[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

167 / NOVEMBRE 2021 (CXCVIII)


attualità

SULLA LIBERTÀ D'ESPRESSIONE DIGITALE IN TURCHIA
CASO KAVALA e SOCIETÀ CIVILE

di Leila Tavi

 

Nel tentativo di far finalmente rilasciare l’attivista, uomo d’affari e filantropo Osman Kavala, detenuto ormai da oltre quattro anni senza giusto processo in un carcere di massima sicurezza a Silivri, Istanbul, qualche giorno fa la maggioranza del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa ha deciso di avviare la procedura formale di infrazione contro la Turchia per il mancato rilascio del difensore dei diritti umani Osman Kavala, Nils Muižnieks, direttore Europa di Amnesty International, ha dichiarato: "Il messaggio del Comitato dei ministri alla Turchia è chiarissimo: il fatto che la Turchia non garantisca l'immediato rilascio di Osman Kavala e ponga fine alla sua persecuzione per motivi politici è una violazione inaccettabile degli obblighi del paese in materia di diritti umani. Dopo più di quattro anni dietro alle sbarre con accuse di tipo politico, gli deve essere permesso di tornare finalmente a casa dalla sua famiglia".

Il Comitato dei ministri ha notificato ieri alla Turchia la sua intenzione di deferire l'inadempienza della Turchia alla Corte nella sua riunione del 2 febbraio 2022, chiedendo alla Turchia di presentare la sua risposta entro il 19 gennaio. Già due anni fa la Corte europea dei diritti dell'uomo aveva stabilito che il diritto alla libertà di Osman Kavala era stato violato al solo scopo di impedirgli di esercitare il suo diritto di libera opinione e ne aveva chiesto il suo rilascio immediato. Invece di applicare la sentenza della CEDU, i procuratori hanno cercato in tutti i modi di addossargli dei crimini, presentando accuse da processo farsa, senza alcuna prova concreta.

La prossima udienza del processo a Osman Kavala si terrà il 17 gennaio 2022. Si tratta dell’ultimo dei processi con gravi accuse penali a suo carico e che lo vede coinvolto insieme ad altre cinquantuno persone, tra cui semplici tifosi di calcio, riguarda il "tentativo di rovesciare l'ordine costituzionale", il "tentativo di rovesciare il governo" e di "spionaggio militare e politico".

Il 2 dicembre 2021 il Comitato dei Ministri ha adottato una risoluzione provvisoria in cui si constata che, non garantendo "l'immediato rilascio di Osman Kavala, la Turchia si rifiuta di rispettare la sentenza definitiva della Corte nel presente caso". Il Comitato ha deciso di notificare formalmente alla Turchia la sua intenzione, nella sua riunione del 2 febbraio 2022, di deferire alla Corte la questione se la Turchia è venuta meno all'obbligo che le incombe in virtù dell'articolo 46, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Alla Turchia è stato chiesto di presentare osservazioni entro il 19 gennaio 2022.

Una procedura d'infrazione per mancata esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo è stata avviata solo una volta, contro l'Azerbaigian. Questo processo inizia con la notifica formale al Paese a seguito di un voto a maggioranza dei 2/3 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa. La Turchia ha ricevuto la notifica formale a inizio dicembre 2021.

Il caso di Osman Kavala conferma come la costituzione e le leggi della Turchia non riescano a proteggere la libertà di parola e di stampa né su carta né online, nonostante sia prevista un’ampia tutela della libertà di espressione nella Costituzione.

L'articolo 26 della Costituzione turca afferma che "ognuno ha il diritto di esprimere e diffondere i propri pensieri e le proprie opinioni con la parola, per iscritto, tramite immagini, o attraverso altri mezzi di comunicazione, individualmente o collettivamente".

La legislazione turca e le sentenze dei tribunali sono, inoltre, soggette alla Convenzione europea dei diritti umani e vincolate dalle decisioni della Corte europea dei diritti umani, che proteggono la libertà di parola. Nonostante queste garanzie, i giornalisti online e gli utenti comuni devono spesso affrontare sanzioni civili e penali soltanto per aver professato il diritto di libera espressione. La Costituzione garantisce anche il diritto alla privacy, sebbene ci siano limitazioni legali all'uso di dispositivi di crittografia e il diffuso utilizzo da parte delle agenzie di sicurezza nazionale di sistemi di monitoraggio dell'attività online da parte delle agenzie di sicurezza sia diffusa.

