attualità
SULLA LIBERTÀ D'ESPRESSIONE DIGITALE
IN TURCHIA
CASO KAVALA e SOCIETÀ CIVILE
di Leila Tavi
Nel
tentativo di far finalmente rilasciare
l’attivista, uomo d’affari e filantropo
Osman Kavala, detenuto ormai da oltre
quattro anni senza giusto processo in un
carcere di massima sicurezza a Silivri,
Istanbul, qualche giorno fa la
maggioranza del Comitato dei ministri
del Consiglio d'Europa ha deciso di
avviare la procedura formale di
infrazione contro la Turchia per il
mancato rilascio del difensore dei
diritti umani Osman Kavala, Nils
Muižnieks, direttore Europa di Amnesty
International, ha dichiarato: "Il
messaggio del Comitato dei ministri alla
Turchia è chiarissimo: il fatto che la
Turchia non garantisca l'immediato
rilascio di Osman Kavala e ponga fine
alla sua persecuzione per motivi
politici è una violazione inaccettabile
degli obblighi del paese in materia di
diritti umani. Dopo più di quattro anni
dietro alle sbarre con accuse di tipo
politico, gli deve essere permesso di
tornare finalmente a casa dalla sua
famiglia".
Il Comitato dei ministri ha notificato
ieri alla Turchia la sua intenzione di
deferire l'inadempienza della Turchia
alla Corte nella sua riunione del 2
febbraio 2022, chiedendo alla Turchia di
presentare la sua risposta entro il 19
gennaio. Già due anni fa la Corte
europea dei diritti dell'uomo aveva
stabilito che il diritto alla libertà di
Osman Kavala era stato violato al solo
scopo di impedirgli di esercitare il suo
diritto di libera opinione e ne aveva
chiesto il suo rilascio immediato.
Invece di applicare la sentenza della
CEDU, i procuratori hanno cercato in
tutti i modi di addossargli dei crimini,
presentando accuse da processo farsa,
senza alcuna prova concreta.
La prossima udienza del processo a Osman
Kavala si terrà il 17 gennaio 2022. Si
tratta dell’ultimo dei processi con
gravi accuse penali a suo carico e che
lo vede coinvolto insieme ad altre
cinquantuno persone, tra cui semplici
tifosi di calcio, riguarda il "tentativo
di rovesciare l'ordine costituzionale",
il "tentativo di rovesciare il governo"
e di "spionaggio militare e politico".
Il 2 dicembre 2021 il Comitato dei
Ministri ha adottato una risoluzione
provvisoria in cui si constata che, non
garantendo "l'immediato rilascio di
Osman Kavala, la Turchia si rifiuta di
rispettare la sentenza definitiva della
Corte nel presente caso". Il Comitato ha
deciso di notificare formalmente alla
Turchia la sua intenzione, nella sua
riunione del 2 febbraio 2022, di
deferire alla Corte la questione se la
Turchia è venuta meno all'obbligo che le
incombe in virtù dell'articolo 46,
paragrafo 1, della Convenzione europea
dei diritti dell'uomo. Alla Turchia è
stato chiesto di presentare osservazioni
entro il 19 gennaio 2022.
Una procedura d'infrazione per mancata
esecuzione delle sentenze della Corte
europea dei diritti dell'uomo è stata
avviata solo una volta, contro
l'Azerbaigian. Questo processo inizia
con la notifica formale al Paese a
seguito di un voto a maggioranza dei 2/3
del Comitato dei ministri del Consiglio
d'Europa. La Turchia ha ricevuto la
notifica formale a inizio dicembre 2021.
Il caso di Osman Kavala conferma come la
costituzione e le leggi della Turchia
non riescano a proteggere la libertà di
parola e di stampa né su carta né
online, nonostante sia prevista un’ampia
tutela della libertà di espressione
nella Costituzione.
L'articolo 26 della Costituzione turca
afferma che "ognuno ha il diritto di
esprimere e diffondere i propri pensieri
e le proprie opinioni con la parola, per
iscritto, tramite immagini, o attraverso
altri mezzi di comunicazione,
individualmente o collettivamente".
