attualità
IL LIBERO SCAMBIO SECONDO PECHINO
A PROPOSITO DI
RCEP
di Gian Marco Boellisi
Passato in sordina nei confronti della
maggior parte dell’opinione pubblica, lo
scorso novembre 2020 è stato firmato uno
dei trattati commerciali più importanti
degli ultimi decenni. Si tratta del
Regional Comprehensive Economic
Partnership o RCEP
(Partenariato regionale economico
comprensivo) e raggruppa alcune delle
più grandi ed emergenti economie
asiatiche.
Oltre ad avere una valenza economica
enorme, anche se ancora non
perfettamente quantificabile, ha dei
risvolti geopolitici di entità
mastodontiche. In primis perché è
un trattato sponsorizzato e creato dalla
Cina di Xi Jinping, la quale continua la
sua avanzata imperterrita verso il
primato globale a discapito del podio
attualmente occupato dagli Stati Uniti,
e in secundis perché proprio gli
Stati Uniti non sono inclusi nel
trattato, tagliando fuori di fatto
Washington dalla nuova più grande zona
di libero scambio al mondo. Risulta
quindi interessante analizzare le
dinamiche che hanno portato al trattato,
ma soprattutto capire le implicazioni
che esso avrà sulla comunità
internazionale.
Partiamo dalla struttura del trattato.
Il RCEP è stato firmato da quindici
paesi asiatici e del Pacifico, ovvero i
10 membri dell’Asean (Associazione delle
Nazioni del Sud-Est Asiatico), cioè
Vietnam, Cambogia, Indonesia, Malesia,
Filippine, Singapore, Thailandia,
Brunei, Birmania, Laos, insieme a Cina,
Giappone, Corea del Sud, Australia e
Nuova Zelanda.
I numeri di questo partenariato
commerciale sono spaventosi. Infatti
esso simboleggia da solo il più grande
accordo di libero scambio del mondo,
rappresentando il 30% del PIL mondiale e
il 27,4% del commercio globale. Il
trattato andrà a coprire i fabbisogni di
oltre 2,2 miliardi di consumatori,
ovvero poco meno di un terzo dell’intera
popolazione mondiale. Tutti i paesi
membri del RCEP rappresentano il 50%
della produzione manifatturiera globale,
il 50% di quella automobilistica e ben
il 70% di quella elettronica. Mai si era
visto nella storia più recente un
progetto tanto ambizioso realizzarsi.
L’accordo è stato firmato il 15 novembre
2020 dopo ben 8 anni di negoziati
intensi, portati avanti per lo più da
Pechino con i vari interlocutori. In
merito al testo ufficiale del
partenariato si sa ancora poco, tuttavia
sicuramente esso mirerà a estendere e
ampliare accordi commerciali già in
vigore tra gli stati membri. Inoltre è
molto probabile che verranno anche
previsti piani di sviluppo
onnicomprensivi che interesseranno la
macro regione del trattato.
Da quel poco che è trapelato si ritiene
che una delle prima misure che verranno
implementate sarà l’abbattimento dei
dazi tra i paesi firmatari tra l’85% e
il 90%. Questo ambizioso piano sarà
attivato in parte subito e in parte
entro una decina d’anni. Inoltre
all’interno del partenariato sono
presenti svariati direttive inerenti a
tematiche commerciali molto specifiche,
quali quelle riguardanti gli
investimenti e la loro regolazione, il
commercio dei beni, le nuove tecnologie
e anche gli appalti pubblici.
Nonostante questi ottimi passi avanti, è
importante sottolineare come siano anche
svariati i punti lasciati da parte.
Infatti un grande assente dagli accordi
è il settore agricolo, così come è stato
trattato superficialmente il settore dei
servizi. Inoltre è stato accantonato
anche il tema della creazione di uno
standard comune per i prodotti e le
merci che avranno origine dalla nuova
zona di libero scambio, così come il
tema della tutela del lavoro,
dell’ambiente e dulcis in fundo
della proprietà intellettuale.