Lo stato di emergenza promulgato sulla scia del tentativo di colpo di stato del 2016, rimasto in vigore fino a luglio 2018, ha permesso al presidente Erdoğan di emettere decreti senza controllo giudiziario, compresi alcuni che hanno minacciato la libertà di espressione online, altri che sono stati utilizzati per bloccare siti web, chiudere le reti di comunicazione e chiudere organizzazioni della società civile e siti per l’informazione indipendente. Il decreto n. 671, pubblicato nel 2016, ha modificato la legge sulle comunicazioni digitali per autorizzare il governo a prendere "qualsiasi misura necessaria" per motivi di "sicurezza nazionale, ordine pubblico, prevenzione del crimine, protezione della salute pubblica e della morale pubblica, o protezione dei diritti e delle libertà" garantiti dall'articolo 22 della Costituzione. Il decreto obbliga anche i gestori di telecomunicazioni a far rispettare gli ordini del governo entro due ore dalla loro ricezione. Nonostante lo stato di emergenza non sia più in vigore, il decreto non ha cessato di essere vigente.

Le leggi turche sono applicate da una magistratura la cui indipendenza è stata compromessa, in particolare dopo il tentativo di colpo di stato del 2016. Ormai i giudici si pronunciano sempre più raramente contro il governo, mentre migliaia di nuovi giudici lealisti che sono stati nominati negli ultimi anni sono in linea con gli interessi del governo e hanno sostituito quelli sospettati di sostenere il tentativo di colpo di Stato, che sono stati epurati.

Il processo Occupy Gezi, che è durato tre anni, ha determinato il destino di nove persone, tra cui l'imprenditore filantropo Osman Kavala, coinvolto nelle proteste di Gezi Park del 2013, che richiedevano a gran voce la tutela dei diritti e delle libertà civili.

Considerato come un processo politico, quello del Gezi Park si è concluso nel febbraio 2020 e tutti e nove i sospettati sono stati assolti, con un un verdetto a sorpresa, considerata la sottomissione della magistratura al governo. I giudici che presiedevano la corte sono in seguito stati oggetto di un'indagine ufficiale per aver "permesso una manovra giudiziaria per assolvere Osman Kavala dal carcere". Kavala era stato arrestato più volte con varie accuse per le quali era stato scagionato. Il filantropo e imprenditore turco è stato in prigione in custodia cautelare, nonostante la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia stabilito che dovesse essere rilasciato. Attualmente è accusato di favoreggiamento delle attività terroristiche.

Non ci sono leggi specifiche che criminalizzano le attività online come rendere pubbliche le proprie opinioni, informarsi sui siti, inviare e-mail o messaggi di testo. Invece, molte disposizioni del codice penale e altre leggi che disciplinano la prevenzione del terrorismo sono applicate sia alle attività online che offline.

Secondo l'articolo 7 della legge antiterrorismo, "coloro che fanno propaganda per un'organizzazione terroristica legittimando, glorificando o incitando metodi violenti o minacce" possono incorrere in pene detentive da uno a cinque anni. La legge è stata ampiamente criticata per la sua generica definizione di terrorismo, che è stata sfruttata dai tribunali per perseguire giornalisti e accademici che criticano il governo, senza chiari legami con le attività terroristiche, come nel caso di Kavala.

Osman Kavala è un esempio di come l'attivismo digitale abbia giocato un ruolo significativo nel paese fin dalle proteste di Occupy Gezi del 2013. Purtroppo la repressione, i processi politici e lo Stato di polizia hanno causato una diminuzione dell’utilizzo dei canali social e del web per esprimere il dissenso politico. Il clima repressivo instillato dopo il tentativo di colpo di stato del 2016 ha avuto come conseguenza una crescente propensione delle persone ad autocensurarsi.

