N. 94 - Ottobre 2015
(CXXV)
Chiesa e Chiese in Basilicata
religiosità lucana tra i bizantini e i primi normanni
di Daniele Pangaro
Nei
territori
del
meridione
d’Italia
si
verificò,
a
cavallo
tra
VII
e X
secolo
d.C.,
un
assestamento
di
quelle
istituzioni
ecclesiastiche
che
sopravvissero
alla
venuta
delle
popolazioni
longobarde,
e
questo
status
durò
–
come
detto
in
precedenza
–
fino
agli
ultimi
decenni
del
X
secolo,
ovvero
fino
alla
seconda
conquista
bizantina
ad
opera
dell’Imperatore
Nicefono
II
Foca.
Nel
968
d.C.
il
patriarca
di
Costantinopoli,
su
indicazione
del
Basileus,
elevò
a
Diocesi
Metropolita
la
città
di
Otranto,
e al
suo
Arcivescovo
fu
data
facoltà
di
nominare
vescovi
di
rito
greco
per
le
Diocesi
–
divenute
suffraganee
– di
Acerenza,
Tursi,
Gravina,
Matera
e
Tricarico.
La
costituzione
della
Metropolia
di
Otranto
fu,
oltre
che
un
atto
sia
religioso
che
politico,
poiché
le
diocesi
suffraganee
della
nuova
Metropolia
appartenevano
tutte
al
territorio
un
tempo
longobardo,
la
cui
tradizione
ecclesiastica
era
latina,
e
quindi
di
obbedienza
a
romana.
Tali
diocesi
suffraganee
individuavano
nel
Thema
di
Langobardia
una
nuova
provincia
ecclesiastica,
estesa
su
tutto
il
territorio
lucano,
che
diede
una
fisionomia
ed
un’identità
unitaria
come
territorio
della
Basilicata.
Ma,
visti
gli
impedimenti
che
i
bizantini
incontrarono
per
l'amministrazione
della
cura
animae,
la
nascita
della
nuova
istituzione
tematica
potrebbe
essere
intesa
come
un’esperienza
storico-politica,
e
non
come
realtà
ecclesiastica:
infatti
nella
Calabria
del
nord
e
nei
territori
sovrastanti,
i
vescovi
bizantini
ebbero
non
pochi
problemi
con
la
popolazione
autoctona,
prevalentemente
di
rito
latino.
Non
c’è
da
meravigliarsi
se,
in
realtà,
solo
la
Diocesi
di
Tursi
entrò
nella
sfera
d’influenza
greca:
per
fare
un
esempio
della
travagliata
vicenda
religiosa
dei
territori
lucani
posiamo
dire
che
già
nel
983
Acerenza
passò
come
suffraganea
di
Salerno,
elevata
allo
status
di
arcivescovado
nello
stesso
anno
da
Papa
Benedetto
VII,
in
un
crescendo
di
potere
che
sarà
poi
stabilito
definitivamente
da
Papa
Giovanni
XV
nel
989
d.C.,
quando
autorizzò
l’Arcivescovo
di
Salerno
a
nominare
prelati
per
la
diocesi
acheruntina.
Ciò
non
vuol
dire
che
le
sedi
vescovili
lucane
non
obbedissero
alle
disposizioni
bizantine,
e
che
quindi
il
clero
locale
non
fosse
fedele
al
patriarcato
di
Costantinopoli
e
alla
Metropolia
di
Otranto:
negli
Annales
Barenses
troviamo
che,
nella
battaglia
di
Montemaggiore
del
1041
il
Vescovo
di
Acerenza
Stefano
fu
dalla
parte
dei
greci
contro
i
normanni,
e
contro
questi
ultimi
morì.