Sicuramente ciò è stato fatto in parte
per l’enorme differenzazione delle
economie degli stati appartenenti al
RCEP, motivo per il quale è estremamente
difficile unire paesi tanto diversi su
tematiche tanto importanti per il mondo
d’oggi. Tuttavia è anche probabile che
tali argomenti non siano stati inclusi
nel trattato perché in parte
costituiscono il punto di forza della
produzione manifatturiera del Sud-Est
asiatico e tutelarle e/o regolamentarle
porterebbe a una riduzione dei benefici
piuttosto che a un loro aumento. Al
netto di tutto, le stime iniziali
parlano di un incremento del PIL
mondiale grazie all’accordo di 209
miliardi di dollari nel 2030 e di un
incremento del commercio internazionale
di 500 miliardi entro lo stesso anno.
Il RCEP capita ad hoc, vista la
dilagante pandemia globale attualmente
in corso di Covid-19. Infatti l’accordo,
oltre a essere un trampolino di lancio
per le economie della regione, vuole
anche essere un’opportunità per
risollevare tutte le economie colpite
duramente dalla pandemia. A seguito
degli accordi previsti dal trattato,
entro il 2030 la Cina sarà lo stato che
avrà ricevuto un maggior credito dal
partenariato, ovvero circa 100 miliardi
di dollari, seguita dal Giappone con 46
miliardi e dalla Corea del Sud con 23
miliardi.
Oltre ai dati meramente macroeconomici,
il RCEP risulta essere anche un grande
traguardo dal punto di vista
geopolitico. Infatti oltre al successo
dell’aver unito economie tanto diverse
tra loro, Pechino ha anche avuto
l’insolito successo di unire sotto un
obiettivo comune nazioni che normalmente
sono avversarie, per non dire nemiche.
Si parla ovviamente di Cina, Giappone,
Corea del Sud e Australia.
Essendo questo un accordo che coinvolge
gli stati del Sud-Est asiatico, e in più
generale del Pacifico, salta subito
all’occhio un assente importante, ovvero
gli Stati Uniti d’America. Non
includendo Washington, o non volendo
essere Washington inclusa in un accordo
capeggiato da Pechino (l’interpretazione
qui è sicuramente ambivalente), la Cina
ha praticamente escluso il grande rivale
americano dal più grande accordo
commerciale del pianeta e quindi anche
dai mercati asiatici, che per inciso
hanno il più grande tasso di crescita al
mondo.
Essendo Pechino l’economia più
importante all’interno del RCEP, essa
avrà probabilmente il maggior peso nelle
decisioni del partenariato e anche il
maggior spazio di manovra. Inoltre potrà
sfruttare la situazione per un proprio
tornaconto politico. Se da un lato potrà
sia migliorare le relazioni con i propri
alleati sia mediare con le nazioni con
le quali sono in atto dispute
territoriali nel Mar Cinese Meridionale,
dall’altro potrà avvicinarsi ai rivali
storici della regione quali Giappone e
Corea del Sud erodendo lentamente, ma in
maniera costante, quell’influenza
statunitense presente ormai nei due
paesi dal secondo dopoguerra in poi.
Sono di particolare interesse le
adesioni di Giappone e Australia, le
quali sono state forzate sicuramente in
prima istanza dalla situazione delle
rispettive economie nazionali, ormai
sempre più colpite dalla pandemia.
Tuttavia la ragione profonda risiede
probabilmente nel vuoto lasciato dalla
politica degli Stati Uniti a livello
regionale. Non è un segreto infatti che
l’amministrazione Trump abbia allentato
i rapporti con molti storici alleati
statunitensi. Questo tipo di dinamiche
ha favorito un ripensamento generale
delle relazioni con la Casa Bianca, ma
per quanto riguarda l’Asia ha portato
molto spesso a un avvicinamento
sostanziale con la Cina.
A livello regionale con il RCEP viene
sicuramente confermata l’importanza
dell’Asean, organizzazione
sovrastatale sempre più presente nelle
dinamiche asiatiche. L’assente per
eccellenza negli accordi è l’India, la
quale ha temuto la concorrenza spietata
all’interno del gruppo e ha preferito
momentaneamente accantonare la proposta
d’ingresso. I timori di Nuova Delhi
infatti riguardano prevalentemente i
propri prodotti agricoli e prodotti
caseari, nonché quelli manifatturieri, i
quali verrebbero esposti all’interno del
RCEP a una concorrenza spietata che
difficilmente potrebbe essere sostenuta
dall’India. Nonostante queste
considerazioni, la porta non è
completamente chiusa per Nuova Delhi ed
essa potrà avvalersi di una clausola per
entrare più avanti allì’interno della
zona di libero scambio.