Gli utenti di internet usano i social media per tutelare la giustizia e portare l'attenzione dell’opinione pubblica su casi di persecuzioni politiche che i media tradizionali ignorano. All'inizio del 2021, studenti, docenti e associazioni di alumni - comprese alcune organizzazioni internazionali - hanno organizzato proteste online e offline, dopo che un amministratore nominato dal governo è diventato rettore dell'istituto di istruzione più prestigioso della Turchia, l'Università Boğaziçi. A seguito delle violente repressioni contro i manifestanti pacifici, molti studenti sono stati arrestati per aver sostenuto le proteste sui social media. I manifestanti hanno fatto largo uso dell'app Clubhouse per discutere la politica del governo di nominare i rettori invece di permettere le libere elezioni nei campus. Migliaia di studenti hanno condiviso le loro opinioni, criticando il governo, e alcuni studenti sono stati arrestati a causa delle loro dichiarazioni. Clubhouse richiede la registrazione del nome reale, pertanto le autorità sono state in grado di accedere agli account dei social media e alle informazioni private dei dissidenti per poterli arrestare. Ovviamente i media filogovernativi hanno affermato che gli studenti erano provocatori che chiamavano alle rivolte violente.

Nel 2020 molte donne turche hanno dato vita alla campagna online #ChallengeAccepted, diventata virale a livello globale, per portare l'attenzione sul femminicidio e sulla violenza di genere in Turchia.

Nel dicembre 2020 è stata approvata una legge intitolata "Prevenzione della proliferazione del finanziamento delle armi di distruzione di massa", apparentemente per prevenire il finanziamento delle reti terroristiche internazionali. De facto, la legge include clausole che limitano il diritto dei cittadini a riunirsi sia offline che online e autorizza il governo a nominare fiduciari per le ONG che si occupino di diritti civili. Oltre 600 ONG hanno firmato una petizione online e avviato una vasta campagna sui social media contro la legge. Subito dopo l'approvazione della legge, le ONG per i diritti civili hanno ricevuto ripetuti avvisi per controlli e ispezioni.

Inoltre, nel luglio 2020, il parlamento, senza consultare la Commissione per le piattaforme digitali, ha approvato una legge sui social media che impone alle società di social media di conservare i dati degli utenti in Turchia, sollevando gravi preoccupazioni per la privacy degli utenti. La legge permette a società private di osservare e conservare i dati personali e sensibili degli utenti. Una volta che le società hanno uffici nel Paese, sarebbero obbligate a "conservare i dati degli utenti in Turchia e ad applicare tutte le misure di rimozione dei contenuti, di blocco degli accessi e di altro tipo" immediatamente dopo aver ricevuto l’ordine dell’autorità competente.

Diverse fughe di dati hanno minacciato la privacy degli utenti negli ultimi tre anni. Nell'aprile 2021 la Commissione privata per la protezione dei dati ha indagato su Facebook a seguito di una massiccia fuga di dati che riguardano migliaia di cittadini turchi.

Secondo il rapporto Freedom on the Net 2021 di Freedom House, restrizioni da parte del governo turco alla libera navigazione in internet sono evidenti nell’ultimo triennio in Turchia. La legge turca sulla regolamentazione delle pubblicazioni in internet e sulla repressione dei crimini commessi per mezzo di tali pubblicazioni ha avuto un impatto significativo sulla società civile in Turchia dal 2007. A ogni revisione della legge, ulteriori restrizioni sono state introdotte. Con la recente revisione del 29 luglio 2020 le autorità possono richiedere la rimozione di contenuti dalle piattaforme di pubblicazione invece di bloccare semplicemente l'accesso al contenuto. La nuova legislazione ha ripercussioni significative sui diritti e sulle libertà digitali, sul commercio elettronico, sull'economia e sui giovani imprenditori. Tale legge è senza ombra di dubbio in contrasto con l'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti umani, che garantisce la libertà di avere opinioni e di esprimerle liberamente senza intervento del governo, come sottolineato dal recente rapporto Impact of Social Media Law on Media Freedom in Turkey.

Infatti, dalla sua piena applicazione il 1° ottobre 2020, la nuova legge ha avuto un grande impatto sulla sostenibilità dei contenuti digitali, in particolare sui siti di informazione indipendente, con un totale di 658 ordini di rimozione.

La nuova legge sui social media, inoltre, ha permesso di oscurare centinaia di profili. In particolar modo sono stati oggetto di censura i contenuti online ritenuti critici nei confronti del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) al potere o del presidente Recep Tayyip Erdoğan. Sempre più gravi sono le minacce nei confronti di attivisti, giornalisti e semplici utenti dei social media: le autorità hanno arrestato utenti di Clubhouse come reazione alla protesta organizzata dagli studenti all'Università di Boğaziçi, hanno preso di mira gli attivisti LGBT+ online e hanno arrestato un importante membro del principale partito di opposizione con l’accusa di aver insultato il presidente.

