N. 45 - Settembre 2011
(LXXVI)
il cammino dello Jedi
La religione in Guerre Stellari
di Lawrence M.F. Sudbury
Alla fine degli anni ‘90 una commissione internazionale (chiamata LIDOR) dell’Università di Leida, dopo anni di studi, è giunta alla conclusione che non sia possibile, allo stato attuale, una definizione univoca di “religione”. Nonostante questo, esiste, comunque, una idea comune del significato del termine che è quella che, con poche varianti, può essere rinvenuta in qualsiasi dizionario: “l’insieme di credenze e di manifestazioni con cui l’uomo riconosce l’esistenza del soprannaturale”.
Fermo
restando
che,
naturalmente,
ciascuno
è
libero
di
credere
in
ciò
che
vuole,
non
può
che
destare
qualche
stupore
il
fatto
che
tale
“riconoscimento
dell’esistenza
del
soprannaturale”
avvenga
rapportandosi
con
una
soprannaturalità
che
è
chiaramente
e
dichiaratamente
inventata
nelle
sue
caratteristiche
sia
teologiche
che
cultuali.
Eppure
ciò
è
esattamente
quanto
avviene,
ormai
da
qualche
anno,
all’interno
di
un
gruppo
piuttosto
nutrito
di
“fedeli”,
presenti
anche
in
rete,
del
“Culto
Jedi”,
cioè
della
religione
inventata
da
George
Lucas
per
la
esalogia
di
“Guerre
Stellari”.
Tenendo
conto
dell’esistenza,
nei
soli
Stati
Uniti,
di
oltre
4.000
chiese
e
sette
ufficialmente
riconosciute
e
legate
al
culto
di
pressoché
qualunque
cosa
(dagli
alberi
agli
alieni),
si
potrebbe
pensare
a
poco
più
che
un’anomalia,
frutto
di
esaltazioni
da
transfert
di
qualche
spettatore
un
po’
troppo
immedesimato
nei
personaggi
della
fortunata
serie
filmica.
Probabilmente,
nella
maggioranza
dei
casi,
le
cose
stanno
esattamente
così
ma
sia
la
proporzione
dei
fenomeno
(si
parla
di
parecchie
migliaia
di
aderenti,
più
o
meno
coinvolti
nel
culto
e,
anzi,
Daniel
Jones,
il
ventitreenne
fondatore
della
“Chiesa
Internazionale
dello
Jedismo”,
parla,
indubbiamente
con
un
certo
grado
di
esagerazione,
di
circa
500.000
sostenitori
e
fedeli
nel
mondo)
sia
la
complessità
dell’apparato
teologico
costruito
dagli
autori
delle
sei
pellicole
ufficiali
della
serie
e
degli
innumerevoli
prequel
e
sequel
sviluppati
nel
tempo
da
creatori
di
libri,
fumetti
e
videogame
legati
alla
saga
spaziale
inducono
a
ritenere
necessaria
una
indagine
un
po’
più
approfondita
su
un
argomento
che
non
può
essere
semplicemente
liquidato
come
“patologia
socio-psicologica”.
Prima
di
tutto,
come
si
struttura
la
religione
di
Guerre
Stellari?
Il
tratto
distintivo
più
caratteristico
può
essere
rinvenuto
nella
“filosofia
della
Forza”,
che,
per
molti
versi,
risulta
lo
snodo
centrale
di
tutte
le
pellicole
dell’esalogia.
Per
comprendere
di
cosa
si
tratti,
analizziamo
brevemente
cosa
ci
viene
detto
riguardo
ad
essa
nel
corso
della
narrazione.
Nell’Episodio
IV
(il
primo
film
della
serie,
realizzato
nel
1977),
Obi-Wan,
quello
che
inizialmente
ci
appare
essere
l’ultimo
“Cavaliere
Jedi”
(cioè
membro
di
una
sorta
di
ordine
monastico-guerriero
il
cui
compito
è
proteggere
l’ordine
nell’universo)
spiega
anzitutto
la
dicotomia
tra
bene
e
male
presente
nella
Forza:
racconta
a
Luke
(il
giovane
protagonista)
che
“per
oltre
mille
generazioni
i
Cavalieri
Jedi
sono
stati
i
guardiani
della
pace
e
della
giustizia
della
Vecchia
Repubblica.”
Pochi
minuti
dopo,
egli
contrappone
alle
caratteristiche
dei
Jedi
le
azioni
di
Darth
Vader
(il
nemico
per
eccellenza):
“Ha
tradito
e
ucciso
tuo
padre
.
