N. 87 - Marzo 2015
(CXVIII)
LA REDENZIONE DELL’AGRO
SUL CICLO PITTORICO DI DUILIO CAMBELLOTTI
di Sara D’Incertopadre
Il
Palazzo
del
Governo
di
Latina,
opera
di
Oriolo
Frezzotti,
fu
inaugurato
il
18
dicembre
del
1934,
in
occasione
dell’istituzione
della
Provincia
di
Littoria,
come
sede
della
Prefettura
e
dell’Amministrazione
Provinciale.
Il
complesso
si
affaccia
su
Piazza
della
Libertà,
già
Piazza
XXIII
Marzo,
data
in
cui,
nel
1919,
Benito
Mussolini
fondò
a
Milano
i
Fasci
Italiani
di
Combattimento.
Per
realizzare
gli
apparati
decorativi
dell’edificio
vennero
chiamati,
per
le
sculture
e le
iscrizioni
della
facciata,
Fortunato
Longo,
per
il
fregio
plastico
della
balaustra
dell’arengario,
Francesco
Barbieri;
nella
Sala
della
Consulta
Duilio
Cambellotti
eseguì
nel
1934
il
ciclo
pittorico
intitolato
“La
Redenzione
dell’Agro”:
un
trittico
collocato
nella
parte
alta
delle
tre
pareti
della
Sala.
Il
tema
del
trittico
cambellottiano
è
l’opera
di
bonifica
delle
paludi
pontine,
la
grande
impresa
che
mai
riuscì
nei
secoli
precedenti,
cui
l’artista
stesso
assistette.
Il
ciclo
pittorico
è
strettamente
legato
all’
“iconografia
pontina”
del
Cambellotti,
ovvero
a
quel
ricco
corredo
di
immagini
ispirate
all’Agro
depositatosi
nell’immaginario
dell’artista
per
anni
e da
lui
costantemente
rivisitato.
Protagoniste
del
ciclo
sono
le
specie
animali
e
vegetali
che
da
secoli
abitano
il
territorio:
gli
alberi,
gli
animali,
intrecciati
con
le
sorti
dell’Uomo
in
un
equilibrio
ambientale
che,
seppur
nutrito
di
povertà,
fatica
e
malattia,
si
era
fondato
da
sempre
sul
rispetto
reciproco.
Al
centro
della
scena
si
colloca
l’episodio-emblema
dell’intera
opera:
i
militi
grigi
dalla
corporatura
scultorea
esaminano
il
terreno,
mentre
la
luce
irrompe
su
di
loro
dal
fondo.
Gli
artefici
dell’impresa
sono
rappresentati
come
dei
giganti
curvi,
intenti
ad
affondare
le
vanghe
nella
terra;
dietro
di
loro
si
scorge
la
città
nuova
con
i
suoi
edifici
in
costruzione.
Ai
lati
del
trittico
c’è
da
una
parte
il
tempo
passato
con
la
raffigurazione
della
lestra,
la
costruzione
a
capanna
tipica
della
palude,
dall’altra
il
futuro
con
il
buttero
in
fuga,
insieme
alle
mandrie,
verso
i
Monti
Lepini
in
cerca
di
un
luogo
a
loro
adatto.
Particolare
è
l’utilizzo,
nel
Ventesimo
secolo,
di
una
soluzione
come
il
trittico,
completamente
separato
e
indipendente
dalla
parete
che
lo
ospita:
l’artista
in
qualche
modo
fu
obbligato
a
trovare
e
utilizzare
una
soluzione
di
questo
tipo.
L’architetto
Frezzotti
infatti
non
riuscì
a
portare
a
termine
nella
data
prestabilita
i
lavori
di
costruzione
della
Sala
e
Cambellotti
decise
di
eseguire
il
ciclo
nel
suo
studio
su
un
supporto
mobile
che
potesse
essere
poi
facilmente
assemblato
in
loco.