Non è soltanto la censura a preoccupare la società civile in Turchia, ma l’autocensura, che gli stessi utenti di internet hanno iniziato a fare intimoriti dalle minacce del governo.

L'AKP del presidente Erdoğan è al governo in Turchia dal 2002 e soltanto nel periodo iniziale ha varato riforme per incentivare l’economia liberale, nel corso degli anni il governo ha mostrato un crescente disprezzo per i diritti politici e le libertà civili, fino ad arrivare a uno Stato di terrore dopo il tentativo di golpe del luglio 2016.

Eppure, sulla scorta di questo inasprimento delle misure punitive nei confronti dei dissidenti, nonostante la riforma costituzionale del 2017 abbia concentrato sempre più potere nelle mani del presidente Erdoğan, va rilevato il successo ottenuto dall'opposizione nelle elezioni comunali del 2019 e l'impatto della pandemia COVID-19, che è stato devastante sulla già traballante economia, per questo la repressione del governo si è fatta ancora più dura.

Secondo l'Istituto nazionale di statistica turco la percentuale di residenti che è dotato di una connessione internet si è attestata al 79% nel 2020, rispetto al 65% per cento del 2017. A seguito di un’indagine condotta dal suddetto istituto sull'uso delle tecnologie dell'informazione da parte delle famiglie, è emerso che la percentuale di nuclei familiari con accesso a internet è aumentata fino al 90,7% nel 2020. Il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture ha annunciato in tempi recenti di voler assicurare una connessione internet da 100 megabyte (MB) a ogni famiglia entro il 2023, ma il mercato per la fornitura della banda larga è gestito in regime di oligopolio in Turchia, con costi troppo elevati a confronto dei salari bassi e dell’inflazione.

Nel gennaio 2021 la tassa speciale provvisoria sulle comunicazioni elettroniche, compresi i dispositivi, è aumentata dal 7,5% al 10%. Come in tutto il resto del mondo, in Turchia la maggior parte delle persone si connette a internet più tramite telefoni cellulari che tramite banda larga fissa, quindi questo aumento della tassa ha avuto un impatto negativo su una vasta fascia di utenti internet. Inoltre chi acquista telefoni cellulari all'estero per l’utilizzo in Turchia, deve pagare 2.006 lire turche (256 dollari) e ha l’obbligo di registrare il dispositivo acquistato all'estero.

Durante la pandemia di COVID-19 le scuole e le università in tutta la Turchia sono state chiuse per un lungo periodo, pertanto massiccio è stato l’utilizzo della DAD. Tuttavia, molti studenti non disponevano a casa di connessione internet veloce, non potendo partecipare così alle lezioni online, tanto che il Consiglio per l'istruzione superiore ha cercato di persuadere gli studenti universitari che non dispongono di un computer con una connessione internet veloce di non laurearsi fino a che le lezioni in presenza non saranno tornate a essere la normalità. Nell'agosto 2020 la Direzione generale per l'innovazione e le tecnologie dell'istruzione ha acquistato 50.000 account Zoom per consentire le lezioni online alle scuole pubbliche. Tuttavia, secondo un rapporto dell'Organizzazione per la Cooperazione Economica (OCSE), l'infrastruttura delle telecomunicazioni della Turchia non è riuscita a implementare con successo l'apprendimento online durante la pandemia, considerato che sono stati messi a disposizione degli insegnanti soltanto sei gigabyte di connessione internet, che sono stati insufficienti per garantire tutte le lezioni online, e circa un milione e mezzo di alunni non aveva la connessione internet.

Nel febbraio 2020, in occasione di un attacco aereo da parte della Turchia nel nord della Siria, gli utenti dei social media hanno riscontrato problemi di connettività che sono durati per oltre sedici ore, durante cui il governo ha bloccato a intermittenza le piattaforme dei social media e le applicazioni di messaggistica. Su richiesta del governo turco, gli operatori delle telecomunicazioni hanno impedito l'accesso a Twitter, Facebook e Instagram, mentre hanno parzialmente bloccato l'accesso a WhatsApp e YouTube. Né il governo né le aziende interessate hanno rilasciato dichiarazioni riguardo ai blocchi. Simili restrizioni sono state sperimentate anche negli anni precedenti, durante le operazioni militari della Turchia nel nord della Siria.

