N. 79 - Luglio 2014
(CX)
rEGIA MARINA e GRANDE GUERRA
LA STRATEGIA ITALIANA ALLA VIGILIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
di Leonardo Merlini
La
Grande
Guerra
viene
quasi
unanimemente
immaginata
come
una
guerra
di
trincea
combattuta
prevalentemente
sulla
terra.
Grande
impatto
sull’andamento
e
sull’esito
della
guerra
ebbe
invece
la
Regia
Marina
che,
con
l’impresa
di
Premuda,
diede
il
cosiddetto
“colpo
di
grazia”
all’Austria-Ungheria
e di
fatto
sancì
la
sconfitta
degli
Imperi
Centrali.
All’alba
del
10
giugno
1918,
il
comandante
Rizzo
con
i
Mas
15
e
21,
al
largo
dell’isola
di
Premuda
(oggi
appartenente
alla
Croazia),
avvista
una
formazione
austriaca
diretta
verso
Otranto.
Con
un
attacco
improvviso
Rizzo
si
porta
a
breve
distanza
dalla
corazzata
Szent
Istvan
(Santo
Stefano)
e
l’affonda.
Dopo
quasi
un
secolo,
la
festa
della
Marina
si
celebra
proprio
il
10
giugno
per
ricordare
l’Impresa
di
Premuda;
uno
dei
due
mezzi
navali
utilizzati,
il
Mas
15,
è
conservato
a
Roma,
al
Vittoriano
degli
italiani.
Tale
azione
fu
la
più
eclatante
di
una
lunga
serie,
che
vide
la
Regia
Marina
fronteggiare
su
un
mare
sfavorevole
le
potenze
dell’Alleanza.
Pur
essendo
infatti
le
Marine
italiana
e
austriaca
per
quantità
di
uomini
e
mezzi
allo
stesso
livello,
quella
austriaca
aveva
però
il
vantaggio
di
poter
sfruttare
come
basi
le
frastagliate
coste
dell’Adriatico
orientale,
ricche
di
isole
e
insenature,
ottime
per
offrire
una
protezione
naturale
alla
Flotta.
Un
tale
successo
non
sarebbe
potuto
avvenire
senza
la
lungimiranza
dell’allora
capo
di
stato
maggiore
della
Marina,
il
vice-ammiraglio
Paolo
Thaon
di
Revel.
Chiamato
al
vertice
della
Regia
Marina
il
primo
aprile
1913,
egli
dispose
un
iniziale
periodo
di
“raccoglimento
per
rassettare
il
materiale
e
riordinare
il
personale”
a
pochi
mesi
dalla
conclusione
della
pace
con
la
Turchia
(ottobre
1912).
Seguì
dall’estate
1913
una
graduale
ripresa
della
normale
attività.
Le
Forze
Navali
vennero
riunite
sotto
un
unico
Comando
(per
stabilire
l’indispensabile
unità
di
direzione)
e
vennero
avviate
esercitazioni
realistiche
che
porteranno
le
navi
della
Regia
Marina
alla
guerra
pronte
al
combattimento,
come
forse
mai
lo
furono.
E
mentre
l’Italia
intera
si
domandava
se
partecipare
attivamente
alla
Guerra
europea
(iniziata
nell’estate
1914),
Thaon
di
Revel
studiava
con
spirito
critico
e
realistico
i
futuri
accadimenti
e le
eventuali
ripercussioni
per
il
paese
e la
sua
Marina.
Ricordiamo
lo
studio
elaborato
nel
settembre
1914
“Esame
di
operazioni
di
guerra
in
Adriatico”,
il
“Nuovo
esame
di
operazioni
di
guerra
in
Adriatico”
del
4
gennaio
1915
e il
“Piano
generale
delle
operazioni
in
Adriatico”
del
15
aprile
1915.
Nell’ultimo
e
definitivo
documento
si
ribadisce
il
concetto
di
concentrazione
delle
forze
navali,
si
esclude
il
bombardamento
deliberato
delle
città
costiere,
si
condanna
l’attacco
dal
mare
di
piazzeforti
marittime,
si
sottolinea
la
necessità
del
più
rigido
blocco
da
attuarsi
per
l’Adriatico,
e si
afferma
solennemente
che
“obiettivo
primo
ed
essenziale
dev’essere
la
distruzione
delle
forze
navali
nemiche”
(cfr.
E.
Ferrante,
La
Grande
Guerra
in
Adriatico,
Roma,
Ufficio
Storico
della
Marina
Militare,
1987,
p.
29
ss.).
