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N. 75 - Marzo 2014 (CVI)

L’ARTE DELLA GUERRIGLIA
Recensione del saggio di GASTONE BRECCIA sulla guerra irregolare

di Filippo Petrocelli

 

Uscito per il Mulino nell’aprile 2013, L’arte della guerriglia di Gastone Breccia è un lungo viaggio attraverso i secoli, che ha l’ambizione di offrire una panoramica esaustiva del fenomeno della guerra irregolare.

 

Molteplici le definizioni per questa sfida antica quanto l’uomo, in cui alla schiacciante supremazia militare si risponde con l’astuzia dell’ingegno: petite guerre, guerra per bande, guerra partigiana, guerra asimmetrica sono solo alcuni dei nomi per definire l’eterna sfida fra Davide e Golia di ogni epoca.

 

Il libro è diviso in quattro parti – Il fenomeno, Il pensiero, L’azione e Il presente – ma non ha “compartimenti” stagni e le differenti sequenze narrative sono in comunicazione diretta, attraverso una generale osmosi dei contenuti che rendono i “confini” dei diversi capitoli molto liquidi.

 

Il fenomeno racconta le molte tipologie di guerriglia, distinguendo fra resistenza – guerra di liberazione nazionale contro un esercito invasore – e insurrezione – guerra popolare e di massa per sovvertire l’ordine esistente – non senza ragionare sulla natura puramente difensiva della prima, contrapposta a quella offensiva della seconda. Sono molte anche le ambivalenze, le similitudini e spesso “resistenza” e “insurrezione” diventano due fasi di una stessa “battaglia”, difficili da distinguere in maniera netta e precisa.  

 

Breccia prosegue descrivendo la razzia, ovvero la guerriglia di frontiera ma anche la guerriglia dei regolari, l’uso di tattiche irregolari da parte di eserciti convenzionali – soprattutto nel limes fra Oriente ed Occidente, fra impero bizantino e arabi, fra austroungarici e ottomani –  confermando l’idea che la guerriglia, nella sua grammatica fondamentale, somiglia molto più ad una prassi che ad una teoria.

 

Il primo capitolo continua con un excursus storico sulla guerriglia moderna, dalla petite guerre settecentesca all’invasione napoleonica della Spagna, passando per i moti di indipendenza dell’Europa post-Restaurazione e le guerre coloniali di metà Ottocento – le cosiddette small wars – per poi soffermarsi con forza sul “secolo breve”, sulla guerra partigiana e le esperienze di decolonizzazione.

 

Ne Il pensiero sono frequenti i rimandi ai manuali militari di tutte le epoche – alcuni celebri come L’arte della guerra di Sun Tzu, Sulla guerra di Von Clausewitz o La guerra di guerriglia di Che Guevara altri meno conosciuti come lo Strateigon dell’imperatore bizantino Maurizio, I sette pilastri della saggezza di T.H. Lawrence oppure gli scritti di Mao sulla guerra prolungata – e una miriade sono le opere, i taccuini, gli appunti e i pamphlet, proposti attraverso una sintetica ma efficace lettura critica, mirata ad ampliare il più possibile l’orizzonte interpretativo, senza sconfinare nel nozionismo.

 

L’azione è invece l’analisi dei punti di forza e di debolezza del fenomeno guerriglia, l’individuazione dei suoi caratteri peculiari, di una sorta di topos, di un filo conduttore che rende alcuni suoi aspetti inalterati nel tempo.

 

Così le tribù germaniche che resistevano a Roma somigliano ai mujaheddin afgani, Garibaldi a Guevara, i bizantini ai Viet cong, le flying column della rivolta araba agli Ussari di Maria Teresa e i sicari zeloti ai membri del FLN algerino.

 

Caratteristica fondamentale del guerrigliero insiste l’autore deve essere la conoscenza del terreno, tale da favorire rapidità dei movimenti e la sorpresa negli spostamenti, armi fondamentali nelle mani degli eserciti irregolari. Ma non basta: il guerrigliero deve saper sfruttare al meglio il tempo, cercando di trascinare gli eserciti convenzionali in una logorante guerra prolungata, impossibile da sostenere soprattutto su un piano economico. Insomma dovere di ogni guerrigliero è adattarsi al suo nemico, armarsi di pazienza e razionalità, assomigliare più ad una zanzara che ad un leone.

 

La guerriglia sta assumendo un ruolo centrale e decisivo nei conflitti asimmetrici del XXI secolo ed è questo l’argomento principale dell’ultimo capitolo, Il presente.

 

Breccia dedica grande attenzione all’importanza della guerriglia nelle tecniche di contro-insurrezione – tristemente note in Afghanistan e Iraq – e all’ossessione moderna degli eserciti per le zero casualities, ossia le “perdite zero” nelle operazioni di guerra, trasformando questo approccio in uno dei vantaggi più rilevanti per gli insorti del terzo millennio, capaci così di beffare anche il progresso tecnologico. 

 

Non meno interessante è la parte conclusiva del libro che, sotto forma di reportage, parla della resistenza afghana dal 1979-2012, fra saggio storico e racconto di viaggio, non solo descrizione, ma soprattutto narrazione di una delle resistenze più indomabili della storia.



 

 

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