La legislazione turca e le sentenze dei
tribunali sono, inoltre, soggette alla
Convenzione europea dei diritti umani e
vincolate dalle decisioni della Corte
europea dei diritti umani, che
proteggono la libertà di parola.
Nonostante queste garanzie, i
giornalisti online e gli utenti comuni
devono spesso affrontare sanzioni civili
e penali soltanto per aver professato il
diritto di libera espressione. La
Costituzione garantisce anche il diritto
alla privacy, sebbene ci siano
limitazioni legali all'uso di
dispositivi di crittografia e il diffuso
utilizzo da parte delle agenzie di
sicurezza nazionale di sistemi di
monitoraggio dell'attività online da
parte delle agenzie di sicurezza sia
diffusa.
Lo stato di emergenza promulgato sulla
scia del tentativo di colpo di stato del
2016, rimasto in vigore fino a luglio
2018, ha permesso al presidente Erdoğan
di emettere decreti senza controllo
giudiziario, compresi alcuni che hanno
minacciato la libertà di espressione
online, altri che sono stati utilizzati
per bloccare siti web, chiudere le reti
di comunicazione e chiudere
organizzazioni della società civile e
siti per l’informazione indipendente. Il
decreto n. 671, pubblicato nel 2016, ha
modificato la legge sulle comunicazioni
digitali per autorizzare il governo a
prendere "qualsiasi misura necessaria"
per motivi di "sicurezza nazionale,
ordine pubblico, prevenzione del
crimine, protezione della salute
pubblica e della morale pubblica, o
protezione dei diritti e delle libertà"
garantiti dall'articolo 22 della
Costituzione. Il decreto obbliga anche i
gestori di telecomunicazioni a far
rispettare gli ordini del governo entro
due ore dalla loro ricezione. Nonostante
lo stato di emergenza non sia più in
vigore, il decreto non ha cessato di
essere vigente.
Le leggi turche sono applicate da una
magistratura la cui indipendenza è stata
compromessa, in particolare dopo il
tentativo di colpo di stato del 2016.
Ormai i giudici si pronunciano sempre
più raramente contro il governo, mentre
migliaia di nuovi giudici lealisti che
sono stati nominati negli ultimi anni
sono in linea con gli interessi del
governo e hanno sostituito quelli
sospettati di sostenere il tentativo di
colpo di Stato, che sono stati epurati.
Il processo Occupy Gezi, che è durato
tre anni, ha determinato il destino di
nove persone, tra cui l'imprenditore
filantropo Osman Kavala, coinvolto nelle
proteste di Gezi Park del 2013, che
richiedevano a gran voce la tutela dei
diritti e delle libertà civili.
Considerato come un processo politico,
quello del Gezi Park si è concluso nel
febbraio 2020 e tutti e nove i
sospettati sono stati assolti, con un un
verdetto a sorpresa, considerata la
sottomissione della magistratura al
governo. I giudici che presiedevano la
corte sono in seguito stati oggetto di
un'indagine ufficiale per aver "permesso
una manovra giudiziaria per assolvere
Osman Kavala dal carcere". Kavala era
stato arrestato più volte con varie
accuse per le quali era stato
scagionato. Il filantropo e imprenditore
turco è stato in prigione in custodia
cautelare, nonostante la Corte europea
dei diritti dell'uomo abbia stabilito
che dovesse essere rilasciato.
Attualmente è accusato di
favoreggiamento delle attività
terroristiche.
Non ci sono leggi specifiche che
criminalizzano le attività online come
rendere pubbliche le proprie opinioni,
informarsi sui siti, inviare e-mail o
messaggi di testo. Invece, molte
disposizioni del codice penale e altre
leggi che disciplinano la prevenzione
del terrorismo sono applicate sia alle
attività online che offline.
