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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 158 / FEBBRAIO 2021 (CLXXXIX)


medievale

SANTI, RELIQUIE E TRASLAZIONI

IL DUCATO DI BENEVENTO AL TEMPO DI ARECHI II

di Sonia Favale

 

C’è stato un tempo nella storia in cui il culto e il possesso delle reliquie dei santi era considerato simbolo di potere e protezione dall’alto; c’è stato un tempo in cui principi, nobili, uomini di chiesa e uomini comuni intraprendevano lunghi e impervi viaggi per portare a casa ciò che restava del passaggio sulla terra di uomini e donne morti in odore di santità.

 

Quel tempo, sin dai suoi arbori, fu il Medioevo. Le storie di reliquie trafugate e traslate ci sono note attraverso opere agiografiche, passiones e acta sanctorum, tanto che una vera produzione letteraria fiorì proprio nelle città medievali che ospitavano i santi resti e ne giustificavano la presenza. Molte di queste opere raccontano le imprese mirabili del viaggio e delle vicissitudini di chi compì le traslazioni, portando a destinazione le reliquie; le storie narrate sono per la maggior parte arricchite da eventi miracolosi che evidenziano la valenza e l’importanza delle reliquie nella città ospitante e il valore morale di chi operò la traslazione.

 

La ricerca, il viaggio e la deposizione in pompa magna delle reliquie intra moenia avvenivano per mezzo di uomini di chiesa, principi e nobili. La smania di possesso e l’incetta di reliquie diede vita, in alcuni casi, a un vero e proprio business, tanto da incentivare le trafugazioni illegali da una città all’altra di ossa e oggetti e contactu come brandea, memoria, pignora, sanctuaria.

 

All’interno di questa cornice si inserisce la storia di un principe longobardo che si impegnò attivamente nel recupero di reliquie nel sud Italia, trasportandole nel ducato di Benevento che al tempo era uno dei più vasti e ricchi nel regno longobardo: includeva il territorio dell’Italia meridionale dagli Abruzzi al Golfo di Taranto, inglobando le regioni del Sannio, della Puglia, della Lucania, una parte della Calabria e gran parte della Campania.

 

Il nome del principe è Arechi II, quindicesimo duca di Benevento, che assunse il comando del ducato nel 758. Gran parte della sua fortuna Arechi la doveva al re longobardo Desiderio che lo sostenne in un periodo storico travagliato: il duca di Benevento Liutprando e il duca di Spoleto Alboino cercarono di svincolarsi dalla fedeltà al loro re Desiderio avvicinandosi al re franco Pipino il Breve in tutto avallati dalla politica spregiudicata del pontefice Stefano II che cercava di indebolire il regno longobardo in Italia mirando a staccare i due ducati dalla sfera longobarda e inserendoli in una cornice a egli più propizia.

 

Furono queste le motivazioni storiche e politiche che indussero Desiderio a invadere Spoleto e Benevento, mettendo in fuga i duchi defezionisti e assicurando a Benevento un successore nella figura di Arechi. Egli era destinato a grandi cose e ad arricchire il ducato di reliquie disperse nel sud Italia e non solo.

 

Nel 774, quando Desiderio viene deposto da Carlo Magno e muore, Arechi mostra la sua determinazione nel voler mantenere la sua identità e la sua indipendenza rispetto al re Franco. Una delle primissime iniziative alla morte di Desiderio fu quella di promuovere il ducato in principato, mutando il suo titolo da dux in princeps; un passaggio che avvenne nella piena consacrazione religiosa: fu volontà del neo princeps farsi ungere durante una solenne funzione religiosa dal sapore bizantino. La pratica di farsi ungere da un vescovo durante la proclamazione era di chiara matrice bizantina: il patriarca incoronava il sovrano bizantino che si presentava come “pio eletto di dio”.

 

Le iniziative di Arechi interessarono il rinnovo degli apparati simbolici del potere, e anche quest’azione risulta connessa con l’ostentazione di usanze bizantine con cui i Longobardi erano venuti in contatto quando i bizantini erano ancora padroni della Sicilia. Molto probabilmente anche la pratica delle traslazioni che Arechi operò sistematicamente costituisce l’emulazione di usanze e pratiche bizantine; furono i bizantini, infatti, a operare per primi le traslazioni di santi.

 

Molti dei santi traslati da Arechi, a eccezione dei XII fratrum (dodici fratelli martiri provenienti dall’Africa e giustiziati al tempo di Massimiano lungo la via Herculea), appartengono alla venerazione bizantina: è il caso di San Mercurio e Sant’Eliano. Se da una parte Arechi sembra esser vicino alle usanze bizantine e fermo nella volontà di emularle, dall’altra parte, proprio l’agiografia sembra dimostrare il contrario tanto che in alcune opere agiografiche che narrano di reliquie e traslazioni da lui operate si percepisce una certa ostilità: è la stessa leggenda di Sant’Eliano a porre problemi di interpretazioni sulle relazioni tra Arechi e i bizantini, dal momento che la storia narra che il Gastaldo Gualtieri, ambasciatore longobardo presso i bizantini, incoraggiato da un’apparizione di Sant’Eliano, reclamasse le reliquie del santo in virtù degli esiti felici dell’ambasceria a Bisanzio e l’imperatore si vide costretto a concederle a malincuore.