Per Pechino la firma di questo accordo
rappresenta una vittoria praticamente su
tutti i fronti. Infatti esso le
permetterà di aumentare la propria
influenza e di sviluppare sempre più
infrastrutture legate alla BRI, la
Bealt and Roaad Initiative,
conosciuta anche come Nuova Via della
Seta. A dimostrazione di ciò, in molti
dei paesi facenti parte dell’accordo
sono già in via di sviluppo numerose
opere legate alla BRI e ovviamente
l’obiettivo è quello di aumentare
considerevolmente l’entità di questi
investimenti, soprattutto dopo la
parziale interruzione dei lavori in
molte nazioni dovuta alla pandemia.
Il successo della conclusione del RCEP
viaggia su binari paralleli rispetto
alla situazione economica attuale
cinese. Infatti, mentre tutto il mondo è
ormai certo registrare segni negativi
per il PIL 2020, la Cina sarà l’unica
economia al globo a segnare un PIL
positivo. L’accordo quindi
simbolicamente rappresenta anche una
sorta di traino economico dell’intera
regione di cui la Cina vuole tenere le
redini.
Altro obiettivo ambizioso di Pechino è
sicuramente ridurre al più possibile la
propria dipendenza dai mercati esteri,
specialmente quelli occidentali, così da
poter essere autosufficiente con i
propri partner asiatici. Ciò
rientrerebbe a pieno anche nella
prospettiva dell’ultimo piano economico
quinquennale. Con il RCEP la Cina punta
inoltre a una diffusione sempre maggiore
dei propri standard di qualità, sia
commerciali che tecnologici, in maniera
da poter essere il metro di riferimento
delle dinamiche economiche della regione
e un giorno magari anche del globo
intero, o quanto meno a una buona parte
di esso.
Di particolare interesse risulta essere
l’assenza statunitense all’interno del
trattato, frutto sia di una scelta
precisa di Pechino sia dalla politica
dettata dall’ultima amministrazione
americana. La prima conclusione che si
può trarre da questo avvenimento è la
perdita di peso che hanno avuto gli
Stati Uniti da alcuni anni a questa
parte, fenomeno particolarmente
accentuato durante il mandato Trump. La
rinnovata politica protezionistica
dell’“America First” portata avanti dal
Tycoon ha allontanato l’America sia
commercialmente che diplomaticamente in
svariati contesti, portandola così a una
tangibile diminuzione di influenza in
alcuni scenari.
Ironia della sorte, o della storia per
meglio dire, ha voluto che il RCEP sia
stato concepito originalmente come
alternativa a un altro trattato di
libero scambio, questa volta di matrice
americana, chiamato Trans Pacific
Partnership (Tpp). Questi è stato
maggiore oggetto dei media negli anni
passati e costituiva un ambizioso
progetto da parte dell’amministrazione
Obama di creare una zona di libero
scambio tra i paesi del Pacifico così da
favorirne lo sviluppo e il commercio.
Obiettivo non troppo velato dell’accordo
era di isolare commercialmente la Cina,
motivo per il quale non era stata
inclusa nelle trattative preliminari.
Tuttavia nel 2016, non appena Trump fu
eletto alla Casa Bianca, il neo
presidente procedette senza troppe
remore a strappare il trattato e a porre
l’attenzione dei propri lavori su altre
questioni. Per quanto le proteste in
merito furono molte, in particolare sul
fatto che un trattato del genere avrebbe
solo potuto giovare agli interessi
americani e in particolare nel contenere
la Cina (tematica sempre cara a Trump
sin dalla campagna elettorale), la
decisione fu definitiva, soprattutto in
virtù della volontà del presidente di
allontanarsi dal multilateralismo che
aveva caratterizzato le politiche
americane negli ultimi decenni.
