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N. 140 - Agosto 2019 (CLXXI)

il regno di bretagna

La spina nel fianco della Francia carolingia - Parte I

di Roberto Conte  

 

In una nazione dallo spirito centralizzatore e culturalmente egemone come la Francia è difficile, al giorno d’oggi, trovare traccia di comunità alloglotte: l’esempio più evidente è quello dei Corsi, che sono riusciti a mantenere la loro identità etnica grazie soprattutto alla loro insularità.

 

Oltre a essi, e ai Baschi dell’estremità sud-occidentale della repubblica transalpina, gli unici a aver conservato caratteristiche etniche e linguistiche peculiari sono gli abitanti della Bretagna, dove ancor oggi è parlato un idioma appartenente al ramo brittonico del celtico, simile al gallese.

 

Anche all’epoca della dominazione romana la Bretagna, denominata allora Armorica, era stata una delle zone della Gallia in cui la latinizzazione aveva trovato più difficoltà per affermarsi. Prova ne sia il fatto che le città ivi fondate dai Romani mutarono presto il loro nome, adottando quello degli abitanti originari: così Condate divenne Rennes dalla tribù dei Redoni, Darioritum Vannes da quella dei Veneti, Condevincum Nantes da quella dei Namneti.

 

Questa tenace resistenza celtica a influssi esterni venne potentemente rinforzata tra la fine del IV e l’inizio del V secolo da costanti e considerevoli flussi migratori dalle coste della Gran Bretagna sud-occidentale da parte di genti molto affini agli indigeni armoricani. Secondo fonti medievali gallesi e anche francesi tale afflusso di Britanni ebbe origine già nel corso della rivolta di Magno Massimo contro l’imperatore Graziano, nel 383, quando un certo Conan Meriadoc seguì l’usurpatore in Gallia a capo di un grosso contingente britanno, stanziandosi nell’Armorica.

 

Sia vera o meno tale tradizione, certamente questa migrazione si accrebbe, sino a divenire una diaspora, all’inizio del V secolo, all’indomani dell’invasione anglosassone della Britannia, per quanto alcuni studiosi, basandosi sulla provenienza geografica dei fuggiaschi, ne indichino la causa piuttosto nelle incursioni degli Scoti sulle coste occidentali dell’Inghilterra.

 

Grandi ondate di profughi in fuga dalla furia germanica (o gaelica) si riversarono sulle coste dell’Armorica, non senza il beneplacito del morente Impero d’Occidente, che sperava di attingere da questo materiale umano le forze necessarie per continuare a difendere la Gallia dalle orde barbariche, e soprattutto dai Visigoti.

 

Verso il 470, a questo riguardo, tanto Sidonio Apollinare (Epistulae, III, 9) quanto Giordane (Getica, 237-238) ricordano l’arrivo sul continente del dinasta britanno Riotamo alla testa di 12.000 guerrieri, chiamato dallo stesso imperatore Antemio Procopio per rafforzare le difese della Gallia settentrionale. Riotamo riuscì a occupare Bourges, ma venne poi probabilmente tradito dal praefectus praetoris Galliarum Arvando, e a Deols cadde in un’imboscata tesagli dal re visigoto Eurico, venendo sconfitto dopo un’aspra battaglia. I superstiti del suo esercito trovarono rifugio a Avallon, nell’attuale Svizzera, e secondo alcuni alla sua figura ci si sarebbe ispirati, almeno in parte, per creare il leggendario personaggio di re Artù.

 

Gli immigrati dalla Bretagna ebbero un ruolo fondamentale anche nel completamento dell’evangelizzazione dell’Armorica, all’epoca del loro arrivo ancora prevalentemente pagana, soprattutto nelle aree rurali. In questa prospettiva si innesta la leggenda dei sette santi fondatori della Bretagna. Secondo questa tradizione, questi uomini di chiesa provenienti da Oltremanica avrebbero stabilito le sette diocesi in cui fu poi divisa la regione sino all’epoca della Rivoluzione Francese, con l’esclusione di quelle di Nantes e di Rennes, che erano allora abitate per lo più da Gallo-romani. Così san Maclovio avrebbe fondato Saint Malo, san Sansone Dol-de-Bretagne, san Brieuc Saint Brieuc, san Tugdual Treguier, san Corentino Quimper, san Paolo Aureliano Saint-Paul-de-Leon e san Paterno Vannes.