 

L’operetta che narra dell’arrivo delle reliquie di Sant’Eliano a Benevento fu composta in un arco di tempo ascrivibile tra l’VIII e il IX secolo e sempre nel medesimo arco temporale il Liber de apparitione S. Michaelis in monte Gargano, che altro non è che un racconto agiografico che tende ad assegnare ai Longobardi una posizione predominante in riferimento alle origini del culto micaelico del Gargano mette in evidenza uno spirito antibizantino. Arechi forse, da scaltro uomo politico, sfruttò i suoi rapporti con i bizantini in funzione antifranca e come valida alleanza contro la Santa sede che da sempre reclamava le iustitiae da parte del ducato di Benevento.

 

All’interno di questo intreccio di alleanze sono da interpretare anche altri legami che Arechi coltivò con i napoletani Italo-greci tanto da regalare a questi ultimi le reliquie di San Gennaro.

 

Il fenomeno delle traslazioni, promosso dai longobardi tra la metà dell’VIII secolo e la metà del IX secolo e di cui Arechi è il massimo esponente ebbe un valore politico, anche se la tradizione agiografica attribuisce al principe un fervente spirito cristiano; in alcune operette di cui lui è protagonista si legge: Tu amator dei, et Sanctorum ejus assidus obsecundatur, Benedictus […] a Deo excelso.

 

Sono tante le opere agiografiche in cui Arechi compare come “un collezionista” di corpi santi; nella Translatio S. Mercurii, in cui si narra dell’arrivo dei resti di San Mercurio a Benevento (26 agosto 768), si precisa che il principe aveva già raccolto altre reliquie nella chiesa di Santa Sofia, quest’ultima appare come il luogo di ubicazione di diverse traslazioni effettuate dal principe nonché come simbolo del suo potere.

 

Quattro redazioni della Translatio S. Mercurii mostrano una preferenza del princeps verso S. Mercurio, infatti in occasione dell’adventus delle reliquie, Arechi promette al santo l’onore dell’altare principale, la cura della liturgia nelle festività solenni e la superiorità in tutti i campi. San Mercurio è nominato patrono del ducato e della città.

 

In generale, a eccezione di qualche rarità come i resti dei XII fratrum, le attenzioni di Arechi e dei longobardi furono rivolte a santi orientali e generalmente di estrazione militare; il motivo di questa scelta è dovuta al fatto che i Longobardi davano priorità alle loro inclinazioni guerriere. Il patrono per antonomasia dei Longobardi era, non a caso, San Michele poiché nella figura dell’Angelo venivano riconosciuti e reinterpretato in chiave cristiana i tratti del dio guerriero Wodan/Wotan.

 

Arechi, attraverso le sue traslazioni, costituì un modello per i principi tra i quali Sicone (817-832) e Sicardo (832-839). Le traslazioni organizzate da questi ultimi costituivano anch’esse espressione di prestigio politico del ducato. Alcuni racconti agiografici beneventani li presentano, come spesse volte accadeva in questi casi, animati da spirito devoto mentre altre fonti li presentano come uomini violenti e corrotti.

 

Non è un caso che Benevento restò coinvolta in un “traffico” di reliquie proprio nel IX secolo, quando operarono i due principi. A riguardo si racconta che un certo sofisticatore di reliquie di nome Deusdona, capo di un gruppo di mercanti di reliquie e appartenente al titolo di San Pietro in vinculis, inviò in Germania alcuni corpi trafugati nel cimitero, facendoli passare per quelli di famosi martiri romani. Le traslazioni più importanti operate dai successori di Arechi riguardarono le reliquie di San Gennaro da Napoli a Benevento e di San Bartolomeo, quest’ultime ubicate in una chiesa adiacente alla cattedrale e ultimata nell’839.

 

L’arrivo a Benevento delle reliquie di San Bartolomeo segnò anche l’avvicinamento dell’episcopato alla chiesa di Roma. La liturgia subì una “romanizzazione” poiché i testi per la commemorazione del santo s’ispirarono alla liturgia romana (un esempio della romanizzazione della liturgia durante il IX secolo fu la sostituzione del canto beneventano con quello gregoriano).

 

L’analisi del contesto storico in cui avvennero le traslazioni e della figura del principe Arechi II, autorizza a concepire l’opera di traslazione come un atto simbolico. Le traslazioni operate da Arechi e dai suoi successori avvennero in epoca alto-medievale, quando il possesso delle reliquie simboleggiava per le autorità politiche un’approvazione dall’alto e una garanzia al proprio potere.

 

Arechi, trovandosi ad agire in un periodo di incertezze per il popolo longobardo e sentendosi un rappresentante privilegiato, inaugurò una serie di traslazioni. Le reliquie da lui traslate vennero racchiuse, a eccezione di quelle di Sant’Eliano, a Santa Sofia, costruita per tale scopo e perché divenisse un baluardo del popolo longobardo. Arechi intendeva così porsi su un piano di parità con i sovrani bizantini, che erano stati i primi a operare traslazioni e che egli ammirava per la fastosità delle rappresentazioni simboliche.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]