Ora
i
Jedi
sono
tutti
estinti
ma
Vader
è
stato
sedotto
dal
lato
oscuro
della
Forza...”.
Essendo
il
primo
episodio
centrato
soprattutto
sull’azione
e la
delineazione
del
“mondo”
in
cui
l’intreccio
ha
luogo,
la
cosa
viene
lasciata
in
sospeso
e
nulla
più
ci
viene
spiegato
della
“dottrina”
della
Forza,
ma
già
siamo
in
grado
di
contrapporre
la
natura
violenta
di
Darth
Vader
al
comportamento
per
lo
più
passivo
e
compassionevole
di
Obi-Wan
Kenobi.
Un
maggior
approfondimento
delle
caratteristiche
“spirituali”
che
sottostanno
all’evolversi
degli
eventi
viene
fornito
nell’Episodio
V,
allorché,
durante
l’addestramento
di
Luke
su
Dagobah,
Yoda,
il
Maesto
Jedi
più
vecchio
e
rispettato,
afferma:
“La
possanza
di
un
Jedi
scaturisce
dalla
Forza.
Ma
attenzione
al
lato
oscuro.
La
rabbia
...
la
paura
...
l’aggressività:
il
lato
oscuro
della
forza
sono
loro.
Scorrono
facilmente,
velocemente
ti
accompagnano
nella
lotta.
Una
volta
che
uno
si
avvia
lungo
il
sentiero
oscuro,
per
sempre
esso
dominerà
il
suo
destino
e lo
consumerà,
come
ha
fatto
con
l’apprendista
di
Obi-Wan
[cioè
Vader]”.
Luke
poi
domanda:
“È
il
lato
oscuro
più
forte?”
e
Yoda
risponde:
“No.
..
no
...
no.
Solo
più
rapido,
più
facile,
più
seducente.”
Al
che,
Luke
chiede
ancora
“Ma
come
faccio
a
distinguere
il
lato
buono
dal
cattivo?”
E
Yoda
spiega:
“Lo
riconoscerai.
Quando
sei
tranquillo,
in
pace,
passivo.
Uno
Jedi
usa
la
Forza
per
conoscenza
e
difesa,
mai
per
attaccare”.
Il
concetto
verrà
poi
ripreso
sempre
da
Yoda
nell’Episodio
I,
quando
affermerà:
“La
paura
è la
via
verso
il
lato
oscuro:
la
paura
porta
alla
rabbia,
la
rabbia
porta
al
odio,
l’odio
porta
alla
sofferenza”.
Praticamente,
il
nucleo
della
religione
“galattica”
sviluppata
in
“Guerre
Stellari”
sta
tutto
qui:
esiste
una
grande
Forza
che
domina
e
unisce
tutto
l’universo,
una
forza
ambivalente,
con
un
aspetto
“di
luce”
le
cui
caratteristiche
sono
umiltà,
sacrificio,
amore
per
ogni
essere
vivente,
consonanza
con
ogni
aspetto
della
natura
e un
aspetto
“oscuro”
dato
da
rabbia,
violenza,
sopraffazione,
desiderio
di
dominio,
orgoglio
e
volontà
di
essere
potenti
e
temuti.
Gli
essere
umani
devono
prendere
posizione
in
un
senso
o
nell’altro
ed
entrambi
gli
aspetti
hanno
i
loro
“guardiani”
e
“guerrieri”:
i
Jedi
per
il
lato
“di
luce”
e i
Sith
(i
nemici
della
giustizia
e
della
repubblica,
come
l’imperatore
Darth
Sidius
e i
suoi
accoliti)
per
il
“lato
oscuro”.
In
fondo
è
una
costruzione
abbastanza
semplice,
quasi
banale,
se
non
fosse
che
nulla
nella
saga
è
lasciato
al
caso
e,
anzi,
pur
in
una
rielaborazione
fantastica
e
ultra-creativa
che
ha
fatto
di
“Guerre
Stellari”
una
della
narrazioni
fantascientifiche
moderne
più
amate
dal
pubblico,
ogni
elemento
messo
in
gioco
da
Lucas
ha
alle
spalle
un
più
o
meno
sottile
gioco
di
rimandi
culturali:
così
è
per
la
contrapposizione
tra
repubblica
e
impero,
che
non
solo
rimanda
alla
storia
romana
ma
richiama,
nella
psicologia
collettiva,
la
contrapposizione
tra
democrazia
e
tirannide;
così
è
per
i
colori
prevalenti
dei
costumi
dei
protagonisti,
sempre
freddi
per
il
“cattivi”
e
sempre
caldi
per
i
“buoni”,
con
anche
qualche
concessione
a
facili
richiami
storici
(non
è un
caso,
ad
esempio,
che
gli
elmetti
di
tutti
gli
“imperiali”
siano
disegnati
esplicitamente
copiando
quelli
nazisti).
