N. 77 - Maggio 2014
(CVIII)
La Repubblica Romana
La fine del potere temporale dei Papi
di Christian Vannozzi
La
Repubblica
Romana
può
essere
considerata
il
simbolo
del
Risorgimento
Italiano,
in
quanto
pose
fine
al
potere
temporale
dei
Papi
e
ridiede
nuova
linfa
alla
città
un
tempo
capitale
dell’Impero
Romano.
La
Repubblica
fu
considerata
il
primo
passo
verso
l’unificazione
nazionale
sotto
la
sua
legittima
capitale
Roma.
Le
origini
devono
essere
rintracciate
negli
avvenimenti
che
investirono
tutta
l’Europa
a
partire
dal
gennaio
del
1848,
anno
in
cui
le
popolazioni
europee
cercarono,
attraverso
la
via
rivoluzionaria,
di
affrancarsi
dal
potere
oppressivo
degli
imperi
stranieri.
La
prima
città
europea
che
si
ribellò
al
governo
straniero
fu
Palermo
il
12
gennaio,
a
cui
seguì
Napoli
il
27.
Il
sovrano
borbonico
del
Regno
di
Napoli
fu
costretto
a
concedere
la
costituzione,
seguito
dal
Granduca
di
Toscana
Leopoldo
l’11
febbraio.
Il
22
febbraio
la
rivoluzione
scoppiò
anche
a
Parigi,
capitale
del
primo
popolo
che
si
era
ribellato
alla
monarchia
e
alla
dittatura
con
Robespierre.
In
Francia
fu
ripristinata
la
repubblica,
e
Venezia
proclamò
la
sua
indipendenza
dall’Austria
con
il
patriota
Manin.
Il
18
marzo
anche
Milano
insorse,
contemporaneamente
alla
rivolta
di
Vienna
che
vide
le
dimissioni
del
Primo
Ministro
Metternich,
il
principe
che
fu
l’anima
del
congresso
di
Vienna
e
che
voleva
spazzare
via
tutti
gli
ideali
rivoluzionari
portati
in
auge
da
Parigi
e
dai
filosofi
illuministi.
Il
21
marzo
Leopoldo
II
di
Toscana
dichiarò
guerra
all’Austria
e
scese
in
campo
son
il
suo
esercito
per
combattere
assieme
agli
insorti
milanesi.
La
scelta
del
Granduca
può
essere
rintracciata
nel
movimento
nazionale
e
antiaustriaco
che
infervorava
Firenze
e
tutta
la
Toscana.
Al
Granducato
di
Toscana
si
unì
il
Regno
di
Sardegna,
che
scese
in
capo
al
comando
dello
stesso
re
Carlo
Alberto,
due
contingenti
Papali,
uno
ufficiale
e
uno
volontario,
voluti
dallo
stesso
Pontefice
Pio
IX,
considerato
un
sovrano
di
idee
liberali,
e un
contingente
napoletano.
L’alleanza
tra
i
vari
regni
italici
fu
però
di
breve
durata,
in
quanto
ben
presto
Pio
IX
tornò
sui
suoi
passi
e il
29
aprile
del
1948
condannò
pubblicamente
la
guerra
che
i
principi
italiani,
lui
incluso,
stavano
conducendo
contro
l’impero
austriaco.
Il
Papa
dichiarò
apertamente
che
il
contingente
ufficiale
pontificio
si
era
recato
solo
al
confine
del
patrimonio
di
San
Pietro
per
difendere
i
territori
della
Chiesa
e
non
per
attaccare
l’Austria.
"…
ai
nostri
soldati
mandati
al
confine
pontificio
raccomandammo
soltanto
di
difendere
l'integrità
e la
sicurezza
dello
Stato
della
Chiesa.
Ma
se a
quel
punto
alcuni
desideravano
che
noi
assieme
con
altri
popoli
e
principi
d'Italia
prendessimo
parte
alla
guerra
contro
gli
Austriaci...
ciò
è
lontano
dalle
Nostre
intenzioni
e
consigli…".
Il
Pontefice
si
rese
conto
di
combattere
una
guerra
che
avrebbe
favorito
solo
il
Regno
di
Sardegna,
e
rischiava
di
inimicarsi
i
cattolici
austriaci
e
tedeschi,
che
avevano
sempre
mostrato
fedeltà
al
soglio
Papale.
Fu
in
quel
momento
che
successe
qualcosa
di
inaspettato.
Le
guarnigioni
romane
decisero
di
non
accettare
l’ordine
del
Papa
e
rimasero
entrambe
a
combattere
in
Veneto,
per
supportare
il
patriota
Manin.
