N. 115 - Luglio 2017
(CXLVI)
La repressione della pedopornografia nel clero
contra sextum cum minore
di Claudio Gentile
Negli
ultimi
anni
del
secolo
scorso,
la
Chiesa
Cattolica
si è
trovata
a
dover
affrontare
il
grave
scandalo
dei
chierici
accusati
di
aver
abusato
sessualmente
dei
minori.
Nel
corso
dei
secoli, la
Chiesa
ha
sempre
contrastato
i
comportamenti
dei
religiosi ritenuti
non
conformi
all’agire
cristiano, tuttavia
le
norme
penali
previste
dal
diritto
canonico,
forse
per
un’errata
concezione
teologica
del
primo
periodo
postconciliare,
sono
state
oggetto,
fino
a
non
pochi
anni
fa,
di
numerose
contestazioni
da
parte
di
teologi
e pastoralisti,
i
quali
ritenevano
le
"norme"
e le
"sanzioni"
non
strettamente
pertinenti
alla
missione
della
Chiesa.
Ciò,
insieme
a
una
non
chiara
e
spesso
misconosciuta
formulazione
delle
stesse,
ha
portato
i
Vescovi
diocesani
a
evitare
il
più
possibile
l’uso
dell’azione
penale
e a
far
fronte
ai
delitti
anche
molto
gravi,
come
appunto
l’abuso
sui
minori
da
parte
dei
chierici,
utilizzando
l’arma
della
falsa
misericordia,
del
paternalismo,
del
silenzio,
del
permissivismo
e,
in
definitiva,
dell’impunità,
con
effetti
deleteri
e
devastanti
per
le
vittime
e,
in
definitiva,
per
la
Chiesa
stessa.
Naturalmente
va
tenuto
presente
che
l’ordinamento
canonico
"opera"
nella
sfera
spirituale
con
strumenti
e
procedimenti
del
tutto
peculiari:
i
reati
(detti
crimini)
si
riferiscono
a
situazioni
che
hanno
a
che
fare
con
aspetti
religiosi
o
morali
(ricezione
dei
sacramenti,
etc.)
o
con
la
disciplina
ecclesiastica
e,
non
potendo
utilizzare
la
forza
e un
sistema
penitenziario,
può
solo
intervenire
con
pene
rientranti
in
tali
ambiti,
la
massima
delle
quali,
oltre
alla
scomunica,
è "la
dimissione
dallo
stato
clericale",
cioè
"l’allontanamento"
dalle
funzioni
sacerdotali.
Ovviamente,
nei
rari
casi
in
cui
i
delitti
canonici
coincidono
in
tutto
o in
parte
anche
con
i
reati
previsti
nelle
legislazioni
civili,
nel
procedimento
punitivo
interverranno
autonomamente
e
separatamente
anche
i
singoli
ordinamenti
statali
come
avviene
nei
riguardi
di
tutti
i
loro
cittadini.
Premesso
questo,
è da
dire
che
il
delitto
di
abuso
sui
minori
non
è
sconosciuto
all’ordinamento
canonico.
Infatti
gli
abusi
commessi
da
sacerdoti
e
religiosi
sono
sempre
stati
condannati
sia
negli
scritti
dei
Padri
e
dei
Dottori
della
Chiesa,
sia
dei
Papi
e
negli
altri
documenti
ufficiali
(per
esempio
negli
atti
conciliari)
della
Chiesa.
Tuttavia
la
prima
volta
che
il
comportamento
che
oggi
definiremmo
pedofilo
viene
formalizzato
e
condannato
esplicitamente
è il
Codice
di
Diritto
Canonico
emanato
nel
1917,
il
quale,
al
can.
2359,
§ 2,
punisce
esplicitamente
i
chierici
colpevoli
di
un
delitto
contro
il
sesto
comandamento
("non
commettere
atti
impuri")
«cum
minoribus
infra
aetatem
sedecim
annorum».