Il
governo
italiano,
il 2
agosto
1914,
dichiarava
la
propria
neutralità,
non
essendo
obbligato
a
intervenire
a
fianco
degli
Imperi
Centrali
(art.
3 e
4
della
Triplice
Alleanza).
L’opinione
pubblica,
di
conseguenza,
si
spaccò
in
due
e
sorsero
i
movimenti
dei
moderati
neutralisti
e
quello
più
determinato
degli
interventisti.
Quest’ultimo
movimento
fu
supportato
in
maniera
decisiva,
secondo
quanto
enunciato
nel
suo
primo
manifesto,
dal
movimento
futurista.
Così,
Marinetti
non
lesinò
manifesti
e
documenti
per
incitare
alla
guerra;
Papini,
che
con
Ardengo
Soffici
(1877-1964)
aveva
fondato
nel
1913
la
rivista
fiorentina
Lacerba,
organo
ufficiale
del
futurismo
italiano,
inneggiava
sulle
sue
colonne
al
necessario
e
rigeneratore
“bagno
di
sangue”,
che
verrà
inaugurato
con
l’ingresso
in
guerra
dell’Italia
il
24
maggio
del
1915;
i
pittori
futuristi
misero
il
loro
talento
al
servizio
della
campagna
interventista
iniziata
con
rumorose
manifestazioni
di
piazza
del
movimento
nazionalista
dopo
il
28
giugno
1914
(data
dell’attentato
di
Sarajevo).
L’onta
della
sconfitta
subita
a
Lissa
dalla
neo-costituita
Marina
italiana
ad
opera
di
quella
austriaca,
il
20
luglio
1866,
ancora
gridava
vendetta.
In
questo
contesto,
che
a
volte
rasentava
scenari
di
pura
irrazionalità,
Paolo
Thaon
di
Revel,
con
fredda
e
lucida
determinazione,
considerò
ogni
fattore
operativo
e
logistico
di
una
guerra
sul
mare
mantenendo
alta
l’attenzione
sia
sul
Tirreno
sia
sull’Adriatico,
considerando
equamente
probabile
un
ingresso
in
guerra
a
fianco
o
contro
gli
Imperi
Centrali.
Con
questo
spirito
vennero
dapprima
rinnovate
le
relazioni
con
la
Marina
tedesca
e
con
quella
austriaca
per
coordinare
eventuali
azioni
navali
congiunte
di
guerra,
disciplinandole
in
una
Convenzione
Navale
la
quale,
tra
l’altro,
assicurava
il
pieno
concorso
della
Flotta
austriaca
nel
Tirreno
in
modo
da
contrastare
la
preoccupante
dislocazione
di
potenti
forze
anglo-francesi
nel
Mediterraneo
avvenuta
nel
1913.
Anche
la
Flotta
tedesca
contribuì
alla
Convenzione
dislocando
permanentemente
in
Mediterraneo
una
Divisione
di
rapidi
incrociatori,
e fu
redatto
un
apposito
libro
di
segnali
e di
evoluzioni
denominato
Triplokodice
(venne
approntata
solo
la
versione
in
tedesco,
quella
in
italiano
fu
bruscamente
interrotta
dallo
scoppio
improvviso
del
conflitto
europeo).
Ma
tutto
ciò
non
distolse
Thaon
di
Revel
dal
trascurare
le
eventuali
combinazioni
belliche
nello
Ionio
e in
Adriatico.
In
particolar
modo
vennero
rinforzate,
fra
l’altro,
le
predisposizioni
a
difesa
di
Venezia,
Porto
Corsini,
Brindisi
e
Taranto.
Impulso
particolare
fu
dato
al
completamento
della
dotazione
di
carbone
e
all’aumento
di
quella
del
combustibile
liquido,
mentre
le
basi
navali
e i
depositi
furono
messi
in
sicurezza,
rinforzati
e
occultati
con
i
pochi
mezzi
a
disposizione.
Sul
fronte
dei
mezzi
navali
e
degli
armamenti,
a
scapito
della
costruzione
delle
grandi
corazzate
e
riconosciuta
la
capacità
bellica
di
nuovi
e
sofisticati
“sistemi
d’arma”,
venne
data
la
massima
implementazione
alla
costruzione
e
all’addestramento
di
cacciatorpediniere;
di
unità
sottili
e
veloci
quali
le
siluranti;
di
sommergibili;
dei
nuovi
velivoli
ancora
in
parte
sconosciuti
ma
di
notevole
ausilio
nella
guerra
marittima,
specialmente
per
l’esplorazione;
di
torpedini,
mine
e
dragamine;
di
cannoni
antiaerei;
di
motoscafi
e
rapidi
rimorchiatori;
di
bombe
antisommergibile.