Ebbene,
se
ciò
accade
per
pressoché
ogni
elemento
filmico,
a
maggior
ragione
deve
accadere
per
quanto
riguarda
la
questione
religiosa
che,
come
affermato
da
Lucas
stesso
nel
corso
di
alcune
interviste,
voleva
sin
dall’inizio
essere
centrale
per
invertire
la
tendenza
al
disinteresse
verso
i
fattori
spirituali
che,
secondo
l’autore-regista,
caratterizza
il
pubblico
degli
spettatori
cinematografici.
Quali
sono
dunque
le
basi
per
la
costruzione
fantastica
della
“religione
Jedi”
(o “Jedismo”)?
Agli
occhi
di
chiunque
si
interessi
di
religioni
il
dato
che
emerge
più
chiaramente
è la
commistione
di
più
elementi
tratti
da
diversi
culti
storici.
In
primo
luogo,
nella
dicotomia
tra
“lato
luminoso”
e
“lato
oscuro”
è
impossibile
non
leggere
un
evidente
richiamo
al
Mazdismo
e al
Manicheismo,
la
religione
iranica
prevalente
tra
III
e
VII
secolo
che
tanta
influenza
ebbe
sullo
Gnosticismo.
La
teologia
manichea
insegna,
infatti,
una
visione
dualistica
del
bene
e
del
male,
con
una
divinità
“di
luce”
(Ahura
Mazda,
poi
Dio)
a
cui
si
contrappone
una
divinità
malvagia
(Ahriman,
poi
Satana)
e
l’umanità,
il
mondo
e
l’anima
visti
come
il
sottoprodotto
della
battaglia
tra
i
due.
Così
l’uomo
diventa
una
sorta
di
campo
di
battaglia
dal
momento
che
l’anima
definisce
la
persona
ma è
sotto
l’influenza
di
luce
e
buio,
esattamente
come
il
“cuore
dello
Jedi”
che
può
facilmente
cadere
preda
del
“lato
oscuro”.
Una
visione
per
molti
versi
similare
si
risconta
anche
nel
Taoismo,
l’antica
filosofia
cinese
il
cui
nome
viene
generalmente
tradotto
come
“la
Via”:
i
due
obiettivi
principali
del
Taoismo
sono
il
raggiungimento
dell’equilibrio
e
l’esistere
in
armonia
con
la
natura
(e
con
tutti
gli
esseri
viventi).
Non
c’è
divinità
in
quanto
tale
nel
taoismo,
che
concettualizza
la
realtà
ultima
come
energia
primordiale.
Questa
energia
si
esprime
in
tutto
il
mondo
sotto
forma
di
due
forze
uguali
e
opposte,
il
“yin”
o
forza
passiva
femminile,
e la
“yang”
forza
attiva
maschile
che,
di
per
sé
non
sono
né
buone
né
cattive
ma
che
dovrebbero
essere
in
equilibrio
in
ogni
momento.
La
tensione
tra
yin
e
yang
crea
il “qi”,
l’energia
o la
vita
che
si
trova
in
tutte
le
cose,
in
particolare
nelle
creature
viventi,
e la
cui
manipolazione
è
alla
radice
di
molte
pratiche
tradizionali
cinesi:
secondo
la
leggenda,
la
capacità
di
comandare
il
flusso
del
qi
porta
ad
ottenere
poteri
mistici
simili
a
quelli
dei
Jedi,
come
ad
esempio
la
capacità
di
spostare
gli
oggetti
con
la
mente.
Per
molti
versi,
comunque,
il
Taoismo
è
più
di
una
filosofia
che
una
religione,
è
spesso
viene
combinato
con
credenze
religiose
di
altre
tradizioni.
