1113-1115,
avviene
il
primo
scontro
tra
di
loro
di
quella
che
sarà
una
vera
e
propria
lotta
secolare
per
la
supremazia
sul
mare.
Soltanto
a
seguito
della
battaglia
della
Meloria,
nel
1284,
Genova
strappa
a
Pisa
la
supremazia
sul
Mediterraneo
occidentale.
La
città
ligure
si
afferma
commercialmente
nel
sud
della
Francia
e
controlla
la
Corsica,
mentre
più
complessa
rimane
la
situazione
nella
Sardegna
prevalentemente
dominata
dai
Pisani.
I
viaggiatori
che
passano
da
Genova
vengono
colpiti
dalle
galee
e
dalle
case
torri
simbolo
di
una
città
pronta
a
difendersi
in
periodo
di
guerra.
Tra
il X
e
XII
secolo
i
Genovesi
ottengono
privilegi
per
commerciare
in
Egitto,
in
Siria,
in
vari
porti
della
Palestina
e
controllano
il
commercio
con
il
Mar
Nero.
Nei
territori
sottoposti
ai
Fatimidi
la
presenza
dei
mercanti
genovesi
è
tuttavia
concessa
solo
per
il
tempo
di
portare
a
termine
le
operazioni
commerciali.
Un’altra
area
privilegiata
dal
commercio
genovese
è
l’Andalusia
musulmana,
terra
di
esportazione
di
numerose
materie
prime
e
prodotti
alimentari
come
seta,
legna,
frutta,
olio,
rivenduti
poi
nei
porti
levantini
per
acquistare
beni
di
lusso.
Per
Pisa
questi
due
secoli
sono
costellati
da
imprese
gloriose,
di
cui
la
piazza
monumentale
del
duomo
conserva
ancora
oggi
la
memoria.
La
stessa
cattedrale
viene
infatti
iniziata
a
seguito
del
saccheggio
del
porto
di
Palermo,
allora
in
mano
agli
arabi.
Oltre
a
commerciare
pacificamente
a
negoziare
con
le
autorità
musulmane,
i
Pisani
e i
Genovesi
sono
pronti
a
guadagnarsi
dei
profitti
anche
attraverso
la
guerra
di
corsa
e la
pirateria.
Le
fonti
arabe
di
questi
periodo
li
definiscono
guerrieri
terribili,
ma
anche
viaggiatori
e
abili
commercianti
capaci
di
vendere
le
stesse
armi
con
cui
li
combattono.
A
metà
del
XII
secolo
Pisa
è
ricordata
dalle
fonti
arabe
come
un
centro
cosmopolita,
celebre
per
i
mercati
fiorentini,
gli
ampi
orti
e
giardini,
ma
anche
come
città
aggressiva
e
minacciosa,
con
una
popolazione
a
capo
di
navi
e
cavalli
in
grado
di
compiere
grandi
imprese
marittime.
A
pochi
chilometri
a
sud
del
porto
fluviale
sorge
Porto
Pisano,
adatto
ad
accogliere
imbarcazioni
più
grandi.
Fra
la
fine
dell’XI
secolo
e la
fine
del
XIII,
un
Occidente
in
piena
espansione
demografica
di
indirizza
aggressivamente
verso
Gerusalemme
e la
Terrasanta,
dapprima
in
modo
disordinato,
poi
in
forme
più
organizzate,
all’interno
delle
quali
il
viluppo
di
ispirazioni
religiose
e
spinte
economiche
e
politiche
è
sempre
molto
forte.
La
prima
crociata
porta
alla
conquista
di
Gerusalemme
nel
1099
e
alla
formazione
di
diversi
stati
latini
lungo
la
fascia
costiera
tra
Libano,
Siria
e
Turchia.
Poiché
la
Terrasanta
occupa
una
posizione
importante
per
i
commerci
con
l’Oriente,
i
centri
mercantili
europei
vengono
coinvolti.
Genova
e
Pisa,
avendo
messo
a
disposizione
le
proprie
navi
per
il
trasporto
dei
crociati,
vengono
compensate
con
privilegi
commerciali
nel
Levante;
Venezia,
invece,
inizialmente
è
meno
partecipe,
poiché
teme
che
le
imprese
armate
possano
compromettere
la
rete
di
rapporti
commerciali
costruita
nel
tempo
con
i
musulmani.
Anche
i
Veneziani
però,
riescono
a
cogliere
le
nuove
opportunità
che
le
crociate
aprono
loro,
e vi
si
inseriscono
vantaggiosamente.
I
mercanti
delle
tre
città
centro-settentrionali
stabiliscono
basi
commerciali
in
tutti
i
centri
portuali
più
importanti
della
Terrasanta
conquistati
dai
cristiani,
e le
gestiscono
in
modo
autonomo,
come
vere
colonie
governate
da
magistrati,
inviati
dalla
madrepatria
o
scelti
localmente.
Mentre
Pisa,
Genova
e
Venezia
rafforzano
la
propria
presenza
in
Oriente,
le
città
meridionali
si
avviano
verso
il
declino.
La
stessa
Amalfi,
che
aveva
in
quei
luoghi
basi
di
antica
data,
diventa
una
presenza
sempre
meno
significativa.
Il
suo
ruolo
nei
commerci
con
l’Impero
bizantino
si
era
già
ridotto
prima
della
crociata:
il
rapporto
privilegiato
istituito
dai
Bizantini
con
i
mercanti
veneziani
aveva
indotto
gli
Amalfitani
a
concentrare
i
propri
interessi
sui
traffici
con
i
musulmani,
tanto
da
evitare
di
partecipare
alla
crociata.
Ma
l’iniziativa
cristiana,
smorzata
tra
il
1144
e il
1187
dalla
riscossa
musulmana
e
poi
rilanciata
a
più
riprese
lungo
tutto
il
XIII
secolo,
compromette
irreversibilmente
gli
equilibri
economici
del
Medio
Oriente
sui
quali
la
città
campana
aveva
fatto
affidamento.
Il
suo
declino,
accelerato
dalla
conquista
normanna
e
dai
saccheggi
pisani
del
1135
del
1137,
è
già
chiaro
a
metà
del
XII
secolo.
La
concorrenza
commerciale,
che
ridimensiona
il
ruolo
non
solo
di
Amalfi,
ma
anche
di
molte
altre
città
marinare
meridionali,
non
tarderà
a
manifestarsi
ripetutamente
anche
fra
quelle
del
centro-nord.
Riferimenti
bibliografici:
Bragadin
M.A.,
Storia
delle
repubbliche
marinare,
Odoya,
Bologna
2010.
Lane
F.C.,
Storia
di
Venezia,
Einaudi,
Torino
2015.
Mitterauer
M.,
Morrisey
J.,
Pisa
nel
medioevo.
Potenza
sul
mare
e
motore
di
cultura,
Viella,
Roma
2015.
Musarra
A.,
Genova
e il
mare
nel
medioevo,
Il
Mulino,
Bologna
2015.