N. 44 - Agosto 2011
(LXXV)
MOHAMMAD VI
TRA NUOVE RIFORME E VECCHI ESPEDIENTI
di Francesca Zamboni
Tredici
milioni
di
marocchini
alle
urne,
affluenza
del
72,65%
e
98,5%
di
“sì.
Questi
sono
i
risultati
del
referendum
costituzionale
tenutosi
il
1°
luglio
a
Rabat
e
proposto
da
Mohammad
VI,
che
sulla
scia
delle
rivolte
maghrebine,
ha
saputo
giocare
la
carta
dell’autolimitazione,
scegliendo
di
rinunciare
a
molti
dei
suoi
poteri
in
favore
del
governo
e
del
benessere
del
popolo.
La
voglia
di
democrazia,
che
si
respirava
già
da
tempo
nelle
folle
marocchine,
lo
aveva
condotto,
lo
scorso
17
giugno,
a
prendere
in
considerazione
la
soluzione
di
trasferire
parte
dei
suoi
poteri
assoluti
al
Parlamento,
al
Governo
e
alla
giustizia,
con
l’obiettivo
di
far
divenire
il
Berbero
lingua
nazionale
ufficiale
assieme
all’arabo.
Riforme
di
cui
il
popolo
marocchino
aveva
da
tempo
bisogno
e
che
non
aveva
esitato
a
richiedere
in
piazza
con
le
annunciate
manifestazioni
poi
realmente
concretizzatesi
con
la
“Primavera
araba”.
Il
Re,
colto
il
messaggio,
in
pochi
giorni
ha
saputo
manipolare
e
controllare
la
situazione,
attraverso
l’elaborazione
di
un
nuovo
testo
costituzionale
da
sottoporre
a
referendum,
che
ridimensiona
il
ruolo
del
sovrano,
non
più
figura
sacra
ma
solo
“inviolabile”
e
non
più
detentrice
di
un
potere
assoluto
e
superato.
Un
re,
Mohammad
VI,
tanto
scaltro
quanto
timoroso,
che
ha
preferito
dare
maggiore
spazio
al
Primo
ministro
e
riconoscere
maggiori
diritti
civili
alle
donne
piuttosto
che
trovarsi
spodestato
e in
balia
di
vicende
sanguinose
come
quelle
libiche
e
tunisine.
Per
poter
calmare
gli
animi
ribelli
il
Re
ha
fatto
leva
sulle
tematiche
care
ai
marocchini
e su
cui
da
tempo
lo
stesso
paese
sta
lavorando
per
abbattere
la
discriminazione
femminile
e
per
evitare
un
potere
totale
divenuto
ormai
anacronistico.
L’oltre
98%
di
“sì”
ha
confermato
la
vittoria
di
un
Sovrano
che
ha
saputo
abilmente
conquistare
l’appoggio
dei
suoi
sudditi.
Tuttavia
il
“Movimento
del
20
febbraio”
ha
comunicato
che
continuerà
le
proprie
proteste,
considerando
le
riforme
costituzionali
ancora
insufficienti
per
il
paese.
Con
le
nuove
modifiche
il
Re
non
potrà
più
nominare
il
primo
ministro,
ma
dovrà
scegliere
un
rappresentante
del
partito
di
maggioranza.
Non
potrà,
inoltre,
più
nominare
i
titolari
dei
dicasteri
di
Difesa,
Interni,
Esteri
e
Affari
Religiosi,
o
destituire
ministri,
senza
il
consenso
del
Premier.
Il
Re
continuerà
tuttavia
a
presiedere
le
riunioni
del
governo
e
dei
consigli
giudiziario
e di
sicurezza.
Potrà
sciogliere
il
parlamento
e
restare
a
capo
dell'esercito
e
del
consiglio
religioso
degli
ulema.
La
speranza,
adesso,
è
che
l’avanzata
democratica
non
sia
un
escamotage
per
calmare
momentaneamente
gli
spiriti
ribelli.
Ricordiamo
come
la
Tunisia
di
Ben
Ali
sia
stata
l’esempio
lampante
del
sotterfugio,
facendo
di
questo
piccolissimo
paese
del
Maghreb
il
più
grande
per
quanto
concerneva
le
riforme
democratiche.
Ma
che
però
non
ha
saputo
tenere
nascosta
la
sua
vera
natura,
troppo
legata
ai
precetti
coranici
per
fare
il
salto
di
qualità
e
soprattutto
con
un
Ben
Alì
totalmente
diverso
dal
suo
onesto
predecessore
Bourguiba.
Auspichiamo
che
tutto
ciò
non
accada
per
il
Marocco,
lasciando
spazio
al
volto
democratico
del
paese
e
alla
rivalutazione
di
una
donna
sottomessa
e
molto
spesso
fintamente
emancipata.