Un
altro
importante
elemento
del
“cammino
Jedi”
è
dato
da
elementi
provenienti
dal
Buddhismo
Zen,
che
predica
il
“non
attaccamento”
e
l’abbandono
di
legami
affettivi
a
persone,
luoghi
e
cose
(i
Jedi
lascino
i
loro
affetti
da
bambini
e
proprio
l’eccessivo
attaccamento
alla
madre
prima
e
all’amante
poi
porterà
Anakin
Skywalker
alla
perdizione),
con
l’’obiettivo
finale
di
raggiungere
uno
stato
di
compassione
disinteressata
e
spassionata
per
tutti
gli
esseri
viventi:
come
i
cavalieri
Jedi,
i
monaci
buddisti
sono
ascetici
e
celibi
e
sono
noti,
almeno
nella
fantasia
popolare,
per
lo
sviluppo
di
particolare
abilità
di
controllo
del
corpo
e
della
mente
che
possono
apparire
quasi
sovrumane.
Non
bisogna,
però,
pensare
che
Guerre
Stellari
peschi
solo
in
ambito
religioso
orientale.
Il
realtà,
il
concetto
di
“forza”
trova
la
sua
massima
espressione
nella
spiritualità
panistica
celtica,
laddove
come
fonte
ultima
di
ogni
manifestazione
cosmica,
come
minimo
comun
denominatore
di
ogni
elemento
naturale
e
dunque
come
elemento
costitutivo
e
radicale
di
ogni
istanza
successivamente
concretizzata
nelle
varie
divinità,
i
druidi
individuavano
proprio
la
“Forza”,
intesa
come
forza
vitale
e
denominata
“Oiw”:
tutte
le
manifestazioni
della
natura,
anche
quelle
più
violente,
venivano
vissute
come
un’incarnazione
dell’energia
assoluta
che
presiede
alla
creazione
e
alla
distruzione
del
mondo,
in
un
processo
ciclico
di
nascita
e
morte
che
si
rinnovava
continuamente
e da
cui
derivava
anche
il
concetto
celtico
della
reincarnazione
(e
della
vita
ultra-terrena,
come
quella
vissuta
da
Obi-Wan
dopo
il
duello
con
Darth
Vader),
frutto
della
continua
evoluzione
dell’Oiw
a
tutti
i
livelli.
Senza,
però,
scomodare
esempi
tanto
lontani
dalla
nostra
cultura
e
dal
nostro
modo
di
pensare,
è
facile
vedere
come
tutta
la
“mistica
Jedi”
viva
di
pesanti
prestiti
dall’Israelitismo
(in
particolare
Lubavicher)
e
dal
Cristianesimo
(in
particolare
con
palesi
rimandi
alla
epopea
templare).
L’apice
in
questo
senso
è
dato
certamente
dall’attesa
messianica
che
pervade
il
“Gran
Consiglio
Jedi”
e
che
trova
il
suo
compimento
nella
speranza
(chiaramente
espressa
nell’Episodio
I)
che
il
messia
sia
rappresentato
da
Anakin
Skywalker,
il
bambino
che
sembra
accogliere
in
sé
caratteristiche
che
lo
avvicinano
direttamente
alla
figura
del
Cristo:
Anakin
ha
avuto
una
nascita
miracolosa
da
una
madre
senza
nessun
padre
mortale,
è
annunciato
da
una
profezia
che
racconta
di
una
prossima
venuta
del
“Prescelto”
e
porta
salvezza
alla
Forza
(e
conseguentemente
a
tutti
gli
esseri
viventi)
distruggendo
i
Sith
allorché
Darth
Vader
(cioè
la
trasformazione
di
Anakin
quando
si
volge
al
“lato
oscuro”)
si
ribella
a
Darth
Sidius
(e
non
è
casuale
che
alcuni
gruppi
fondamentalisti
cristiani
abbiano
duramente
attaccato
Lucas
per
questi
tratti
analogici).
Per
quanto
riguarda
il
rimando
all’epopea
templare,
infine,
è
tutta
la
rigida
gerarchia
e
morale
Jedi
a
costituire
un
aggancio
continuo
con
essa,
a
partire
dall’essenza
stessa
del
“monaco-guerriero”,
povero
(i
Jedi
non
possono
avere
proprietà
personali),
casto,
spirituale,
ascetico,
meditativo
ma,
così
come
richiesto
del
“De
Laude
Novae
Militiae”,
di
Bernardo
di
Chiaravalle
(1128),
addestrato
come
il
migliore
dei
combattenti,
implacabile
verso
i
nemici
(nei
confronti
dei
quali
è
permesso
il “malicidio”)
e
con
un
rapporto
privilegiato
con
la
propria
arma
(la
spada
è
simbolo
della
difesa
della
Fede
per
i
Templari
così
come
la
spada
laser,
che
i
Jedi
si
costruiscono
quando
vengono
nominati
cavalieri,
è
simbolo
della
loro
difesa
della
Forza).