Secondo l'articolo 7 della legge
antiterrorismo, "coloro che fanno
propaganda per un'organizzazione
terroristica legittimando, glorificando
o incitando metodi violenti o minacce"
possono incorrere in pene detentive da
uno a cinque anni. La legge è stata
ampiamente criticata per la sua generica
definizione di terrorismo, che è stata
sfruttata dai tribunali per perseguire
giornalisti e accademici che criticano
il governo, senza chiari legami con le
attività terroristiche, come nel caso di
Kavala.
Osman Kavala è un esempio di come
l'attivismo digitale abbia giocato un
ruolo significativo nel paese fin dalle
proteste di Occupy Gezi del 2013.
Purtroppo la repressione, i processi
politici e lo Stato di polizia hanno
causato una diminuzione dell’utilizzo
dei canali social e del web per
esprimere il dissenso politico. Il clima
repressivo instillato dopo il tentativo
di colpo di stato del 2016 ha avuto come
conseguenza una crescente propensione
delle persone ad autocensurarsi.
Gli utenti di internet usano i social
media per tutelare la giustizia e
portare l'attenzione dell’opinione
pubblica su casi di persecuzioni
politiche che i media tradizionali
ignorano. All'inizio del 2021, studenti,
docenti e associazioni di alumni -
comprese alcune organizzazioni
internazionali - hanno organizzato
proteste online e offline, dopo che un
amministratore nominato dal governo è
diventato rettore dell'istituto di
istruzione più prestigioso della
Turchia, l'Università Boğaziçi. A
seguito delle violente repressioni
contro i manifestanti pacifici, molti
studenti sono stati arrestati per aver
sostenuto le proteste sui social media.
I manifestanti hanno fatto largo uso
dell'app Clubhouse per discutere la
politica del governo di nominare i
rettori invece di permettere le libere
elezioni nei campus. Migliaia di
studenti hanno condiviso le loro
opinioni, criticando il governo, e
alcuni studenti sono stati arrestati a
causa delle loro dichiarazioni.
Clubhouse richiede la registrazione del
nome reale, pertanto le autorità sono
state in grado di accedere agli account
dei social media e alle informazioni
private dei dissidenti per poterli
arrestare. Ovviamente i media
filogovernativi hanno affermato che gli
studenti erano provocatori che
chiamavano alle rivolte violente.
Nel 2020 molte donne turche hanno dato
vita alla campagna online #ChallengeAccepted,
diventata virale a livello globale, per
portare l'attenzione sul femminicidio e
sulla violenza di genere in Turchia.
Nel dicembre 2020 è stata approvata una
legge intitolata "Prevenzione della
proliferazione del finanziamento delle
armi di distruzione di massa",
apparentemente per prevenire il
finanziamento delle reti terroristiche
internazionali. De facto, la legge
include clausole che limitano il diritto
dei cittadini a riunirsi sia offline che
online e autorizza il governo a nominare
fiduciari per le ONG che si occupino di
diritti civili. Oltre 600 ONG hanno
firmato una petizione online e avviato
una vasta campagna sui social media
contro la legge. Subito dopo
l'approvazione della legge, le ONG per i
diritti civili hanno ricevuto ripetuti
avvisi per controlli e ispezioni.
Inoltre, nel luglio 2020, il parlamento,
senza consultare la Commissione per le
piattaforme digitali, ha approvato una
legge sui social media che impone alle
società di social media di conservare i
dati degli utenti in Turchia, sollevando
gravi preoccupazioni per la privacy
degli utenti. La legge permette a
società private di osservare e
conservare i dati personali e sensibili
degli utenti. Una volta che le società
hanno uffici nel Paese, sarebbero
obbligate a "conservare i dati degli
utenti in Turchia e ad applicare tutte
le misure di rimozione dei contenuti, di
blocco degli accessi e di altro tipo"
immediatamente dopo aver ricevuto
l’ordine dell’autorità competente.
Diverse fughe di dati hanno minacciato
la privacy degli utenti negli ultimi tre
anni. Nell'aprile 2021 la Commissione
privata per la protezione dei dati ha
indagato su Facebook a seguito di una
massiccia fuga di dati che riguardano
migliaia di cittadini turchi.