 

Dal punto di vista politico, i Bretoni furono per lungo tempo travagliati, come i loro confratelli delle isole, dalle divisioni interne: esistevano diversi potentati, definiti un po’ troppo enfaticamente regna da Gregorio di Tours, spesso in lotta tra loro, e tra di essi i più importanti erano quelli di Dumnonia, a nord, Cornovaglia, a sud-ovest, e Gwened o Broërec, a sud-est. I capi di queste entità erano chiamati mactyern, equiparabili probabilmente ai capi clan delle isole britanniche, e alcune volte uno di essi riusciva a estendere la sua autorità su un territorio maggiore, ma sempre alla sua morte esso tornava a frammentarsi a causa delle usanze ereditarie celtiche.

 

È stato anche ipotizzato che esistesse presso questa popolazione la figura di un re supremo, simile all’ard righ irlandese, che avrebbe goduto di una certa autorità su tutti gli altri, anche se gli indizi in tal senso sono tutt’altro che chiari. La divisione politica metteva i Bretoni in una condizione di grave inferiorità rispetto al regno dei Franchi, lo stato romano-barbarico più potente tra tutti, ma questo non deve far credere che essi fossero delle vittime sacrificali del formidabile vicino. Anzi, per quanto i loro capi dovessero versare tributi e giurare fedeltà ai vari sovrani merovingi, spesso poi venivano meno ai propri obblighi e tormentavano con le loro incursioni le comunità gallo-romane, predominanti nei territori di Nantes e Rennes e anche nella città di Vannes.

 

Del resto, già all’epoca di Riotamo Sidonio Apollinare si era lamentato dei saccheggi che i nuovi venuti compivano ai danni degli indigeni, e i Gallo-romani restarono sempre ben distinti dai Bretoni: parlavano una lingua diversa, avevano differenti usanze religiose, consideravano quasi dei selvaggi i nuovi venuti, per quanto, in realtà, questi ultimi avessero semplicemente mantenuto più genuine le tradizioni celtiche comuni a entrambe le popolazioni.

 

La prima rivolta di un certo rilievo di cui abbiamo notizia avvenne nel 578, quando un capo del Gwened, Waroch (in bretone Gwereg), si impadronì di Vannes, città, come si è detto, a maggioranza gallo-romana, e rifiutò di rendere omaggio a Chilperico I, che gli inviò contro un esercito formato da contingenti provenienti dal Poitou, dalla Touraine, dall’Angiò, dal Maine e da Bayeux.

 

Contro i soldati provenienti da quest’ultima città (Baiocassensis), che erano di origine sassone, si concentrarono gli attacchi più furiosi dei Bretoni, che riuscirono a metterli in fuga, ma dopo una battaglia durata tre giorni sulle rive del Vilaine Waroch dovette infine sottomettersi e rendere omaggio al sovrano merovingio, cui diede in ostaggio il proprio figlio e promise di pagare un tributo annuo. Non mantenne tuttavia fede ai patti siglati, e nel 587 attaccò e saccheggiò il territorio di Nantes, subendo poi la ritorsione del nuovo re franco Gontrano, che invase i suoi domini e lo costrinse a promettere il pagamento di un’ammenda di 1.000 solidi. Ma ancora una volta questi accordi non vennero onorati e nel 589/90 la Bretagna subì una nuova invasione da parte di un esercito franco, guidato da Beppolem e Ebrachain.

 

Poiché questi due personaggi erano divisi da forti rivalità personali, operarono senza coordinamento, e Waroch, che aveva ottenuto anche l’aiuto dei Sassoni di Bayeux, su ordine della stessa moglie di Chilperico, Fredegonda, a sua volta nemica di Beppolem, riuscì a sconfiggere e uccidere quest’ultimo dopo una battaglia durata tre giorni.

 

Tuttavia in seguito, pressato da Ebrachain, che entrò a Vannes, tentò di fuggire sulle isole del canale, ma una tempesta provocò l’affondamento di tutte le sue navi e quindi fu costretto a accettare la pace, rinnovando il suo giuramento e consegnando suo nipote come ostaggio. Anche stavolta, tuttavia, non tenne fede alla parola data e inviò suo figlio Canao a attaccare quei Franchi che si erano attardati nel corso del ritorno in patria, uccidendone o catturandone parecchi.

 

Diversi anni più tardi fu la Dumnonia a stabilire una sorta di predominio sull’intera Bretagna con il suo sovrano Judicael, definito appunto re dei Bretoni nella Cronaca di Fredegario. Questo monarca si distinse per l’intensa opera di evangelizzazione delle sue terre, fondando tra l’altro il monastero di Primpont, tanto da essere canonizzato dopo la sua morte. Anch’egli fu costretto a rendere omaggio al re merovingio Dagoberto I, e verso il 640 si ritirò nel monastero di San Giovanni a Gwazel, lasciando il trono al figlio Alan II.