Cinque
anni
dopo
l’emanazione
del
Codice
di
Diritto
Canonico
l’Istruzione
della
Congregazione
del
Sant’Uffizio
Crimen
sollicitationis
del
1922,
specifica
che
"qualsiasi
azione
oscena
esterna,
gravemente
peccaminosa,
compiuta
o
attentata
in
qualsiasi
modo
da
un
chierico
con
impuberi
di
ciascun
sesso"
(n.
73)
viene
riservata
all’esame
ed
al
giudizio
del
Sant’Uffizio.
Il
nuovo
Codice
di
Diritto
Canonico
del
1983,
riformato
anche
a
seguito
dei
Decreti
del
Concilio
Vaticano
II,
con
il
can.
1395,
§ 2,
ha
sostanzialmente
mantenuto
l’impianto
codiciale
preesistente
in
materia.
Dopo
l’esplosione
dei
numerosi
scandali
in
varie
parti
del
mondo
sul
finire
del
millennio
e
anche
alla
luce
di
un’accresciuta
sensibilità
internazionale
su
questi
argomenti,
la
Santa
Sede
ha
sentito
l’esigenza
di
rivedere
e
aggiornare
l’intera
normativa
riguardante
i
delitti
contro
i
minori.
Si è
quindi
giunti,
nel
2001,
all’emanazione,
da
parte
di
Giovanni
Paolo
II
su
proposta
della
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede,
allora
presieduta
dal
Card.
Joseph
Ratzinger,
del
Motu
Proprio
Sacramentorum
sanctitatis
tutela.
Con
questa
nuova
normativa,
novellata
e
integrata
nel
2010
da
Papa
Benedetto
XVI,
i
delitti
contro
i
minori
sono
stati
esplicitamente
considerati
tra
i
delitti
più
gravi
dell’ordinamento
canonico
e,
di
conseguenza,
proprio
a
causa
della
loro
singolare
gravità
e
dei
particolari
beni
giuridici
tutelati,
sono
stati
espressamente
confermati
di
esclusiva
competenza
della
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede,
che
ha
il
compito
precipuo
di
aiutare
il
Pontefice
nel
"promuovere
e
tutelare
la
dottrina
sulla
fede
ed i
costumi"
(art.
48
Cost. Apost.
Pastor
bonus),
e
non
dei
Tribunali
dei
singoli
Vescovi
locali.
Contemporaneamente
alla
definizione
del
delitto,
il
Legislatore
ha
voluto
ridisegnare
anche
gli
aspetti
processualistici
dell’intera
materia,
valida
per
i
fedeli
di
rito
sia
latino
sia
orientale,
dei
delicta
reservata,
a
volte
anche
ai
limiti
del
generale
principio
del
favor
rei,
e ne
ha
assicurato
la
massima
diffusione.
La
condotta
vietata
dall’art.
6, §
1,
n.
1,
della
nuova
normativa
consiste
nel
«delitto
contro
il
sesto
comandamento
del
Decalogo»
commesso
contro
un
minore
di
diciotto
anni.
Sia
il
Codice
del
1917
che
il
Codice
del
1983,
sia
il
Motu
Proprio
del
2001,
così
come
pure
gli
altri
documenti
precedenti,
non
specificano
mai,
però,
in
che
cosa
consista
la
violazione
del
sesto
comandamento.
Tale
espressione,
ripresa
dal
can.
1395
CIC,
è
infatti
molto
vaga,
ma
d’altronde
anche
negli
ordinamenti
civili,
a
cui
la
normativa
de
qua
si
rifà,
in
un
certo
qual
senso,
non
si
descrivono
compiutamente
le
fattispecie
criminali
similari.
Il
non
descrivere
le
azioni
delittuose
è
stato
giustificato
da
autorevoli
commentatori
dalla
estrema
difficoltà
di
definire
una
nozione
esaustiva
della
condotta
criminale.
Di
converso,
infatti,
stante
il
principio
di
legalità,
descrivere
pienamente
una
o
più
azioni
soltanto
rischierebbe
di
non
far
punire
altri
determinati
fatti
gravi.
Si
pensi,
solo
per
fare
due
esempi,
all’art.
609-quater
del
codice
penale
italiano
che
punisce
gli
"atti
sessuali
con
minorenni",
il
quale
parla
genericamente
di "atti
sessuali",
oppure
all’art.
