medievale
SANTI, RELIQUIE E TRASLAZIONI
IL DUCATO DI BENEVENTO AL TEMPO DI
ARECHI II
di Sonia Favale
C’è stato un tempo nella storia in cui
il culto e il possesso delle reliquie
dei santi era considerato simbolo di
potere e protezione dall’alto; c’è stato
un tempo in cui principi, nobili, uomini
di chiesa e uomini comuni
intraprendevano lunghi e impervi viaggi
per portare a casa ciò che restava del
passaggio sulla terra di uomini e donne
morti in odore di santità.
Quel tempo, sin dai suoi arbori, fu il
Medioevo. Le storie di reliquie
trafugate e traslate ci sono note
attraverso opere agiografiche,
passiones e acta sanctorum, tanto
che una vera produzione letteraria fiorì
proprio nelle città medievali che
ospitavano i santi resti e ne
giustificavano la presenza. Molte di
queste opere raccontano le imprese
mirabili del viaggio e delle
vicissitudini di chi compì le
traslazioni, portando a destinazione le
reliquie; le storie narrate sono per la
maggior parte arricchite da eventi
miracolosi che evidenziano la valenza e
l’importanza delle reliquie nella città
ospitante e il valore morale di chi
operò la traslazione.
La ricerca, il viaggio e la deposizione
in pompa magna delle reliquie intra
moenia avvenivano per mezzo di
uomini di chiesa, principi e nobili.
La smania di possesso e l’incetta di
reliquie diede vita, in alcuni casi, a
un vero e proprio business, tanto
da incentivare le trafugazioni illegali
da una città all’altra di ossa e oggetti
e contactu come brandea,
memoria, pignora, sanctuaria.
All’interno di questa cornice si
inserisce la storia di un principe
longobardo che si impegnò attivamente
nel recupero di reliquie nel sud Italia,
trasportandole nel ducato di
Benevento che al tempo era uno dei
più vasti e ricchi nel regno longobardo:
includeva il territorio dell’Italia
meridionale dagli Abruzzi al Golfo di
Taranto, inglobando le regioni del
Sannio, della Puglia, della Lucania, una
parte della Calabria e gran parte della
Campania.
Il nome del principe è Arechi II,
quindicesimo duca di Benevento, che
assunse il comando del ducato nel 758.
Gran parte della sua fortuna Arechi la
doveva al re longobardo Desiderio che lo
sostenne in un periodo storico
travagliato: il duca di Benevento
Liutprando e il duca di Spoleto Alboino
cercarono di svincolarsi dalla fedeltà
al loro re Desiderio avvicinandosi al re
franco Pipino il Breve in tutto avallati
dalla politica spregiudicata del
pontefice Stefano II che cercava di
indebolire il regno longobardo in Italia
mirando a staccare i due ducati dalla
sfera longobarda e inserendoli in una
cornice a egli più propizia.
Furono queste le motivazioni storiche e
politiche che indussero Desiderio a
invadere Spoleto e Benevento, mettendo
in fuga i duchi defezionisti e
assicurando a Benevento un successore
nella figura di Arechi. Egli era
destinato a grandi cose e ad arricchire
il ducato di reliquie disperse nel sud
Italia e non solo.
Nel 774, quando Desiderio viene
deposto da Carlo Magno e muore, Arechi
mostra la sua determinazione nel voler
mantenere la sua identità e la sua
indipendenza rispetto al re Franco. Una
delle primissime iniziative alla morte
di Desiderio fu quella di promuovere il
ducato in principato, mutando il suo
titolo da dux in princeps; un
passaggio che avvenne nella piena
consacrazione religiosa: fu volontà del
neo princeps farsi ungere durante
una solenne funzione religiosa dal
sapore bizantino. La pratica di farsi
ungere da un vescovo durante la
proclamazione era di chiara matrice
bizantina: il patriarca incoronava il
sovrano bizantino che si presentava come
“pio eletto di dio”.
Le iniziative di Arechi interessarono il
rinnovo degli apparati simbolici
del potere, e anche quest’azione risulta
connessa con l’ostentazione di usanze
bizantine con cui i Longobardi
erano venuti in contatto quando i
bizantini erano ancora padroni della
Sicilia. Molto probabilmente anche la
pratica delle traslazioni che Arechi
operò sistematicamente costituisce
l’emulazione di usanze e pratiche
bizantine; furono i bizantini,
infatti, a operare per primi le
traslazioni di santi.
Molti dei santi traslati da Arechi, a
eccezione dei XII fratrum (dodici
fratelli martiri provenienti dall’Africa
e giustiziati al tempo di Massimiano
lungo la via Herculea), appartengono
alla venerazione bizantina: è il caso di
San Mercurio e Sant’Eliano.
Se da una parte Arechi sembra esser
vicino alle usanze bizantine e fermo
nella volontà di emularle, dall’altra
parte, proprio l’agiografia sembra
dimostrare il contrario tanto che in
alcune opere agiografiche che narrano di
reliquie e traslazioni da lui operate si
percepisce una certa ostilità: è la
stessa leggenda di Sant’Eliano a porre
problemi di interpretazioni sulle
relazioni tra Arechi e i bizantini, dal
momento che la storia narra che il
Gastaldo Gualtieri, ambasciatore
longobardo presso i bizantini,
incoraggiato da un’apparizione di Sant’Eliano,
reclamasse le reliquie del santo in
virtù degli esiti felici dell’ambasceria
a Bisanzio e l’imperatore si vide
costretto a concederle a malincuore.
