[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

182 / FEBBRAIO 2023 (CCXIII)


moderna

lA MALEDIZIONE DELLA NOCE MOSCATA
Colonialismo, tra IERI e OGGI

di Giovanna D'Arbitrio

 

Amitav Ghosh scrittore, giornalista e antropologo indiano, è nato a Calcutta nel 1956. Figlio di un diplomatico, è cresciuto tra Bangladesh, Sri Lanka, Iran e India. Ha frequentato la Doon School di Dehradun e poi il St Steven’s College di Delhi, conseguendo il BA in storia e poi l’MA in antropologia sociale.

 

Dopo la laurea ha proseguito gli studi a Oxford. Tornato a Delhi, ha lavorato come giornalista e antropologo prima di trasferirsi negli USA dove ha insegnato scrittura creativa alla Columbia University di New York. Nel 2018 ha ricevuto in India l’importante Premio Jnanpith. Tra le sue opere principali ricordiamo The shadow lines (1988) sul rapporto tra la sua famiglia e una famiglia inglese, In an antique land su Egitto e India dal Medioevo fino alle guerre contemporanee, The Calcutta chromosome (1995), viaggio nell’universo mediatico tra scienza, filosofia e fantascienza, Countdown(1999),contro gli esperimenti nucleari effettuati in India e in Pakistan nel 1998.

 

Tra gli ultimi lavori ricordiamo The Imam and the Indian (2002), raccolta di saggi, commenti politici, recensioni; The hungrytide (2004), romanzo sullo scontro fra ambiente e civiltà; Incendiary circumstances (2005); The sea of poppies (2008), primo romanzo di una trilogia dedicata alla nascita dell’India moderna, cui hanno fatto seguito River of smoke Flood of fire; i saggi The great derangement. Climate change and the unthinkable (2016) e The nutmeg’s curse: parables for a planet in crisis (2021).

 

Ha scritto vari libri sui danni arrecati dall’Uomo al pianeta Terra e su altri importanti temi di attualità, soffermandosi in particolare sul colonialismo del passato e del presente nel nuovo libro, La maledizione della noce moscata.

 

Ed ecco come viene descritto il testo: «Nell’aprile del 1621 a Selamon, un villaggio nell’arcipelago delle Banda, una spruzzata di minuscole isole perse tra l’Oceano Indiano e il Pacifico, un banale incidente – una lampada schiantatasi al suolo nella bale-bale, la sala riunioni requisita per sé e per i suoi da Martijn Sonck, funzionario olandese della Compagnia delle Indie orientali – innescò uno dei crimini più efferati che la storia del colonialismo ricordi. Sonck aveva ricevuto l’ordine di distruggere il villaggio ed eliminare i suoi abitanti. Aveva, però, i nervi a fior di pelle poiché aveva percepito nell’apparente acquiescenza dei nativi un rabbioso fermento. Quando la lampada cadde, il suo nervosismo si mutò in panico. Lui e i suoi consiglieri afferrarono le armi e cominciarono a sparare a casaccio. I bandanesi, abitanti dell’unico luogo del pianeta dove cresce l’albero della noce moscata, una delle spezie di cui le grandi potenze coloniali si contendevano il monopolio commerciale, furono massacrati, annientati senza pietà. Nelle pagine di Amitav Ghosh, questa feroce storia di conquista e sfruttamento – dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura – assurge a parabola della furia devastatrice del colonialismo occidentale e delle sue irreversibili conseguenze fino ai giorni nostri. Come in tante situazioni analoghe, il genocidio dei bandanesi cancellò dalla faccia della terra anche la loro tradizione di armonioso connubio con la natura».

 

«Se oggi il nostro futuro come specie è in pericolo» avverte Ghosh «le cause vanno ricercate a partire dalla scoperta del Nuovo Mondo e dall’apertura delle rotte attraverso l’Oceano Indiano. L’odierna crisi climatica, demografica e sociale non è, infatti, estranea all’ordine geopolitico inaugurato dai colonizzatori del Primo mondo, alla visione meccanicistica delle terre di conquista in cui la natura esiste solo in quanto risorsa da sfruttare e non come entità viva, autonoma e densa di significato; all’assoggettamento indiscriminato di “umani selvaggi” e di “non umani” come alberi, animali, paesaggi. Nella potente narrazione di Ghosh, i drammi del nostro presente globalizzato – migrazioni, siccità, pandemia, guerre, emergenza energetica – si ricongiungono così a episodi soltanto temporalmente remoti, in realtà cosíaffini nella loro furia devastatrice che la maledizione della noce moscata non è affatto lontana da noi».

 

Come lo stesso autore ha affermato in un’intervista, gli abitanti dell’isole Banda, all’inizio del 1600, grazie alla pianta della noce moscata godevano di ricchezza e prosperità, ma poi il colonialismo causò il loro sterminio. Allo stesso modo oggi noi stiamo devastando il nostro meraviglioso pianeta, adottando un modello economico che ci porterà tutti alla distruzione. Citando scrittori e filosofi provenienti da culture diverse ed epoche differenti, l’autore spiega come l’imperialismo coloniale abbia preceduto il capitalismo che è solo un suo effetto.

 

Secondo lui, le odierne disuguaglianze, in particolare quelle geopolitiche, sono simili a quelle già esistenti nel XVII secolo e momento chiave che segnò l’inizio di tutto ciò è stato quello della conquista delle Americhe, con un uso impressionante della violenza che portò alla soppressione di circa 90 milioni di persone.

 

Anche il riscaldamento globale per Ghosh è la conseguenza dell’uso degli stessi modelli del passato. Ad esempio una caratteristica dominante del colonialismo si potrebbe chiamare “violenza per omissione”: permettere alle malattie di fare strage o agli interventi sull’ambiente di provocare disastri. Parimenti i Conquistadores diffusero malattie che sterminarono le civiltà americane. E di carattere politico è anche il potere sull’energia che diventò il perno della geopolitica globale alla fine del XVIII secolo, quando i combustibili fossili per gli inglesi divennero essenziali per le loro strategie imperiali e, a differenza dell’energia dei mulini, essi potevano essere portati ovunque e controllati.

 

I modelli usati in passato e indicati nel libro sono rintracciabili ancor oggi: la guerra Russia-Ucraina centrata sull’energia, evidenzia che l’energia stessa diventa un’arma di guerra da entrambe le parti. Se le rinnovabili fossero in uso su larga scala, il gas russo e quello Usa conterebbero poco. Mentre in Occidente si crede che la riduzione dell’uso del carbonio necessiti di soluzioni tecniche, i paesi poveri non accettano l’idea di far qualcosa in proposito, poiché se i paesi occidentali sono diventati ricchi spadroneggiando, ora tocca a loro la soluzione del problema.

 

L’Occidente, dunque, dovrà ridurre le emissioni cambiando stile di vita e se ciò non accadrà qui, non accadrà da nessun’altra parte, per cui la devastazione del pianeta Terra sarà inevitabile.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]