527
che
punisce
gli
"atti
osceni".
Entrambi
i
reati
non
sono
stati
definiti
dal
Legislatore,
ma
vengono
"riempiti"
quotidianamente
dalla
giurisprudenza.
La
stessa
cosa
avviene
nell’ordinamento
canonico.
Tornando
al
delitto
canonico,
un
valido
aiuto
per
ricostruire
la
fattispecie
delittuosa
ci
viene
dalla
dottrina,
dalla
prassi
per
quanto
conosciuta
della
Congregazione
e,
soprattutto
dalla
morale
cattolica
in
relazione
ai
"sesto
comandamento".
Il
Catechismo
della
Chiesa
Cattolica
da
ultimo
approvato
ci
offre
un
utile
criterio
interpretativo
per
i
nostri
fini.
Esso,
infatti,
specifica
che
nel
sesto
comandamento
è
implicato
l’insieme
della
sessualità
umana
nella
vocazione
alla
castità
o
alla
generazione
della
prole
nel
matrimonio.
Di
conseguenza
sono
offese
al
precetto,
per
esempio,
la
lussuria,
la
masturbazione,
la
fornicazione,
la
pornografia,
la
prostituzione,
lo
stupro
e
ogni
tipo
di
violenza
sessuale,
l’incesto,
l’unione
libera,
etc.
Il
delitto
contro
il
sesto
comandamento
del
Decalogo
punito
nel
n. 6
del
Motu
Proprio
Sacramentorum
sanctitatis
tutela,
considerato
"a
forma
libera",
potrebbe,
pertanto,
concretizzarsi
in
numerose
modalità
quali,
ad
esempio,
atti
sessuali
veri
e
propri
(con
o
senza
il
consenso
del
minore
e
indipendentemente
da
chi
abbia
avuto
l’iniziativa),
contatti
fisici
(toccamenti,
palpeggiamenti,
etc.
o
baci
sulle
labbra
con
fini
di
gratificazione
o
stimoli
sessuali),
uso,
diretto
o
indiretto,
degli
organi
genitali,
etc.
Utilizzando
la
locuzione
omnicomprensiva
di
atti
"contro
il
sesto
precetto
del
Decalogo"
il
Legislatore
canonico
non
ha
fatto
altro,
quindi,
che
racchiudere
in
un
solo
articolo
tutta
la
normativa
a
tutela
dei
minori
che,
invece,
gli
ordinamenti
civili
disciplinano
in
diverse
norme.
Rifacendoci,
per
esempio,
all’ordinamento
italiano
si
pensi
ai
reati
di
violenza
sessuale
(art.
609-bis
c.p.),
di
atti
sessuali
con
minorenni
(art.
609-quater),
di
prostituzione
minorile
(art.
600-bis),
di
pornografia
minorile
(art.
600-ter),
di
adescamento
di
minorenni
(609-undecies),
di
corruzione
di
minorenni
(art.
609-quinquies),
di
atti
osceni
(art.
527),
di
istigazione
a
pratiche
di
pedofilia
e di
pedopornografia
(art.
414-bis),
etc.
Anche
l’interpretazioni
data
dalla
dottrina
e
dalla
giurisprudenza
civile
a
queste
ultime
norme
ben
potrebbero
essere
utilizzate
dai
Tribunali
ecclesiastici
per
riempire
di
contenuti
la
norma
canonica
e
giudicare
i
chierici
ai
sensi
del
Motu
Proprio
Sacramentorum
sanctitatis
tutela.
È
utile
far
notare
che
il
Legislatore
del
2001,
adeguandosi
alle
norme
internazionali
sull’età
dei
minori
(l’art.