Gli
alti
prelati
bizantini,
in
determinate
circostanze,
lasciarono
fiorire
nelle
loro
circoscrizioni
territoriali
vescovi
di
rito
latino
anche
se,
come
ci
riporta
Liutprando
da
Cremona,
Niceforo
II
Foca
vietò
il
rito
latino
nei
territori
di
Puglia
e
Calabria:
per
la
Calabria
e la
nascente
provincia
lucana,
a
causa
dell’opposizione
riscontrata
sul
territorio,
non
sembra
applicabile
tale
vieto,
che
invece
fu
correttamente
seguito
dalle
Diocesi
pugliesi,
i
cui
Vescovi
erano
si
latini,
ma
obbedienti
all’Imperatore
di
Bisanzio.
Per
avere
idea
della
situazione
in
quel
tempo,
è
bene
ricorrere
al
lavoro
di
Vera
Von
Falkenhausen
che,
nel
regestare
i
diplomi
degli
alti
funzionari
bizantini
in
carica
nell’Italia
meridionale
ci
ha
trasmesso
un
diploma,
databile
tra
il
982
ed
il
985
d.C.,
del
Catepano
d’Italia
Calociro
Delfina,
riguardante
un
monastero
presso
Venosa,
cui
vengono
accordate
libertates
et
immunitates.
In
un
secondo
diploma,
datato
998
d.C.
e
riguardante
il
monastero
di
Santa
Maria
del
rifugio
presso
Tricarico,
il
Catepano
Gregorio
Tarchaneiotes
concede
al
suddetto
monastero
il
possesso
di
un
villaggio
creato
dall’Igumeno
Cosma
che,
nei
decenni
precedenti,
aveva
chiamato
dei
contadini
per
lavorare
la
terra;
il
medesimo
monastero
compare
in
un
altro
diploma
del
1023
di
Basilio
Boioannes,
che
riconfermò
tale
privilegio.
I
potenti
bizantini
si
dimostrarono,
quindi,
interessati
alle
realtà
ecclesiastiche
della
Lucania.
Si
disegna,
quindi,
una
vera
e
propria
provincia
ecclesiastica
che,
secondo
Norbert
Kamp,
è da
vedersi
come
una
reazione
bizantina
alla
minaccia
che
rappresentò
il
patto
momentaneo
tra
gli
Imperatori
tedeschi
con
il
Papa
e la
compagine
longobarda,
ma
che
comunque
rientrava
in
quella
politica
di
rafforzamento
delle
proprie
posizioni
presso
la
popolazione
greca
sia
di
lingua
che
di
religione,
e
portare
questa
a
essere
il
ceto
sostenitore
del
governo
di
Costantinopoli.
Tale
esigenza,
forse,
è
anche
da
attribuirsi
al
bisogno
di
regolamentare
quegli
elementi
greci
fuggiti
dalla
Sicilia
nel
periodo
VII-IX
secolo
a
causa
dell’arrivo
dei
musulmani,
e ad
una
sistemazione
definitiva
in
seno
alla
Chiesa
Orientale.
Rimane
comunque
il
fatto
che,
all’istituzione
di
una
provincia
ecclesiastica
deve
corrisponderne
una
politica:
un
Thema
di
Lucania
è
presente
ma
la
sua
istituzione,
la
sua
durata
e la
sua
caduta
sono
argomenti
su
cui
gli
storici
ancora
dissentono
causa
della
frammentarietà
di
informazioni
e
dall’ambiguità
dei
termini
che
gli
strateghi
impiegavano
per
definire
la
loro
giurisdizione
tematica.
Abbiamo
parlato
di
normanni:
il
loro
arrivo
cambiò
radicalmente
il
volto
dell’Italia
meridionale
in
senso
storico,
politico,
religioso
e
dei
costumi.
I
principi
normanni,
dopo
essere
stati
nemici
del
papato,
divennero
mezzo
di
rilatinizzazione
delle
popolazioni
del
Sud:
questi
uomini,
provenienti
dalla
Francia
settentrionale
avanzarono
su
un
doppio
binario,
affiancando
la
fondazione
di
nuove
entità
religiose
di
rito
latino,
con
la
rifondazione
delle
realtà
greche
sotto
l’egida
della
Chiesa
di
Roma,
riponendo
così
l’elemento
religioso
ortodosso
sotto
il
controllo
della
Chiesa
dei
Papi.