La
scelta,
piuttosto
azzardata,
cadde
su
un
materiale
destinato
all’edilizia
e in
quel
momento
in
fase
di
sperimentazione:
l’eternit,
un
conglomerato
di
cemento
e
amianto
del
tutto
inusuale
come
supporto
per
un’opera
pittorica.
L’artista
acquistò
quindi
le
lastre
di
misura
standard
2,5x30
metri
dalla
ditta
Eternit,
specializzata
nella
produzione
di
materiale
edilizio
da
copertura
e da
coibentazione
di
tubature.
Materiale
riconosciuto
oggi
per
legge
come
assolutamente
pericoloso
e
dannoso,
all’epoca
era
considerato
una
vera
e
propria
rivoluzione
nel
mondo
dell’edilizia,
per
questo
motivo
Cambellotti
scelse
questo
materiale
che
aveva
anche
alcune
peculiari
caratteristiche
fisiche:
resistenza,
inalterabilità,
incombustibilità
e
superfici
lisce
praticamente
pronte
a
ricevere
la
pittura
senza
bisogno
di
essere
precedentemente
stuccate.
La
superficie
complessiva
dell’opera
che
si
sviluppa
per
trenta
metri
lineari
con
un’altezza
di
due
e
mezzo,
fu
divisa
in
venticinque
sezioni
corrispondenti
a
venticinque
lastre
di
eternit
dalle
dimensioni
pressoché
uguali.
Il
bozzetto
fu
eseguito
su
grandi
rotoli
di
carta
da
lucido
della
stessa
misura
delle
sezioni
pittoriche
e,
tramite
lo
spolvero,
l’artista
trasferì
le
linee
principali
della
composizione
sulle
lastre
di
eternit
grazie
all’utilizzo
di
alti
ponteggi.
Quindici
anni
passarono
dalla
data
di
esecuzione
dell’opera,
anni
segnati
dalle
devastazioni
della
guerra,
quando
Littoria,
denominata
Latina
dopo
la
caduta
del
Fascismo
e in
simbolica
rottura
con
la
dittatura,
proseguì
con
sollecitudine
il
recupero
del
ciclo
cambellottiano.
La
quercia
nodosa
al
margine
del
pannello
di
sinistra
davanti
al
“sandalo”
del
lestraiolo,
ospita
la
data
del
restauro
eseguito
da
Cambellotti
nel
1949.
Il
restauro
mostrò
una
variazione
iconografica:
in
prossimità
del
fascio
littorio,
i
militi
indossavano
i
tipici
copricapi
del
regime;
questi
ultimi
furono
cancellati
riportando
alla
luce
i
sottostanti
berretti
da
contadino.
Le
ipotesi
qui
sono
due:
nel
primo
caso
dopo
il
1934
qualcuno
potrebbe
aver
ridipinto
l’opera
all’insaputa
di
Cambellotti
e
quindi
la
rimozione
del
1949
sarebbe
da
considerarsi
legittima
perché
volta
a
recuperare
la
stesura
originale;
nel
secondo
caso
se
l’artista
stesso
avesse
rivisto
e
corretto
l’idea
dei
berretti
da
contadino,
per
recuperarla
nel
dopoguerra,
egli
avrebbe
compiuto
un
restauro
ideologico
in
quanto
gli
uomini
raffigurati
sarebbero
quelli
del
dopoguerra,
non
più
i
militi
di
Mussolini.
Quest’opera
è
tornata
all’attenzione
degli
addetti
ai
lavori,
e
non
solo,
negli
anni
Duemila
per
la
sensibilizzazione
generale
sul
tema
dell’amianto.
L’opera
si
trova,
infatti,
nella
sala
che
oggi
ospita
il
Consiglio
Provinciale
di
Latina
e
sarebbe
interessante,
a
livello
locale,
aprire
un
dibattito
sulla
ricollocazione
in
altro
sito
dell’opera
o
sulla
salvaguardia
del
suo
contesto
storico
originale
mediante
interventi
conservativi.