3
della
Convenzione
di
Lanzarote,
per
esempio
definisce
come
bambino
«ogni
persona
di
età
inferiore
ai
diciotto
anni»)
anche
al
fine
di
evitare
"conflitti"
con
le
normative
e le
giurisdizioni
dei
vari
Stati,
e
volendo
rispondere
con
drastica
determinazione
e in
modo
severo
ai
crimini
commessi
da
numerosi
ministri
sacri,
ha
innovato
la
normativa codiciale
aumentando
da
sedici
– da
sempre
considerato
nell’ordinamento
canonico
come
il
limite
della
minore
età
(si
consideri
che
la
Chiesa
ha
una
"giurisdizione"
che
va
dall’Africa
all’Oceania,
dall’Europa
all’Asia)
– a
diciotto
anni
l’età
del
minore,
ampliando
così
l’ambito
delle
azioni
penalmente
rilevanti.
Con
la
novella
del
2010
del
Motu
Proprio
il
Legislatore
ha
inoltre
accresciuto
il
novero
dei
soggetti
passivi
di
questo
odioso
delitto
prevedendo
che
"viene
equiparata
al
minore
la
persona
che
abitualmente
ha
un
uso
imperfetto
della
ragione"
e
ciò
indipendentemente
dalla
sua
età.
La
nuova
versione
delle
"Norme
sui
delitti
riservati
alla
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede",
approvate
da
Benedetto XVI
nel
2010,
ha
introdotto,
inoltre,
un
delitto
che
non
ha
alcun
precedente
nella
storia
della
Chiesa.
L’art.
6, §
1,
n.
2,
infatti,
punisce
esplicitamente
e
per
la
prima
volta
anche
"l’acquisizione
o la
detenzione
o la
divulgazione,
a
fine
di
libidine,
di
immagini
pornografiche
di
minori
sotto
i
quattordici
anni
da
parte
di
un
chierico,
in
qualunque
modo
e
con
qualunque
strumento".
Volendo
tutelare
sempre
maggiormente
i
minori,
il
Supremo
Legislatore,
anche
alla
luce
delle
nuove
tecnologie
e
dei
nuovi
mezzi,
quale,
per
esempio,
la
rete
Internet,
ha
giudicato
il
comportamento
di
sfruttamento
e
mercificazione
dei
minori
molto
grave
e
quindi
ha
ritenuto
di
aggiungerlo
nella
lista
dei
delitti
graviora
riservati
alla
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede.
Va
precisato,
però,
che
era
giurisprudenza
consolidata
della
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede
già
da
tempo
far
rientrare
nel
delitto
cum
minore
precedentemente
commentato
anche
il
downloading
e il
possesso
di
immagini
pedopornografiche.
Prima
di
procedere
oltre
è
necessario
determinare
previamente
cosa
si
intende
per
"immagini
pornografiche".
Il
problema
maggiore
che
hanno
dovuto
affrontare
gli
interpreti,
non
solo
canonici,
è
stato,
infatti,
quello
di
dare
un
significato
giuridico
esatto
al
termine
"pornografia".
Anche
in
questo
caso,
come
nel
delitto
precedente,
il
non
descrivere
compiutamente
le
azioni
delittuose,
lasciandole
a
"forma
libera",
è
stato
giustificato
dalla
estrema
difficoltà
di
definire
una
nozione
esaustiva
e
salda
nel
tempo
della
condotta
criminale
e,
di
converso,
dal
rischio
di
lasciare
impuniti
fatti
gravi
non
compiutamente
descritti.
Sarà,
quindi,
compito
del
Tribunale
giudicare
caso
per
caso,
con
tutti
i
rischi
che
ciò
comporta.
Rifacendoci
alla
normativa,
alla
dottrina
ed
alla
giurisprudenza
italiana,
se
nulla
quaestio
per
il
significato
di
"immagine",
inteso
come
supporto
fisico
o
telematico
(di
tipo
fotografico,
cinematografico,
video,
etc.),
il
termine
pornografia
designa
la
rappresentazione
di
condotte
sessuali
miranti
a
indurre
nell’osservatore
una
eccitazione
sessuale
che,
nel
nostro
caso,
minano
lo
sviluppo
fisico,
psichico
e
morale
del
minore.
A
tal
proposito
il
Legislatore
italiano,
con
la
Legge
1°
ottobre
2012,
n.