Secondo il rapporto Freedom on the Net
2021 di Freedom House, restrizioni da
parte del governo turco alla libera
navigazione in internet sono evidenti
nell’ultimo triennio in Turchia. La
legge turca sulla regolamentazione delle
pubblicazioni in internet e sulla
repressione dei crimini commessi per
mezzo di tali pubblicazioni ha avuto un
impatto significativo sulla società
civile in Turchia dal 2007. A ogni
revisione della legge, ulteriori
restrizioni sono state introdotte. Con
la recente revisione del 29 luglio 2020
le autorità possono richiedere la
rimozione di contenuti dalle piattaforme
di pubblicazione invece di bloccare
semplicemente l'accesso al contenuto. La
nuova legislazione ha ripercussioni
significative sui diritti e sulle
libertà digitali, sul commercio
elettronico, sull'economia e sui giovani
imprenditori. Tale legge è senza ombra
di dubbio in contrasto con l'articolo 10
della Convenzione europea dei diritti
umani, che garantisce la libertà di
avere opinioni e di esprimerle
liberamente senza intervento del
governo, come sottolineato dal recente
rapporto Impact of Social Media Law on
Media Freedom in Turkey.
Infatti, dalla sua piena applicazione il
1° ottobre 2020, la nuova legge ha avuto
un grande impatto sulla sostenibilità
dei contenuti digitali, in particolare
sui siti di informazione indipendente,
con un totale di 658 ordini di
rimozione.
La nuova legge sui social media,
inoltre, ha permesso di oscurare
centinaia di profili. In particolar modo
sono stati oggetto di censura i
contenuti online ritenuti critici nei
confronti del Partito della giustizia e
dello sviluppo (AKP) al potere o del
presidente Recep Tayyip Erdoğan. Sempre
più gravi sono le minacce nei confronti
di attivisti, giornalisti e semplici
utenti dei social media: le autorità
hanno arrestato utenti di Clubhouse come
reazione alla protesta organizzata dagli
studenti all'Università di Boğaziçi,
hanno preso di mira gli attivisti LGBT+
online e hanno arrestato un importante
membro del principale partito di
opposizione con l’accusa di aver
insultato il presidente.
Non è soltanto la censura a preoccupare
la società civile in Turchia, ma
l’autocensura, che gli stessi utenti di
internet hanno iniziato a fare
intimoriti dalle minacce del governo.
L'AKP del presidente Erdoğan è al
governo in Turchia dal 2002 e soltanto
nel periodo iniziale ha varato riforme
per incentivare l’economia liberale, nel
corso degli anni il governo ha mostrato
un crescente disprezzo per i diritti
politici e le libertà civili, fino ad
arrivare a uno Stato di terrore dopo il
tentativo di golpe del luglio 2016.
Eppure, sulla scorta di questo
inasprimento delle misure punitive nei
confronti dei dissidenti, nonostante la
riforma costituzionale del 2017 abbia
concentrato sempre più potere nelle mani
del presidente Erdoğan, va rilevato il
successo ottenuto dall'opposizione nelle
elezioni comunali del 2019 e l'impatto
della pandemia COVID-19, che è stato
devastante sulla già traballante
economia, per questo la repressione del
governo si è fatta ancora più dura.
Secondo l'Istituto nazionale di
statistica turco la percentuale di
residenti che è dotato di una
connessione internet si è attestata al
79% nel 2020, rispetto al 65% per cento
del 2017. A seguito di un’indagine
condotta dal suddetto istituto sull'uso
delle tecnologie dell'informazione da
parte delle famiglie, è emerso che la
percentuale di nuclei familiari con
accesso a internet è aumentata fino al
90,7% nel 2020. Il Ministero dei
Trasporti e delle Infrastrutture ha
annunciato in tempi recenti di voler
assicurare una connessione internet da
100 megabyte (MB) a ogni famiglia entro
il 2023, ma il mercato per la fornitura
della banda larga è gestito in regime di
oligopolio in Turchia, con costi troppo
elevati a confronto dei salari bassi e
dell’inflazione.
