Amitav Ghosh
scrittore, giornalista e antropologo
indiano, è nato a Calcutta nel 1956.
Figlio di un diplomatico, è
cresciuto tra Bangladesh, Sri Lanka,
Iran e India. Ha frequentato la Doon
School di Dehradun e poi il St
Steven’s College di Delhi,
conseguendo il BA in storia e poi
l’MA in antropologia sociale.
Dopo la laurea ha proseguito gli
studi a Oxford. Tornato a Delhi, ha
lavorato come giornalista e
antropologo prima di trasferirsi
negli USA dove ha insegnato
scrittura creativa alla Columbia
University di New York. Nel 2018 ha
ricevuto in India l’importante
Premio Jnanpith. Tra le sue
opere principali ricordiamo The
shadow lines (1988) sul rapporto
tra la sua famiglia e una famiglia
inglese, In an antique land
su Egitto e India dal Medioevo fino
alle guerre contemporanee, The
Calcutta chromosome (1995),
viaggio nell’universo mediatico tra
scienza, filosofia e fantascienza,
Countdown(1999),contro gli
esperimenti nucleari effettuati in
India e in Pakistan nel 1998.
Tra gli ultimi lavori ricordiamo
The Imam and the Indian (2002),
raccolta di saggi, commenti
politici, recensioni; The
hungrytide (2004), romanzo sullo
scontro fra ambiente e civiltà;
Incendiary circumstances (2005);
The sea of poppies (2008),
primo romanzo di una trilogia
dedicata alla nascita dell’India
moderna, cui hanno fatto seguito
River of smoke Flood of fire; i
saggi The great derangement.
Climate change and the unthinkable
(2016) e The nutmeg’s curse:
parables for a planet in crisis
(2021).
Ha scritto vari libri sui danni
arrecati dall’Uomo al pianeta Terra
e su altri importanti temi di
attualità, soffermandosi in
particolare sul colonialismo del
passato e del presente nel nuovo
libro, La maledizione della
noce moscata.
Ed ecco come viene descritto il
testo: «Nell’aprile del 1621 a
Selamon, un villaggio
nell’arcipelago delle Banda, una
spruzzata di minuscole isole perse
tra l’Oceano Indiano e il Pacifico,
un banale incidente – una lampada
schiantatasi al suolo nella
bale-bale, la sala riunioni
requisita per sé e per i suoi da
Martijn Sonck, funzionario olandese
della Compagnia delle Indie
orientali – innescò uno dei crimini
più efferati che la storia del
colonialismo ricordi. Sonck aveva
ricevuto l’ordine di distruggere il
villaggio ed eliminare i suoi
abitanti. Aveva, però, i nervi a
fior di pelle poiché aveva percepito
nell’apparente acquiescenza dei
nativi un rabbioso fermento. Quando
la lampada cadde, il suo nervosismo
si mutò in panico. Lui e i suoi
consiglieri afferrarono le armi e
cominciarono a sparare a casaccio. I
bandanesi, abitanti dell’unico luogo
del pianeta dove cresce l’albero
della noce moscata, una delle spezie
di cui le grandi potenze coloniali
si contendevano il monopolio
commerciale, furono massacrati,
annientati senza pietà. Nelle pagine
di Amitav Ghosh, questa feroce
storia di conquista e sfruttamento –
dell’uomo sull’uomo e dell’uomo
sulla natura – assurge a parabola
della furia devastatrice del
colonialismo occidentale e delle sue
irreversibili conseguenze fino ai
giorni nostri. Come in tante
situazioni analoghe, il genocidio
dei bandanesi cancellò dalla faccia
della terra anche la loro tradizione
di armonioso connubio con la
natura».
«Se oggi il nostro futuro come
specie è in pericolo»
avverte Ghosh «le cause vanno
ricercate a partire dalla scoperta
del Nuovo Mondo e dall’apertura
delle rotte attraverso l’Oceano
Indiano. L’odierna crisi climatica,
demografica e sociale non è,
infatti, estranea all’ordine
geopolitico inaugurato dai
colonizzatori del Primo mondo, alla
visione meccanicistica delle terre
di conquista in cui la natura esiste
solo in quanto risorsa da sfruttare
e non come entità viva, autonoma e
densa di significato;
all’assoggettamento indiscriminato
di “umani selvaggi” e di “non umani”
come alberi, animali, paesaggi.
Nella potente narrazione di Ghosh, i
drammi del nostro presente
globalizzato – migrazioni, siccità,
pandemia, guerre, emergenza
energetica – si ricongiungono così a
episodi soltanto temporalmente
remoti, in realtà cosíaffini nella
loro furia devastatrice che la
maledizione della noce moscata non è
affatto lontana da noi».
Come lo stesso autore ha affermato
in un’intervista, gli abitanti
dell’isole Banda, all’inizio del
1600, grazie alla pianta della noce
moscata godevano di ricchezza e
prosperità, ma poi il colonialismo
causò il loro sterminio. Allo stesso
modo oggi noi stiamo devastando il
nostro meraviglioso pianeta,
adottando un modello economico che
ci porterà tutti alla distruzione.
Citando scrittori e filosofi
provenienti da culture diverse ed
epoche differenti, l’autore spiega
come l’imperialismo coloniale
abbia preceduto il capitalismo che è
solo un suo effetto.
Secondo lui, le odierne
disuguaglianze, in particolare
quelle geopolitiche, sono simili a
quelle già esistenti nel XVII secolo
e momento chiave che segnò
l’inizio di tutto ciò è stato quello
della conquista delle Americhe,
con un uso impressionante della
violenza che portò alla soppressione
di circa 90 milioni di persone.
Anche il riscaldamento globale per
Ghosh è la conseguenza dell’uso
degli stessi modelli del passato. Ad
esempio una caratteristica dominante
del colonialismo si potrebbe
chiamare “violenza per omissione”:
permettere alle malattie di fare
strage o agli interventi
sull’ambiente di provocare disastri.
Parimenti i Conquistadores diffusero
malattie che sterminarono le civiltà
americane. E di carattere politico è
anche il potere sull’energia che
diventò il perno della geopolitica
globale alla fine del XVIII secolo,
quando i combustibili fossili per
gli inglesi divennero essenziali per
le loro strategie imperiali e, a
differenza dell’energia dei mulini,
essi potevano essere portati ovunque
e controllati.
I modelli usati in passato e
indicati nel libro sono
rintracciabili ancor oggi: la guerra
Russia-Ucraina centrata
sull’energia, evidenzia che
l’energia stessa diventa un’arma di
guerra da entrambe le parti. Se le
rinnovabili fossero in uso su larga
scala, il gas russo e quello Usa
conterebbero poco. Mentre in
Occidente si crede che la riduzione
dell’uso del carbonio necessiti di
soluzioni tecniche, i paesi poveri
non accettano l’idea di far qualcosa
in proposito, poiché se i paesi
occidentali sono diventati ricchi
spadroneggiando, ora tocca a loro la
soluzione del problema.
L’Occidente, dunque, dovrà ridurre
le emissioni cambiando stile di vita
e se ciò non accadrà qui, non
accadrà da nessun’altra parte, per
cui la devastazione del pianeta
Terra sarà inevitabile.