172
, ha
aggiunto
un
settimo
comma
all’articolo
600-ter
del
codice
penale,
dando
una
definizione
giuridica,
non
priva
di
problemi
ermeneutici,
di
"pornografia
minorile",
che
ben
può
essere
utilizzata
anche
ai
fini canonistici.
Richiamando
quanto
determinato
a
livello
comunitario,
il
nuovo
testo
la
definisce
come
«ogni
rappresentazione,
con
qualsiasi
mezzo,
di
un
minore
degli
anni
diciotto
coinvolto
in
attività
sessuali
esplicite,
reali
o
simulate,
o
qualunque
rappresentazione
degli
organi
sessuali
di
un
minore
di
anni
diciotto
per
scopi
sessuali».
Sono,
quindi,
necessari,
affinché
si
configuri
il
reato,
immagini
di
attività
sessuali
esplicite
oppure
di
organi
sessuali
per
scopi
sessuali.
La
prima
condotta
vietata
dalla
nuova
normativa
canonica
è la
«comparatio»,
e
cioè
l’acquisire
o il
procurarsi
materiale
pedopornografico.
La
condotta
consiste
nell’attivarsi
e
nell’entrare
in
possesso,
acquisendole
da
terzi,
di
immagini
vietate.
Nella
maggior
parte
delle
volte
ciò
avviene
attraverso
internet
(c.d. pedopornografia
on
line)
attraverso
il
download
(scaricamento)
e il
salvataggio
sul
proprio
computer,
o su
altri
tipi
di
supporti
(memorie
esterne,
floppy,
pen
drive,
CD,
DVD,
etc.),
di
files
recanti
immagini
con
minori
in
atteggiamenti
lascivi.
La
rete
Internet,
rispetto
ai
tempi
passati,
ha
notevolmente
ampliato
la
possibilità
di
far
circolare
tali
immagini
e
senza
avere
confini
geografici.
Prima
ciò
era
molto
più
circoscritto
in
quanto
avveniva
tramite
fotografie,
che
erano
anche
difficile
da
reperire
fuori
da
una
cerchia
ristretta
di
persone
di
un
determinato
territorio.
La
seconda
condotta
vietata
è la
detenzione
(«detentio»)
del
materiale
pornografico.
La
condotta
del
"detenere"
indica
il
possesso,
la
materiale
disponibilità,
in
capo
al
reo,
del
materiale
vietato,
indipendentemente
dalla
modalità
di
acquisizione.
Nel
divieto
di
detenere
le
immagini
ricade
anche
chi,
pur
non
volendo
scaricare
l’immagine
invece
di
cancellarla
immediatamente,
decide
comunque
di
conservarla
per,
eventualmente,
utilizzarla
in
un
secondo
momento,
purché
vi
sia
il
fine
di
libidine;
oppure
chi
riceve
una
immagine,
anche
gratuitamente
o
per
caso,
e la
detiene.
Di
converso
non
rientrano
in
questa
fattispecie,
per
esempio,
la
semplice
consultazione
telematica
o la
visione
delle
immagini.
Quello
che
in
fin
dei
conti
in
entrambe
in
casi
menzionati
è
necessario
verificare
è la
effettiva
"materiale
disponibilità"
delle
immagini
in
capo
al
reo.
La
terza
ed
ultima
condotta
vietata
è la
"divulgazione"
(«divulgatio»)
del
materiale
pedopornografico.
Per
divulgazione
(interpretato
anche
come
diffusione)
si
intende
la
cessione,
la
messa
a
disposizione,
il
rendere
accessibile,
il
far
circolare
o
comunque
il
fare
commercio,
a
titolo
oneroso
o
gratuito,
di
detto
materiale
proibito
nei
confronti
di
un
pubblico
indeterminato
di
soggetti
(uno
o
più).
Nel
termine
divulgazione,
inoltre,
è
ricompresa
anche
la
distribuzione
e
cioè
la
cessione
e la
concreta
immissione
nella
sfera
di
disponibilità
di
una
pluralità
di
persone
non
necessariamente
determinate.
Di
fatto
con
questo
divieto
si
vuole
punire
il
chierico
che
alimenta
il
mercato
e
incentiva
il
consumo
del
materiale
pornografico.