 

Pare che anche quest’ultimo mantenesse il titolo di re dei Bretoni, e di certo fu in stretta alleanza con l’ultimo sovrano dei Britanni, Cadwaldar, che per un certo periodo ospitò nella sua corte. Dopo la sua morte, nel 690, non si hanno notizie di altri re supremi della Bretagna, che evidentemente tornò a dividersi in tanti staterelli satelliti dei re Franchi.

 

Questo non vuol dire che il dominio di questi ultimi fosse incontrastato: solo sotto il regno di Carlo Magno si registrarono ben tre rivolte, nel 786, nel 799 e nell’811. Ma fu proprio dopo la morte del grande monarca, nell’814, che gli indomabili Bretoni trovarono un capo sotto il quale organizzarsi per una più valida resistenza. Costui si chiamava Morman, che sembra esser stato un mactyern del Gwened, ma che era riuscito a estendere la propria autorità anche in altre aree della Bretagna, e che probabilmente era stato vassus del defunto imperatore franco.

 

Alla scomparsa di quest’ultimo, egli non si ritenne in dovere di trasferire la sua fedeltà al suo figlio e successore, Ludovico il Pio, e assunse il titolo di re dei Bretoni. La fiera risposta che secondo il cronista Ermoldo il Nero diede all’abate Witkar, giunto a ricordargli i suoi doveri di feudatario, illustra perfettamente l’indomito spirito proprio di tutto il suo popolo: “Va’ subito dal tuo padrone, e ripetigli le mie parole. Io non abito la sua terra, e nemmeno voglio sottostare alle sue leggi. Regni pure sui Franchi. Morman regna sui Bretoni. Se i Franchi ci fanno la guerra, noi rendiamo loro la guerra. Abbiamo braccia di cui sapremo fare uso”.

 

Di fronte a questa ferma posizione, Ludovico inviò un corpo di spedizione, che però fu battuto dai Bretoni, cosicché l’imperatore stesso radunò nella primavera dell’818 un grosso esercito a Vannes ed invase i territori di Morman, sino a giungere a Priziac, sulle rive dell’Elle. Qui, nel corso di una furiosa battaglia, il re ribelle fu ucciso e decapitato.

 

Questo parve portare a una piena sottomissione della Bretagna, e Ludovico pensò di accrescere il suo controllo sulla penisola istituendo una nuova contea, quella di Poutrocoet, ma proprio questo avvenimento servì a rinfocolare la rivolta dei Bretoni, che nell’822 trovarono un nuovo capo in Wihomarc’h, un mactyern della Dumnonia. Contro di questi intervenne il conte di Nantes Lamberto I, che mise a ferro e fuoco il territorio degli insorti, ma non riuscì in alcun modo a piegare la loro resistenza.

 

Due anni dopo dovette intervenire nuovamente lo stesso Ludovico, che invase il paese alla testa di un esercito che divise in tre colonne, una sotto il suo comando personale e le altre sotto quello dei suoi figli Pipino e Ludovico. Ma anche stavolta i Bretoni adottarono una tattica di guerriglia e, dopo aver devastato il paese per quaranta giorni, l’imperatore carolingio rientrò a Rouen il 17 novembre senza aver ottenuto alcun risultato effettivo.

 

Nel maggio dell’825, tuttavia, Wihomarc’h si presentò a Aquisgrana alla testa degli altri capi della sua gente e prestò omaggio al sovrano franco, ricevendone il perdono, oltre che doni e concessioni. Questo non gli impedì, una volta tornato in patria, di riprendere le sue scorrerie nelle terre di confine, ma nel corso dello stesso anno fu ucciso nella sua stessa casa dagli uomini di Lamberto di Nantes, forse perché aveva concluso un accordo di pace con i pirati Vichinghi che infestavano le acque francesi.

 

Dopo tale avvenimento non si hanno più notizie sulla Bretagna sino all’836, quando un altro capo bretone, Murmanus, cui il cronista Reginone di Prüm assegna il titolo di re, non rispettò i patti stabiliti con Ludovico, che effettuò l’ennesima spedizione inconcludente, non riuscendo mai a costringere i ribelli ad accettare una battaglia campale.

 

Murmanus morì l’anno seguente, e la penisola tornò a frazionarsi in tanti staterelli. A questo punto, l’imperatore pensò di pacificare del tutto la regione ponendola sotto il controllo di un suo fedelissimo, Nominoë, che era già stato missus dominicus nell’831.

 

Non si rese conto, invece, che, unificando la Bretagna sotto la guida di un uomo capace, eliminava proprio il punto debole che aveva permesso ai Franchi di continuare ad avere un predominio, per quanto precario, su di essa.



 

 

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