In Turchia l’oscuramento dei social network non avviene soltanto per ragioni di sicurezza militare; in passato si sono verificate interruzioni di rete anche nella regione sud-orientale, dove l'etnia curda sepratista rappresenta la maggioranza della popolazione e le forze di sicurezza e i militari turchi combattono contro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).

Inoltre, particolarmente pesante è la censura nei confronti del giornalismo partecipato, in continuo aumento. Il report di Freedom House cita la Free Expression Association, un'iniziativa della società civile che pubblica frequenti aggiornamenti sui siti web bloccati in Turchia, sottolineando come più di 408.494 siti web erano inaccessibili a luglio 2020, rispetto ai circa 40.000 del 2013. Tra i nuovi siti web bloccati ci sono quelli che pubblicano contenuti sulle operazioni militari della Turchia, notizie curde e critiche al governo. Alcuni nuovi siti web bloccati sono accusati di fare "propaganda terroristica", ma che in realtà fanno una copertura di storie largamente omesse dai media tradizionali filogovernativi. Una delle cause che determina il blocco di un sito web è la diffusione di contenuti "osceni", per cui siti con parole chiave relative al sesso o alla sessualità nel nome di dominio, oppure siti considerati offensivi nei confronti della religione islamica o che promuovono l'ateismo.

Negli ultimi anni la normativa sulla libertà di espressione in rete si è ancora più inasprita. Nell'agosto 2019 è stata approvata una legge che richiede alle società di streaming online di registrarsi presso il Consiglio supremo della radio e della televisione (RTÜK), aprire un ufficio locale e rispettare le richieste del governo per i dati degli utenti. Le regole che stabiliscono i filtri per contenuti non adatti ai minori sono arbitrarie e discriminatorie. La stessa Wikipedia è stata oscurata per un biennio, fino a quando, nel gennaio 2020, un tribunale ha dichiarato il blocco incostituzionale, causato dal rifiuto di Wikipedia di rimuovere nel 2017 due articoli che affermavano che il governo turco forniva armi a gruppi di milizie irregolari.

La legge sui regolamenti dei social media del luglio 2020 obbliga le società di social media con oltre un milione di utenti giornalieri ad aprire uffici in Turchia con un rappresentante locale. A dicembre 2020, Facebook, Instagram, YouTube, Periscope e Twitter sono stati tutti multati con 10 milioni di lire turche (1,2 milioni di dollari) dopo aver omesso di nominare un rappresentante. YouTube, Facebook e Twitter hanno aperto uffici locali rispettivamente a dicembre 2020, gennaio e marzo 2021, anche se le società hanno affermato che non avrebbero modificato le loro politiche di moderazione dei contenuti, trasparenza e pubblicazione. A gennaio 2021, anche TikTok ha nominato un rappresentante locale, appena un giorno prima che venisse emesso un divieto di pubblicità per inadempienza. Twitter e Pinterest hanno entrambi ricevuto il divieto di pubblicità il 19 gennaio 2021, anche se il divieto di Twitter è stato revocato dopo l'apertura del loro ufficio locale alla fine di marzo 2021.

La legge richiede anche che le aziende rispettino gli ordini di rimozione dei contenuti da parte del governo o degli individui entro 48 ore; il mancato rispetto potrebbe comportare multe fino a 700.000 dollari. La grande maggioranza degli ordini di blocco sono emessi dal BTK (Bilgi Teknolojileri ve İletişim Kurumu), dall’Autorità per l’informazione e per le telecomunicazioni, piuttosto che dai tribunali, con procedure affatto trasparenti, rendendo impossibile fare ricorso. I giudici possono emettere ordini di blocco sia durante le indagini preliminari che durante i processi. Le motivazioni alla base delle decisioni dei tribunali non sono fornite negli avvisi di blocco e le relative sentenze non sono facilmente accessibili. Di conseguenza, i proprietari dei siti hanno difficoltà a determinare perché il loro sito è stato bloccato e quale tribunale ha emesso l'ordine. Il mandato della BTK include l'esecuzione di ordini di blocco giudiziari, ma può anche emettere ordini amministrativi per siti web stranieri, contenuti che coinvolgono abusi sessuali sui bambini e oscenità. Inoltre, in alcuni casi, chiede con successo ai fornitori di contenuti e di hosting di rimuovere gli elementi offensivi dai loro server, al fine di evitare l'emissione di un ordine di blocco che avrebbe un impatto su un intero sito web.