L’art.
6, §
1,
n.
2,
delle
Normae
specifica
che
tutte
queste
azioni
possono
avvenire
"in
qualunque
modo
e
con
qualunque
strumento",
ossia
con
ogni
strumento
tecnico
e
comunicativo
idoneo
alla
acquisizione,
detenzione
e
divulgazione
delle
immagini,
permettendo
così
di
punire
i
comportamenti
vietati
effettuati
oltre
che
con
i
soliti
mezzi
e
modi
oggi
conosciuti
(p.es.
fotografie,
video, CD,
DVD,
e-mail,
files
e
strumenti
informatici
vari,
Internet,
social
network,
etc.),
anche
con
strumenti
nuovi
e
non
ancora
oggi
"catalogabili".
Oltre
a
queste
norme
e
tralasciando
le
richieste
di
perdono,
gli
incontri
dei
Pontefici
con
le
vittime,
le
missive
alle
Chiese
locali
(si
pensi
a
quella
di
Benedetto
XVI
ai
cattolici
irlandesi)
e ai
Superiori
Religiosi,
la
Santa
Sede
ha
dato
vita
a
una
serie
di
iniziative
per
frenare
la
piaga
degli
abusi
sui
minori
e
per
dare
supporto
alle
Conferenze
Episcopali
dei
vari
Paesi.
Per
esempio,
nel
2011
la
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede
ha
inviato
una
lunga
Lettera
circolare
per
invitare
le
assemblee
dei
Vescovi
le a
redigere
delle
Linee
Guida
nazionali
su
come
trattare
i
casi
di
abusi
da
parte
dei
chierici.
In
particolare
l’intento
era
quello
di
garantire
l’applicazione
del
diritto
universale
in
maniera
uniforme
nelle
varie
parti
del
globo
terrestre,
tenendo
presente
non
in
ultimo
le
leggi
civili
vigenti
nei
vari
Paesi.
Dopo
la
sua
elezione
Papa
Francesco
ha
inoltre
previsto
tre
peculiari
iniziative:
una
più
pastorale
e
due
prettamente
giuridiche.
Quella
pastorale
è
l’istituzione,
nel
2014,
della
Pontificia
Commissione
per
la
Tutela
dei
Minori
«con
lo
scopo
di
offrire
proposte
e
iniziative
orientate
a
migliorare
le
norme
e le
procedure
per
la
protezione
di
tutti
i
minori
e
degli
adulti
vulnerabili».
Nello
stesso
anno,
il 3
novembre,
si
ha
la
prima
delle
iniziative
giuridiche
e
cioè
la
creazione
presso
la
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede
di
uno
speciale
"collegio"
di
Cardinali
e
Vescovi
(una
sorta
di "sezione
specializzata")
per
velocizzare
l’esame
dei
ricorsi
pendenti
in
secondo
grado
presso
la
detta
Congregazione.
Ciò
ha
permesso
di
razionalizzare
il
lavoro
della
Plenaria
della
Congregazione.
Successivamente,
il 4
giugno
2016,
si
ha,
infine,
l’emanazione
del Motu
Proprio
Come
una
madre
amorevole,
con
il
quale
viene
stabilito,
in
cinque
articoli,
un
dettagliato
procedimento
da
osservarsi
per
la
rimozione
di
quei
Vescovi
diocesani
ritenuti
negligenti
(p.es.
non
hanno
dato
corso
alle
denuncie)
in
materia
di
tutela
dei
minori.
La
normativa
improntata
dalla
Santa
Sede
è
estremamente
severa.
Sicuramente
ci
sono
numerose
situazioni
da
monitorare,
cause
pendenti
da
smaltire,
consuetudini
da
eliminare,
azioni
da
intraprendere,
persone
da
educare,
norme
da
affinare,
ma
ciò
non
toglie
che
in
questo
ultimo
ventennio
siano
stati
fatti
grossi
passi
in
avanti
e
sia
avvenuto
un
notevole
cambio
culturale
e
comunicativo
a
tutela
dei
minori.