Alacre
opera
di
convincimento
venne
fatta
per
incrementare
i
quadri
organici
soprattutto
degli
ufficiali
e
venne
congelata
la
progettata
soppressione
del
Corpo
Reale
Equipaggi.
Contestualmente
vennero
apportate
significative
e
strumentali
modifiche
alla
nostra
legislazione
marittima,
non
più
rispondente
alle
esigenze
e
agli
usi
di
una
guerra
moderna.
Tali
varianti
e il
successivo
dichiarare
l’Adriatico
zona
di
guerra
posero
le
basi
per
la
repressione
del
contrabbando
marittimo,
per
impedire
la
navigazione
e il
commercio
del
nemico,
per
requisire
il
naviglio
mercantile
avversario.
Il
divieto
di
pesca,
infine,
limitò
di
molto
le
attività
di
spionaggio
del
nemico.
Alla
fine
di
aprile
del
1915
il
Governo
dispose
l’invio
di
un
ufficiale
di
Marina
a
Parigi
per
concertare
con
i
rappresentanti
navali
di
Francia
e
Gran
Bretagna
il
loro
concorso
per
una
guerra
contro
l’Austria.
Anni
prima
era
stato
autorevolmente
affermato
che
per
fronteggiare
la
disparità
dovuta
alla
diversa
conformazione
delle
coste
dei
due
versanti
adriatici,
la
Flotta
italiana
dovesse
essere
all’incirca
il
doppio
di
quella
austriaca.
Ciò
premesso
e
considerata
l’impossibilità
di
poter
contare
su
una
Flotta
così
numerosa,
Paolo
Thaon
di
Revel
propose
di
portare
a 64
i
cacciatorpediniere
che
ci
avrebbero
assicurato
la
prevalenza
su
quelli
austriaci,
e
parimenti
i
sommergibili
che
ci
avrebbero
dato
la
possibilità
di
moltiplicare
gli
agguati
alle
navi
maggiori,
neutralizzando
il
vantaggio
dato
al
nemico
dalle
coste
dalmate,
frastagliate
e
piene
di
isole
e
isolotti.
Con
una
serrata
trattativa
il
nostro
delegato
firmava,
quattordici
giorni
prima
dell’entrata
in
guerra
dell’Italia
la
Convenzione
Navale,
che
prevedeva
l’afflusso
a
Taranto
o
Brindisi
di
incrociatori
e
cacciatorpediniere
alleati.
Ai
comandi
in
mare
venne
data
“carta
bianca”
su
come
e
quando
raggiungere
gli
obiettivi
designati.
Infine,
per
quanto
riguarda
il
concorso
navale
alle
operazioni
terrestri,
esso
venne
assicurato
prevalentemente
ed
efficacemente
impedendo
alle
forze
nemiche
di
offendere
le
nostre
truppe
operanti
presso
la
costa
e
permettendo
loro
di
raggiungere
indisturbate
Trieste
percorrendo
la
strada
litoranea.
Cosicché
allo
scoppio
delle
ostilità
la
linea
strategica
italiana
poteva
essere
riassunta
nei
seguenti
punti
(cfr.
E.
Ferrante,
op.
cit.):
-
Protezione
del
fianco
destro
dell’esercito
operante
sull’Isonzo;
-
Blocco
strategico
dell’Adriatico;
-
Protezione
del
traffico
mercantile
nelle
zone
del
Mediterraneo
di
pertinenza
dell’Italia;
-
Tutela
delle
comunicazioni
marittime
con
il
nostro
corpo
di
spedizione
in
Albania;
-
Difesa
costiera
del
litorale
adriatico
(batterie
fisse,
treni
armati,
mine
e
sommergibili),
tirrenico
(320
batterie)
e
delle
isole,
e
garanzia
della
sicurezza
dei
porti;
-
Strategia
della
vigilanza
(per
controllare
e
controbattere
le
offese
nemiche)
e
strategia
della
battaglia
in
porto
(per
sfidare
nelle
sue
basi
con
naviglio
sottile
e
veloce
le
Flotta
austriaca).
I
fatti
diedero
ampiamente
ragione
all’ammiraglio
Thaon
di
Revel.
Gli
uomini
e i
mezzi
della
Regia
Marina
si
distinsero
per
coraggio,
abnegazione
e
sacrificio
ottenendo
risultati
oltre
le
più
rosee
aspettative
e
contribuendo
in
maniera
determinante
alla
vittoria
finale.
Il
disastro
navale
di
Lissa
era
stato
finalmente
cancellato.