L’operetta che narra dell’arrivo delle
reliquie di Sant’Eliano a Benevento fu
composta in un arco di tempo ascrivibile
tra l’VIII e il IX secolo e sempre nel
medesimo arco temporale il Liber de
apparitione S. Michaelis in monte
Gargano, che altro non è che un
racconto agiografico che tende ad
assegnare ai Longobardi una posizione
predominante in riferimento alle origini
del culto micaelico del Gargano mette in
evidenza uno spirito antibizantino.
Arechi forse, da scaltro uomo politico,
sfruttò i suoi rapporti con i bizantini
in funzione antifranca e come valida
alleanza contro la Santa sede che da
sempre reclamava le iustitiae da
parte del ducato di Benevento.
All’interno di questo intreccio di
alleanze sono da interpretare anche
altri legami che Arechi coltivò con i
napoletani Italo-greci tanto da regalare
a questi ultimi le reliquie di San
Gennaro.
Il fenomeno delle traslazioni, promosso
dai longobardi tra la metà dell’VIII
secolo e la metà del IX secolo e di cui
Arechi è il massimo esponente ebbe un
valore politico, anche se la tradizione
agiografica attribuisce al principe un
fervente spirito cristiano; in alcune
operette di cui lui è protagonista si
legge: Tu amator dei, et Sanctorum
ejus assidus obsecundatur, Benedictus
[…] a Deo excelso.
Sono tante le opere agiografiche in cui
Arechi compare come “un collezionista”
di corpi santi; nella Translatio S.
Mercurii, in cui si narra
dell’arrivo dei resti di San Mercurio a
Benevento (26 agosto 768), si precisa
che il principe aveva già raccolto altre
reliquie nella chiesa di Santa Sofia,
quest’ultima appare come il luogo di
ubicazione di diverse traslazioni
effettuate dal principe nonché come
simbolo del suo potere.
Quattro redazioni della Translatio S.
Mercurii mostrano una preferenza del
princeps verso S. Mercurio, infatti in
occasione dell’adventus delle
reliquie, Arechi promette al santo
l’onore dell’altare principale, la cura
della liturgia nelle festività solenni e
la superiorità in tutti i campi. San
Mercurio è nominato patrono del ducato e
della città.
In generale, a eccezione di qualche
rarità come i resti dei XII fratrum,
le attenzioni di Arechi e dei longobardi
furono rivolte a santi orientali e
generalmente di estrazione militare; il
motivo di questa scelta è dovuta al
fatto che i Longobardi davano priorità
alle loro inclinazioni guerriere. Il
patrono per antonomasia dei Longobardi
era, non a caso, San Michele poiché
nella figura dell’Angelo venivano
riconosciuti e reinterpretato in chiave
cristiana i tratti del dio guerriero
Wodan/Wotan.
Arechi, attraverso le sue traslazioni,
costituì un modello per i principi tra i
quali Sicone (817-832) e Sicardo
(832-839). Le traslazioni organizzate da
questi ultimi costituivano anch’esse
espressione di prestigio politico del
ducato. Alcuni racconti agiografici
beneventani li presentano, come spesse
volte accadeva in questi casi, animati
da spirito devoto mentre altre fonti li
presentano come uomini violenti e
corrotti.
Non è un caso che Benevento restò
coinvolta in un “traffico” di reliquie
proprio nel IX secolo, quando operarono
i due principi. A riguardo si racconta
che un certo sofisticatore di reliquie
di nome Deusdona, capo di un gruppo di
mercanti di reliquie e appartenente al
titolo di San Pietro in vinculis,
inviò in Germania alcuni corpi trafugati
nel cimitero, facendoli passare per
quelli di famosi martiri romani. Le
traslazioni più importanti operate dai
successori di Arechi riguardarono le
reliquie di San Gennaro da Napoli a
Benevento e di San Bartolomeo,
quest’ultime ubicate in una chiesa
adiacente alla cattedrale e ultimata
nell’839.
L’arrivo a Benevento delle reliquie di
San Bartolomeo segnò anche
l’avvicinamento dell’episcopato alla
chiesa di Roma. La liturgia subì una
“romanizzazione” poiché i testi per la
commemorazione del santo s’ispirarono
alla liturgia romana (un esempio della
romanizzazione della liturgia durante il
IX secolo fu la sostituzione del canto
beneventano con quello gregoriano).
L’analisi del contesto storico in cui
avvennero le traslazioni e della figura
del principe Arechi II, autorizza a
concepire l’opera di traslazione come un
atto simbolico. Le traslazioni operate
da Arechi e dai suoi successori
avvennero in epoca alto-medievale,
quando il possesso delle reliquie
simboleggiava per le autorità politiche
un’approvazione dall’alto e una garanzia
al proprio potere.
Arechi, trovandosi ad agire in un
periodo di incertezze per il popolo
longobardo e sentendosi un
rappresentante privilegiato, inaugurò
una serie di traslazioni. Le reliquie da
lui traslate vennero racchiuse, a
eccezione di quelle di Sant’Eliano, a
Santa Sofia, costruita per tale scopo e
perché divenisse un baluardo del popolo
longobardo. Arechi intendeva così porsi
su un piano di parità con i sovrani
bizantini, che erano stati i primi a
operare traslazioni e che egli ammirava
per la fastosità delle rappresentazioni
simboliche. |