L’arrivo
dei
normanni,
sotto
il
profilo
religioso,
è da
collocarsi
in
quello
sviluppo
che
interessò
le
Diocesi
meridionali
tra
il X
e il
XII
secolo:
già
dalla
metà
del
X
secolo
assistiamo
alla
creazione
di
nuove
istituzioni
arcivescovili
dovuta
alle
relazioni
tra
gli
imperatori
tedeschi
ed
il
papato.
Sintetizzando,
il
programma
dei
normanni
–
secondo
Cosimo
Damiano
Fonseca
–
aveva
delle
precise
motivazioni
politiche:
in
base
ai
rapporti
tra
suffraganee
e
Metropolie
e in
base
al
modus
in
cui
nuove
sedi
episcopali
sarebbero
nate
nei
centri
di
potere,
sarebbe
stato
più
facile
dare
un
controllo
territoriale
ed
un
impulso
ecclesiastico
latino
in
un
ambiente
fortemente
bizantino.
Veniva
così
a
crearsi
una
corrispondenza
tra
le
sedi
comitali
e
quelle
vescovili,
in
quanto
i
normanni
sceglievano
i
propri
centri
di
potere
quali
destinatari
delle
nuove
realtà
ecclesiastiche.
È
anche
vero
che,
per
quanto
riguarda
la
sostituzione
del
rito
greco
con
quello
latino,
il
processo
non
avvenne
in
maniera
violenta,
ma
come
una
situazione
naturale,
punto
d’incontro
tra
volontà
dei
locali
ed
esigenze
della
conquista.
Il
papato
riprese
così
vigore
in
Italia
meridionale,
dopo
secoli
di
passività,
e
quindi
tornò
prepotentemente
in
gioco
sotto
Papa
Leone
IX
anche
se,
almeno
per
i
primi
tempi,
i
rappresentanti
di
questo
cambiamento
venivano
da
terre
transalpine,
e
presentavano
scarsa
conoscenza
dello
stato
delle
cose
nei
territori
conquistati;
l’alleanza
tra
l’elemento
normanno
e la
Chiesa
di
Roma
portò
prelati
ed
ecclesiastici
francesi
nelle
istituzioni
del
Sud
d’Italia.
Poteva
ora
iniziare
il
processo
riformatore
della
Chiesa
meridionale,
con
decisione
e
disciplina,
eliminando
con
i
mezzi
del
diritto
ecclesiastico
vescovi
simoniaci
o
ammogliati:
nel
concilio
di
Melfi
del
1059
furono
deposti
i
vescovi
di
Montepeloso,
accusato
di
simonia
ed
adulterio
comprovate,
e di
Tricarico,
eo
sit
quod
neophytus.
La
nuova
figura
del
vescovo,
nata
dalle
esigenze
di
normanni
e
Chiesa
romana,
si
presenta
distante
da
quella
di
età
bizantina:
se,
all’epoca
del
governo
greco,
gli
alti
prelati
potevano
godere
di
una
consistente
massa
di
beni,
da
cui
traeva
redditi
in
natura
ed
in
denaro,
in
epoca
normanna
l’aspetto
economico
delle
Diocesi
dipendeva
esclusivamente
dal
potere
politico,
dato
che
alle
istituzioni
ecclesiastiche
veniva
destinata
la
decima
sulle
entrate
pubbliche
avviando
un
processo
che
legava
tali
istituzioni,
in
maniera
diretta,
al
potere
regio.
Così
facendo
al
Vescovo
era
assicurata
un’entrata
stabile,
a
patto
che
questi
rimanesse
fuori
dalla
gestione
del
potere
secolare
della
sua
diocesi.
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in
Scienze
Storiche,
a.a.
2012-2013.
B.
Ruggiero,
Potere,
istituzioni,
chiese
locali:
aspetti
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del
mezzogiorno
medioevale
dai
longobardi
agli
angioini,
CISAM,
Bologna
1991
(rist.
anast.).