A
Roma,
nel
frattempo,
si
intensificava
l'opposizione
alla
decisione
del
Papa,
accentuata
dopo
il
saccheggio
dei
territori
pontifici
al
confine
austriaco.
Il
generale
Franz
Ludwing
Welden
saccheggiò
Bologna
e
Ferrara,
indignando
sia
la
popolazione
che
tutti
i
patrioti
italiani
presenti.
Si
giunse
alla
conclusione
che
non
ci
si
poteva
fidare
degli
austriaci.
La
Guardia
Civica,
voluta
dal
nuovo
pontefice
per
aggraziarsi
i
cittadini
romani,
occupò
Castel
Sant'Angelo.
Ne
seguirono
le
dimissioni
del
governo
in
carica
presieduto
dal
cardinale
Giacomo
Antonelli
e da
Marco
Minghetti,
futuro
esponente
di
spicco
del
parlamento
dell'Italia
unitaria.
Il
nuovo
governo
fu
affidato
a
Terenzio
Mamiani,
Il
Papa
scrisse
anche
personalmente
una
lettera
all'imperatore
Ferdinando
affinché
rinunciasse
al
Lombardo-Veneto
in
nome
dell'indipendenza
degli
Stati
italiani.
Questa
mossa
politica
ebbe
un
grosso
eco
tra
i
liberali
italiani,
che
tornarono
a
nutrire
nuova
fiducia
nei
confronti
del
Papa.
L'imperatore
si
dimostrò
sordo
alla
lettera
del
Papa,
e
questo
porto
Mamiani
alle
dimissioni,
in
quanto
non
accettava
il
neutralismo
di
Pio
IX
davanti
all'offesa
ricevuta
dagli
austriaci.
Il
nuovo
governo
formato
da
Odoardo
Fabbri
cercò
di
ristabilire
la
pace
a
Ferrara
e
Bologna
che
erano
insorte
contro
Vienna,
ma
non
vi
riuscì
e fu
costretto
alle
dimissioni,
rassegnate
il
16
settembre.
L'incarico
di
formare
un
nuovo
governo
fu
allora
affidato
a
Pellegrino
Rossi,
di
idee
liberali
e
risorgimentali.
Il
nuovo
ministro
iniziò
a
elargire
pensioni
e
sussidi
sia
ai
feriti
di
guerra
che
alle
vedove,
e
chiamò
a
dirigere
la
difesa
il
generale
Carlo
Zucchi,
patriota
risorgimentale
e
generale
di
Eugenio
Beauhamais,
figlio
della
moglie
di
Napoleone
I e
vice
re
d'Italia
fino
al
1814.
Il
ministro
dovette
però
scontarsi
con
la
forte
ostilità
degli
alti
prelati
della
corte
Papale,
che
vedevano
in
lui
una
minaccia
per
i
propri
privilegi.
Per
non
rischiare
di
perdere
l'appoggio
del
Papa,
Pellegrino
attivò
una
serie
di
riforme
moderate,
che
però
non
accontentarono
ne i
liberali
laici
ne
gli
ecclesiastici
conservatori,
generando
un
forte
malcontento
in
città.
Il
15
novembre
Pellegrino
Rossi
venne
accoltellato
in
un
tumulto
popolare.
Il
Papa
iniziò
così
a
capire
che
non
poteva
più
rimanere
sulle
sue
posizioni.
Il
movimento
di
protesta
arrivò
sotto
il
Quirinale,
dove
ci
fu
uno
scontro
con
le
guardie
svizzere.
Per
cercare
un
compromesso
con
i
liberali
Pio
IX
nominò
ministro
il
democratico
Giuseppe
Galletti,
ma i
patrioti
presenti
a
Roma
continuavano
a
chiedere
la
guerra
all’Austria,
e il
ministro
Galletti
fu
esautorato.
Un
nuovo
esperimento
di
governo
fu
iniziato
con
monsignor
Carlo
Emanuele
Muzzarelli,
un
alto
prelato
di
orientamento
liberale,
che
formò
un
governo
presieduto
da 6
ministri.
Il
24
novembre
Pio
IX
fuggì
da
Roma,
vestito
da
prete
e in
incognito.
Si
rifugiò
nella
fortezza
di
Gaeta,
sotto
la
protezione
dei
Borbone
di
Napoli.
Dal
suo
nuovo
palazzo
richiese
l'intervento
di
tutte
le
potenze
cattoliche
affinché
ripristinassero
l'ordine
a
Roma
e
ristabilissero
il
suo
rientro
sul
soglio
di
Pietro.