Nel gennaio 2021 la tassa speciale
provvisoria sulle comunicazioni
elettroniche, compresi i dispositivi, è
aumentata dal 7,5% al 10%. Come in tutto
il resto del mondo, in Turchia la
maggior parte delle persone si connette
a internet più tramite telefoni
cellulari che tramite banda larga fissa,
quindi questo aumento della tassa ha
avuto un impatto negativo su una vasta
fascia di utenti internet. Inoltre chi
acquista telefoni cellulari all'estero
per l’utilizzo in Turchia, deve pagare
2.006 lire turche (256 dollari) e ha
l’obbligo di registrare il dispositivo
acquistato all'estero.
Durante la pandemia di COVID-19 le
scuole e le università in tutta la
Turchia sono state chiuse per un lungo
periodo, pertanto massiccio è stato
l’utilizzo della DAD. Tuttavia, molti
studenti non disponevano a casa di
connessione internet veloce, non potendo
partecipare così alle lezioni online,
tanto che il Consiglio per l'istruzione
superiore ha cercato di persuadere gli
studenti universitari che non dispongono
di un computer con una connessione
internet veloce di non laurearsi fino a
che le lezioni in presenza non saranno
tornate a essere la normalità.
Nell'agosto 2020 la Direzione generale
per l'innovazione e le tecnologie
dell'istruzione ha acquistato 50.000
account Zoom per consentire le lezioni
online alle scuole pubbliche. Tuttavia,
secondo un rapporto dell'Organizzazione
per la Cooperazione Economica (OCSE),
l'infrastruttura delle telecomunicazioni
della Turchia non è riuscita a
implementare con successo
l'apprendimento online durante la
pandemia, considerato che sono stati
messi a disposizione degli insegnanti
soltanto sei gigabyte di connessione
internet, che sono stati insufficienti
per garantire tutte le lezioni online, e
circa un milione e mezzo di alunni non
aveva la connessione internet.
Nel febbraio 2020, in occasione di un
attacco aereo da parte della Turchia nel
nord della Siria, gli utenti dei social
media hanno riscontrato problemi di
connettività che sono durati per oltre
sedici ore, durante cui il governo ha
bloccato a intermittenza le piattaforme
dei social media e le applicazioni di
messaggistica. Su richiesta del governo
turco, gli operatori delle
telecomunicazioni hanno impedito
l'accesso a Twitter, Facebook e
Instagram, mentre hanno parzialmente
bloccato l'accesso a WhatsApp e YouTube.
Né il governo né le aziende interessate
hanno rilasciato dichiarazioni riguardo
ai blocchi. Simili restrizioni sono
state sperimentate anche negli anni
precedenti, durante le operazioni
militari della Turchia nel nord della
Siria.
In Turchia l’oscuramento dei social
network non avviene soltanto per ragioni
di sicurezza militare; in passato si
sono verificate interruzioni di rete
anche nella regione sud-orientale, dove
l'etnia curda sepratista rappresenta la
maggioranza della popolazione e le forze
di sicurezza e i militari turchi
combattono contro il Partito dei
Lavoratori del Kurdistan (PKK).
Inoltre, particolarmente pesante è la
censura nei confronti del giornalismo
partecipato, in continuo aumento. Il
report di Freedom House cita la Free
Expression Association, un'iniziativa
della società civile che pubblica
frequenti aggiornamenti sui siti web
bloccati in Turchia, sottolineando come
più di 408.494 siti web erano
inaccessibili a luglio 2020, rispetto ai
circa 40.000 del 2013. Tra i nuovi siti
web bloccati ci sono quelli che
pubblicano contenuti sulle operazioni
militari della Turchia, notizie curde e
critiche al governo. Alcuni nuovi siti
web bloccati sono accusati di fare
"propaganda terroristica", ma che in
realtà fanno una copertura di storie
largamente omesse dai media tradizionali
filogovernativi. Una delle cause che
determina il blocco di un sito web è la
diffusione di contenuti "osceni", per
cui siti con parole chiave relative al
sesso o alla sessualità nel nome di
dominio, oppure siti considerati
offensivi nei confronti della religione
islamica o che promuovono l'ateismo.