Gli Stati Uniti, oltre ad essere stati
esclusi dal nuovo trattato, hanno visto
anche alcuni dei propri storici alleati
nella regione avvallare e sottoscrivere
la proposta di Pechino senza troppe
remore. È curioso vedere come anche
Washington e la sua rete delle alleanze
venga colpita egualmente dal vecchio
quanto immutabile principio del “pecunia
non olet”. Dopo questa mossa la Casa
Bianca sa di doversi muovere con i piedi
di piombo nel Sud Est asiatico e,
sebbene conservi ancora gran parte della
propria influenza, sa perfettamente che
nulla deve essere dare per scontato,
specialmente se il proprio avversario è
la Cina.
Il ministro del Commercio della Malesia
Mohamed Azmin Ali ha affermato
all’annuncio dell’accordo: «I nostri
Paesi hanno scelto di aprire i
rispettivi mercati invece di ristabilire
misure protezioniste in questi tempi
difficili». Queste parole risultano di
grande importanza, specie se lette alla
luce dei rapporti tra Cina e Stati Uniti
negli ultimi anni e di ciò che stanno
vivendo singolarmente le singole
nazioni.
Infatti da un lato abbiamo Washington
che sta percorrendo una fase storica e
politica molto particolare. La potenza
americana sta lottando da anni ormai
contro il logoramento da impero noto
anche come overstretching, ovvero
quel fenomeno per il quale l’egemone non
ha abbastanza risorse per mantenere la
politica di potenza che lo ha portato
negli anni ad essere al vertice del
sistema internazionale e quindi tende a
ritirarsi dai vari scenari in cui
coinvolto, mettendo così a rischio la
propria influenza verso i partner
esteri.
Dall’altro lato invece Pechino è
esattamente nella fase opposta. La Cina
sta vivendo una fase di espansione molto
rapida e aggressiva che la sta portando
a erodere l’influenza globale
statunitense creatasi all’indomani del
secondo conflitto mondiale. Per arrivare
a quest’obiettivo essa si avvale dei più
disparati mezzi, tra i quali il
multilateralismo e la condivisione con i
partner esteri nelle proprie dinamiche
di sviluppo economico. Proprio questa
via era stata una delle chiavi del
successo americano agli inizi mentre
ora, almeno con l’ultima
amministrazione, tutto ciò sembra non
essere più una priorità nelle politiche
americane.
È interessante notare come l’annuncio
della firma dell’accordo sia stato fatto
in concomitanza con un momento di
estrema debolezza politica americana,
ovvero poco dopo le elezioni dello
scorso 3 novembre 2020 che alla fine
hanno decretato come vincitore Joe Biden.
Vista l’idea di politica profondamente
diversa di Biden dal suo predecessore
Trump, sarà estremamente interessante
vedere dove si posizionerà la nuova
amministrazione democratica per quanto
riguarda il RCEP. Tuttavia è già
indicativo un intervento del presidente
eletto, il quale, alla notizia della
firma del trattato, ha affermato che
“saranno gli Stati Uniti e i loro
alleati a dover scrivere le regole del
libero commercio, non la Cina”,
annunciando un piano riguardante il
commercio internazionale che verrà
presentato appena concluso
l’insediamento.
In conclusione, quello appena firmato
dalla Cina e dagli altri stati della
regione è uno dei più importanti
trattati internazionali degli ultimi
anni. Per quanto sia difficile
quantificarne gli effetti, il RCEP
risulta avere almeno teoricamente tutte
le carte in regola per sviluppare
l’economia di tutta l’area Asia-Pacifico
per alcuni decenni.
Il successo ovviamente è largamente
imputabile alla Cina, la quale è
riuscita dopo innumerevoli anni di
sforzi diplomatici a riunire sotto la
causa di uno sviluppo economico comune
paesi estremamente diversi dal punto di
vista commerciale e portatori di culture
e valori altrettanto particolari. Il
successo può essere visto anche come
doppio se si considera che alcuni dei
paesi firmatari sono dei rivali
strategici cinesi di lungo corso, a
testimonianza di come il soft power
cinese sia oggi molto forte anche verso
quelle nazioni che rientrano ormai nel
concetto allargato di Occidente.
Questo è un risultato molto importante
per Pechino, specialmente perché ha
dimostrato alla comunità internazionale
quanto la Cina sia una promotrice del
multilateralismo e quanto possa divenire
in futuro, almeno teoricamente,
un’alternativa in tutto e per tutto agli
Stati Uniti.
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