Con
la
fuga
del
Papa
si
istituì
una
costituente
per
la
Repubblica
Romana,
le
cui
elezioni
furono
indette
per
il
26
novembre.
Il 5
febbraio
fu
proclamata
la
Repubblica
e il
suo
decreto
fondamentale:
Decreto
fondamentale
della
Repubblica
Romana
Art.
1:
Il
Papato
è
decaduto
di
fatto
e di
diritto
dal
governo
temporale
dello
Stato
Romano.
Art.
2:
Il
Pontefice
Romano
avrà
tutte
le
guarentigie
necessarie
per
l'indipendenza
nell'esercizio
della
sua
potestà
spirituale.
Art.
3:
La
forma
del
governo
dello
Stato
Romano
sarà
la
democrazia
pura
e
prenderà
il
glorioso
nome
di
Repubblica
Romana.
Art.
4:
La
Repubblica
Romana
avrà
col
resto
d'Italia
le
relazioni
che
esige
la
nazionalità
comune.
»
(Assemblea
Costituente
Romana.
Roma,
9
febbraio
1849.
Un'ora
del
mattino.
Il
Presidente
dell'Assemblea
G.
Galletti.)
Le
truppe
del
Regno
di
Sardegna,
rimaste
sole,
furono
sconfitte
a
Novara,
e
l’esercito
imperiale
poté
così
occupare
Ferrara,
Bologna,
e
Firenze,
che
non
riuscirono,
da
sole,
a
sostenere
l'urto
di
uno
degli
eserciti
più
forti
d'Europa.
L’aiuto
per
Pio
IX
giunse
inaspettatamente
dal
laico
presidente
della
nuova
Repubblica
Francese,
Luigi
Napoleone,
che
inviò,
verso
la
Città
Eterna,
7000
soldati
sotto
il
comando
del
Generale
Oudinot.
Il
contingente
sbarcò
a
Civitavecchia
senza
che
nessuno
lo
osteggiasse.
La
Repubblica
Romana
non
disponeva
infatti
di
nessun
esercito.
L'assemblea
Costituente
formò,
per
contrastare
l’invasione,
un
Triumvirato
formato
da
Mazzini,
Armellini
e
Saffi.
Ufficialmente
la
Francia,
secondo
il
dettato
della
sua
costituzione,
non
poteva
intervenire
contro
una
repubblica
democraticamente
scelta
dal
popolo,
quindi
l'intervento
armato
per
riportare
Pio
IX
sul
trono
era
propriamente
anti-costituzionale,
ma
le
aspirazioni
imperiali
di
Luigi
Napoleone
andavano
ben
oltre
la
costituzione
della
Seconda
Repubblica.
Il
27
aprile
sbarcarono
ad
Anzio,
per
difendere
la
Repubblica,
i
bersaglieri
lombardi
comandanti
da
Luciano
Manara,
patriota
che
si
distinse
nella
guerra
all'Austria.
Il
30
aprile
le
truppe
francesi
furono
rovinosamente
respinte
dal
generale
Garibaldi
che
per
l’occasione
si
pose
al
comando
della
Guardia
Civica,
la
quale
prese
il
nome
di
Guardia
Nazionale.
Nel
mese
di
Giugno,
Luigi
Napoleone,
indispettito
per
la
sconfitta
avuta
alle
porte
di
Roma,
inviò
un’armata
di
ben
30000
soldati
al
generale
Oudinot,
con
lo
scopo
di
mettere
a
ferro
e
fuoco
la
Repubblica
Romana,
nonostante
il
plenipotenziario
Lesseps
si
accordò
con
Mazzini
per
un'alleanza
tra
le
due
repubbliche
che
si
consideravano
gemelle.
Il
trattato
di
Lesseps
fu
infatti
sconfessato
dallo
stesso
Presidente
francese
Napoleone,
che
richiamò
il
diplomatico
a
Parigi
e
ordinò
al
generale
Oudinot
l'attacco.
Inferiori
di
numero
i
romani
decisero
comunque
di
resistere,
e lo
fecero
per
tutto
il
mese
di
giugno,
nonostante
l'esercito
francese
bombardava
la
città
dal
Gianicolo.
La
repubblica
romana
fu
il
simbolo
più
alto
del
risorgimento
italiano,
poiché
vi
accorsero
patrioti
da
ogni
parte
d’Italia
e
d’Europa.
Polacchi,
tedeschi,
francesi,
e
ungheresi
combatterono
tra
le
file
di
Garibaldi,
contro
i
loro
stessi
connazionali,
in
nome
del
motto
francese
di
libertà,
uguaglianza
e
fratellanza
che
Luigi
Napoleone
aveva
cancellato.