Negli ultimi anni la normativa sulla
libertà di espressione in rete si è
ancora più inasprita. Nell'agosto 2019 è
stata approvata una legge che richiede
alle società di streaming online di
registrarsi presso il Consiglio supremo
della radio e della televisione (RTÜK),
aprire un ufficio locale e rispettare le
richieste del governo per i dati degli
utenti. Le regole che stabiliscono i
filtri per contenuti non adatti ai
minori sono arbitrarie e
discriminatorie. La stessa Wikipedia è
stata oscurata per un biennio, fino a
quando, nel gennaio 2020, un tribunale
ha dichiarato il blocco
incostituzionale, causato dal rifiuto di
Wikipedia di rimuovere nel 2017 due
articoli che affermavano che il governo
turco forniva armi a gruppi di milizie
irregolari.
La legge sui regolamenti dei social
media del luglio 2020 obbliga le società
di social media con oltre un milione di
utenti giornalieri ad aprire uffici in
Turchia con un rappresentante locale. A
dicembre 2020, Facebook, Instagram,
YouTube, Periscope e Twitter sono stati
tutti multati con 10 milioni di lire
turche (1,2 milioni di dollari) dopo
aver omesso di nominare un
rappresentante. YouTube, Facebook e
Twitter hanno aperto uffici locali
rispettivamente a dicembre 2020, gennaio
e marzo 2021, anche se le società hanno
affermato che non avrebbero modificato
le loro politiche di moderazione dei
contenuti, trasparenza e pubblicazione.
A gennaio 2021, anche TikTok ha nominato
un rappresentante locale, appena un
giorno prima che venisse emesso un
divieto di pubblicità per inadempienza.
Twitter e Pinterest hanno entrambi
ricevuto il divieto di pubblicità il 19
gennaio 2021, anche se il divieto di
Twitter è stato revocato dopo l'apertura
del loro ufficio locale alla fine di
marzo 2021.
La legge richiede anche che le aziende
rispettino gli ordini di rimozione dei
contenuti da parte del governo o degli
individui entro 48 ore; il mancato
rispetto potrebbe comportare multe fino
a 700.000 dollari. La grande maggioranza
degli ordini di blocco sono emessi dal
BTK (Bilgi Teknolojileri ve İletişim
Kurumu), dall’Autorità per
l’informazione e per le
telecomunicazioni, piuttosto che dai
tribunali, con procedure affatto
trasparenti, rendendo impossibile fare
ricorso. I giudici possono emettere
ordini di blocco sia durante le indagini
preliminari che durante i processi. Le
motivazioni alla base delle decisioni
dei tribunali non sono fornite negli
avvisi di blocco e le relative sentenze
non sono facilmente accessibili. Di
conseguenza, i proprietari dei siti
hanno difficoltà a determinare perché il
loro sito è stato bloccato e quale
tribunale ha emesso l'ordine. Il mandato
della BTK include l'esecuzione di ordini
di blocco giudiziari, ma può anche
emettere ordini amministrativi per siti
web stranieri, contenuti che coinvolgono
abusi sessuali sui bambini e oscenità.
Inoltre, in alcuni casi, chiede con
successo ai fornitori di contenuti e di
hosting di rimuovere gli elementi
offensivi dai loro server, al fine di
evitare l'emissione di un ordine di
blocco che avrebbe un impatto su un
intero sito web.
Raramente le società che possiedono i
siti oscurati riescono a opporsi alle
decisioni del governo o dei tribunali.
Ad esempio, nel maggio 2019, la
Wikimedia Foundation ha presentato con
successo una petizione alla Corte
europea dei diritti umani contro il
blocco di Wikipedia in Turchia, anche se
il governo turco non ha permesso
l'accesso al sito fino a gennaio 2020.