L’elenco
degli
elementi
presi
a
prestito
dalle
varie
religioni
e
travasati
nello
“Jediismo”
potrebbe
continuare
ancora,
ad
esempio
prendendo
in
esame
lo
scenario
apocalittico
che
l’intera
esalogia
disegna,
il
tema
del
“mundus
senescit”
che
fa
da
sfondo
alla
narrazione
o,
persino,
nuclei
significanti
colti
dal
grande
bacino
jihadistico.
Quanto
detto,
però,
risulta
sufficiente
per
delineare
la
connotazione
della
religiosità
dipinta
nella
serie
filmica
e la
ragione
della
sua
presa,
culturalmente
piuttosto
impressionante,
sul
pubblico.
La
domanda
che
dobbiamo
porci
è
come
sia
possibile
che
una
fede
evidentemente
fittizia,
che
mescola
allegramente
elementi
eterogenei
provenienti
da
mondi
culturali
lontanissimi,
possa
avere
presa
sul
pubblico
fino
a
portare
alla
creazione
di
un
nuovo
culto.
La
risposta
sta
nell’utilizzo
di
archetipi
religiosi
che
accomunano,
come
in
parte
abbiamo
avuto
modo
di
vedere,
più
religioni
e
che,
in
qualche
modo,
trovano
il
loro
fondamento
in
quella
che
potremmo
definire
“religiosità
naturale”.
Contrapposizione
tra
bene
e
male,
percezione
del
legame
che
unisce
indissolubilmente
tutti
i
viventi,
tensione
soteriologica,
rispetto
per
l’altro,
ammirazione
più
o
meno
palese
per
capacità
ascetiche
che
ai
più
appaiono
sovrumane
non
sono
centri
tematici
specifici
di
questo
o
quel
culto
ma
costituiscono,
piuttosto,
un
minimo
comun
denominatore
di
ogni
spiritualità,
sia
sotto
la
lente
di
un’analisi
diacronica
che
sotto
quella
di
un’analisi
sincronica,
andando
a
formare
la
cosiddetta
“Regola
Aurea”.
Proprio
il
richiamo
ad
elementi
archetipi
profondamente
radicati
nel
nostro
subconscio
collettivo
può
spiegare
l’immediata
consonanza
cognitiva
che
ci
porta
a
riconoscere
come
“assolutamente
vero”
il
misticismo
che
fa
da
sfondo
ad
una
saga
fantascientifica
come
quella
di
“Star
Wars”.
L’abilità
di
Lucas,
al
di
là
del
riconoscimento
di
tali
elementi,
sta
nella
sua
capacità
sincretica:
seppur
ci
troviamo
di
fronte
a
temi
fondamentali
trasversali
a
tutte
le
religioni
o,
almeno,
a
gran
parte
di
esse,
l’abilità
dell’autore
e
regista
di
innestare
e
omogeneizzare
nuclei
differenti
in
un
unicum
coeso
è
davvero
notevole,
soprattutto
nella
costruzione
non
solo
di
un
mondo
altro,
ma
anche
(e
soprattutto
per
quanto
riguarda
il
nostro
discorso)
di
una
mitologemetica
altra.
Archetipi,
sincretismo,
mitologia
parallela
sono,
d’altra
parte,
gli
elementi
fondativi
di
quasi
tutte
le
“nuove
religioni”,
a
partire
da
quelle
“New
Age”
e
“Next
Age”
che
hanno
imperversato
negli
anni
‘90
e i
cui
echi
non
sono
ancora
completamente
spenti.
Non
stupisce,
dunque,
che,
così
come
elementi
compositi
quali
filosofia
zen,
sciamanesimo
andino,
cultualità
wikka
e
animisticità
primitiva
hanno
catturato,
presentandosi
palesemente
come
costituenti
un
sistema
coeso,
migliaia
di
adepti
di
ogni
livello
sociale
e
culturale,
così
nuclei
semantici
ugualmente
compositi
ma
abilmente
ridotti
ai
loro
minimi
termini
per
saldarsi
tra
loro
abbiano
potuto,
forse
in
forma
più
criptica,
attrarre
tante
persone
già
predisposte
ad
una
accettazione
ideologica
più
passiva
a
causa
della
fascinazione
filmica
esercitata
da
una
storia
disegnata,
a
sua
volta,
con
i
più
classici
elementi
della
narratologia
fantastico-magistica
di
scuola
proppiana.
Riferimenti
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