Raramente le società che possiedono i siti oscurati riescono a opporsi alle decisioni del governo o dei tribunali. Ad esempio, nel maggio 2019, la Wikimedia Foundation ha presentato con successo una petizione alla Corte europea dei diritti umani contro il blocco di Wikipedia in Turchia, anche se il governo turco non ha permesso l'accesso al sito fino a gennaio 2020.

Nel maggio 2020 il direttore delle comunicazioni della presidenza turca, Fahrettin Altun, ha pubblicato le "Linee guida per i social media" e ha messo in guardia i cittadini sul fatto che sarebbero stati ritenuti responsabili di aver messo un like o condiviso un post considerato illegale o diffamatorio dal governo.

Giornalisti, studiosi e leader della società civile che sono critici nei confronti del governo hanno affrontato molestie orchestrate su Twitter, spesso da decine o addirittura centinaia di utenti che che scrivono tweet diffamatori nei loro confronti. Ad esempio, nel maggio 2019, prima della seconda, ripetuta elezione del sindaco di Istanbul, numerosi account dei social media del governo hanno diffuso un video manipolato del candidato dell'opposizione Ekrem İmamoğlu, in cui avrebbe affermato di voler far gestire il Paese a gruppi terroristici. Ancora, in occasione delle elezioni del novembre 2015, i troll del governo hanno fatto circolare accuse che Oy ve Ötesi (Vote and Beyond), la prima iniziativa civica di monitoraggio delle elezioni in Turchia, stesse commettendo frodi e dando supporto alle organizzazioni terroristiche.

Nell'aprile 2021 il Consiglio della concorrenza ha multato Google per 296 milioni di lire turche (37.798.000 dollari) per concorrenza sleale nel mercato pubblicitario. Il Consiglio della concorrenza ha anche avviato indagini su trentadue aziende tecnologiche, tra cui alcune delle più grandi imprese digitali locali, in seguito alle accuse per cui tali aziende avrebbero promosso in modo sleale alcuni loro funzionari. Nel marzo 2020 è entrata in vigore in Turchia la Digital Services Tax numero 7194 che obbliga piattaforme di gioco, musica e video, app, servizi a pagamento delle piattaforme di social media e piattaforme web che permettono la vendita di prodotti o servizi a pagare una tassa del 7,5% sulle loro vendite, a eccezione del settore bancario, delle assicurazioni e delle società che offrono servizi di previdenza complementare.

Durante la pandemia COVID-19 l'uso delle piattaforme video online è aumentato, così come i profitti per gli editori di contenuti online. Nell'aprile 2020 la Direzione per la gestione delle entrate ha annunciato che tutti i produttori di contenuti che guadagnano entrate da sponsorizzazioni e pubblicità sulle piattaforme per le loro pubblicazioni online sono soggetti a un'imposta sul reddito del 15%, anche se hanno redditi minimi o sono minorenni. A parziale rettifica, nel gennaio 2021, è stata annunciata un'esenzione fiscale per le applicazioni di e-commerce che non avvengono in ambiente aziendale, purché il reddito annuale non superi le 240.000 lire (30.647 dollari).

Nel maggio 2021, il Ministero del Commercio ha emesso una direttiva che richiede che tutte le pubblicità sugli account dei social media siano contrassegnate come tali. A conferma della pesante discriminazione da parte delle autorità degli appartenenti alla comunità LGBT+, l'Ente per la pubblicità ha richiesto che la vendita di prodotti a tema arcobaleno e qualsiasi materiale contenente slogan o simboli LGBT+ sulle piattaforme di e-commerce mostrino un "contenuto per adulti 18+".

Una società digitale e civile che subisce continui abusi, ma che è resiliente, così come lo è Kavala, che l’estate scorsa, alla fine di una lunga ed estenuante udienza di tribunale ha dichiarato: “Nonostante tutto, e nonostante sia uno degli individui che più porta il peso di questa situazione in deterioramento, non ho perso la speranza. Se in seno all’opinione pubblica, alla società civile e, soprattutto, tra gli attori politici si riuscirà a concentrarsi sui principi dello Stato di diritto e a collaborare per difenderli, si riuscirà a fermare questo andamento e aumentare così l’influenza dei membri del potere giudiziario che difendono le norme legali”.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]