Nel maggio 2020 il direttore delle
comunicazioni della presidenza turca,
Fahrettin Altun, ha pubblicato le "Linee
guida per i social media" e ha messo in
guardia i cittadini sul fatto che
sarebbero stati ritenuti responsabili di
aver messo un like o condiviso un post
considerato illegale o diffamatorio dal
governo.
Giornalisti, studiosi e leader della
società civile che sono critici nei
confronti del governo hanno affrontato
molestie orchestrate su Twitter, spesso
da decine o addirittura centinaia di
utenti che che scrivono tweet
diffamatori nei loro confronti. Ad
esempio, nel maggio 2019, prima della
seconda, ripetuta elezione del sindaco
di Istanbul, numerosi account dei social
media del governo hanno diffuso un video
manipolato del candidato
dell'opposizione Ekrem İmamoğlu, in cui
avrebbe affermato di voler far gestire
il Paese a gruppi terroristici. Ancora,
in occasione delle elezioni del novembre
2015, i troll del governo hanno fatto
circolare accuse che Oy ve Ötesi (Vote
and Beyond), la prima iniziativa civica
di monitoraggio delle elezioni in
Turchia, stesse commettendo frodi e
dando supporto alle organizzazioni
terroristiche.
Nell'aprile 2021 il Consiglio della
concorrenza ha multato Google per 296
milioni di lire turche (37.798.000
dollari) per concorrenza sleale nel
mercato pubblicitario. Il Consiglio
della concorrenza ha anche avviato
indagini su trentadue aziende
tecnologiche, tra cui alcune delle più
grandi imprese digitali locali, in
seguito alle accuse per cui tali aziende
avrebbero promosso in modo sleale alcuni
loro funzionari. Nel marzo 2020 è
entrata in vigore in Turchia la Digital
Services Tax numero 7194 che obbliga
piattaforme di gioco, musica e video,
app, servizi a pagamento delle
piattaforme di social media e
piattaforme web che permettono la
vendita di prodotti o servizi a pagare
una tassa del 7,5% sulle loro vendite, a
eccezione del settore bancario, delle
assicurazioni e delle società che
offrono servizi di previdenza
complementare.
Durante la pandemia COVID-19 l'uso delle
piattaforme video online è aumentato,
così come i profitti per gli editori di
contenuti online. Nell'aprile 2020 la
Direzione per la gestione delle entrate
ha annunciato che tutti i produttori di
contenuti che guadagnano entrate da
sponsorizzazioni e pubblicità sulle
piattaforme per le loro pubblicazioni
online sono soggetti a un'imposta sul
reddito del 15%, anche se hanno redditi
minimi o sono minorenni. A parziale
rettifica, nel gennaio 2021, è stata
annunciata un'esenzione fiscale per le
applicazioni di e-commerce che non
avvengono in ambiente aziendale, purché
il reddito annuale non superi le 240.000
lire (30.647 dollari).
Nel maggio 2021, il Ministero del
Commercio ha emesso una direttiva che
richiede che tutte le pubblicità sugli
account dei social media siano
contrassegnate come tali. A conferma
della pesante discriminazione da parte
delle autorità degli appartenenti alla
comunità LGBT+, l'Ente per la pubblicità
ha richiesto che la vendita di prodotti
a tema arcobaleno e qualsiasi materiale
contenente slogan o simboli LGBT+ sulle
piattaforme di e-commerce mostrino un
"contenuto per adulti 18+".
Una società digitale e civile che
subisce continui abusi, ma che è
resiliente, così come lo è Kavala, che
l’estate scorsa, alla fine di una lunga
ed estenuante udienza di tribunale ha
dichiarato: “Nonostante tutto, e
nonostante sia uno degli individui che
più porta il peso di questa situazione
in deterioramento, non ho perso la
speranza. Se in seno all’opinione
pubblica, alla società civile e,
soprattutto, tra gli attori politici si
riuscirà a concentrarsi sui principi
dello Stato di diritto e a collaborare
per difenderli, si riuscirà a fermare
questo andamento e aumentare così
l’influenza dei membri del potere
giudiziario che difendono le norme
legali”. |