[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

188 / AGOSTO 2023 (CCXIX)


contemporanea

SU Hermann Fegelein

il quasi “cognato” di Hitler: GIUGNO 1944-aprile 1945

di Francesco Cappellani

 

Il 3 giugno 1944 si svolse nel principesco palazzo Mirabell, a Salisburgo, un matrimonio che coinvolse le persone di massimo livello nella cerchia di potere del partito nazista. L’edificio era stato costruito nel 1606 dall’allora arcivescovo di Salisburgo Wolf Dietrich von Raitenau, il fondatore della Salisburgo barocca, per alloggiarvi la sua amante Salomè Alt e i quindici figli nati dalla loro relazione. Nei secoli successivi fu quasi interamente rifatto e oggi, col suo splendido giardino, costituisce una delle attrazioni della città.

 

La magnifica dimora era stata scelta per accogliere la cerimonia delle nozze civili, presieduta dal Capo delle SS, il Reichsführer-SS Heinrich Himmler, fra Margaret Berta “Gretl” Braun, la più giovane delle due sorelle della compagna del Fuhrer Eva, e l’SS- Gruppenführer Hans Georg Otto Hermann Fegelein, avendo come testimoni Adolf Hitler, Himmler e il segretario particolare del Führer, Martin Bormann, cioè tre delle più alte cariche del III Reich.

 

Eva Braun gestì con entusiasmo la complessa organizzazione del matrimonio e i successivi pranzi e feste che durarono per tre giorni. Il foglietto col programma dei festeggiamenti all’Obersalzberg, rinomata località montana vicino a Salisburgo, venduto recentemente a un’asta, ne descrive in dettaglio le varie fasi a partire dall’arrivo a Berchtesgaden degli ospiti che vengono sistemati negli hotel della cittadina per ritrovarsi tutti alle 12:30 nella villa di Bormann, molto ampia dovendo alloggiare una famiglia con dieci figli. E poi al Berghof, la dimora alpina che Hitler aveva affittato nel 1928 e acquistata nel 1933 grazie agli introiti delle vendite del suo Mein Kampf e largamente ristrutturata.

 

Sulla stessa montagna si trova il Kehlsteinhaus, o “Nido d’Aquila”, dove gli ospiti si recano nel pomeriggio per rientrare a sera per la cena alle ore 20 in casa Bormann dove, alle 22, nella stube, sarà servita la zuppa di patate e gulasch (Kartoffelsuppe und Gulasch in der Bierstube im Haus Bormann). E così nei giorni seguenti.

 

Sarà questa l’ultima grande e spettacolare festa dell’aristocrazia militare e di governo della Germania nazista, tra balli, fiumi di birra e champagne, nella quiete spensierata delle Alpi Bavaresi, che si concluderà il 5 giugno. Quella sera, al Berghof, Hitler e il suo entourage tra i quali Göbbels, dopo avere ascoltate via radio le ultime notizie indugiano a lungo parlando di cinema e di ricordi fino alle 2 di notte.

 

Il Führer si ritira in camera verso le 3; poco dopo l’intelligence nazista comincia a raccogliere segnali relativi a un presunto sbarco di truppe alleate in Normandia, notizia confermata verso le sei del mattino di quello che sarà chiamato poi il D-day, il 6 giugno del 1944, che costerà la vita a circa 10.000 soldati, ma darà il colpo definitivo, insieme all’inarrestabile avanzata delle armate sovietiche a est, ai sogni del Führer e dei suoi complici. L’aiutante di Hitler ha paura di svegliarlo senza avere ancora notizie certe e precise sugli avvenimenti, ma Albert Speer, ministro degli armamenti e pupillo del Führer, arrivato alle 10 al Berghof, mette al corrente senza indugi il capo della gigantesca operazione di sbarco in corso.

 

Il 14 luglio 1944 Hitler lascia il Berghof e con tutto il cerchio intimo di persone che lo accompagnano si sposta nella Tana del Lupo (Wolffschanze) vicino a Rastenburg in Polonia, all’epoca Prussia orientale, nella sterminata serie di bunker fortificati immersi in una fitta foresta che li nasconde, dove aveva costituito il suo Quartier Generale a partire dal 24 giugno 1941, due giorni prima dell’operazione “Barbarossa” contro la Russia, e che abbandonerà poi definitivamente all’inizio del 1945 per rifugiarsi nel Führerbunker a Berlino.

 

La coorte dei suoi più stretti collaboratori lo segue fedelmente nei suoi spostamenti da Berlino al Berghof o alla Tana del Lupo a partire dalla seminascosta compagna Eva Braun con la sorella minore Gretl, dal folto staff del personale amministrativo e degli aiutanti, tra i quali il controverso e discusso medico personale Morell, da alcuni considerato un ciarlatano, che lo assiste e cura con stimolanti la mattina e poi oppiacei la sera per l’insonnia, e le quattro segretarie personali. Due di queste, Gertraud (Traudl) Junge e Christa Schroeder ci hanno lasciato la prima un diario dei tre anni trascorsi in stretto contatto con Hitler e l’altra la sua biografia, documenti preziosi e unici perché raccontano un Hitler privato, ne svelano un po’ il lato intimo, ne raccolgono alcune confidenze.

 

Le due ragazze risulteranno anche affidabili testimoni oculari del progressivo decadimento fisico di uno dei più sanguinari dittatori della storia. Traudl arriva a Berlino nel 1942 trovando impiego nella Cancelleria del Reich. È una bella ragazza di 22 anni; lavorerà affianco al Führer fino al suicidio del dittatore. A lei Hitler detta il suo testamento politico e quello personale dopo le nozze con Eva Braun nella notte del 28 Aprile 1945 quando aveva già deciso il proprio destino. Dal suo diario Traudl trasse un libro di memorie che tentò invano di pubblicare nel 1947; il testo uscirà soltanto dopo la sua morte nel 2002 e verrà pubblicato in Italia da Mondadori nel 2003 col titolo: Fino all’ultima ora. Le memorie della segretaria di Hitler, 1942-1945.

 

Christa Schroeder entra nello staff di Hitler nel 1933 dopo la sua elezione a Cancelliere, e gli resta accanto per 12 anni fino a pochi giorni prima del suicidio. Il 20 aprile 1945, mentre infuria la battaglia intorno a Berlino oramai circondata dalle truppe del maresciallo Zukov, il Führer esorta le sue segretarie a lasciare il bunker; due di esse, tra cui Christa, obbediscono fuggendo verso la Baviera per evitare di finire nelle mani delle truppe sovietiche. Christa pubblicherà la sua biografia nel 1985 da Herbig, a Monaco col titolo: Er war mein Chef (Era il mio Capo); il libro è stato tradotto in varie lingue ma non in italiano.

 

Nel chiuso di questa sorta di comunità raccolta attorno al dittatore, fioriscono ovviamente commenti e pettegolezzi che riguardano sia i vari componenti del “social circle” che i turbinosi e tragici avvenimenti che si succedono negli anni della guerra e soprattutto nel biennio finale. Molto chiacchierato è Hermann Fegelein: nato nel 1906 lavora da giovane col padre che gestisce una scuola di cavalleria a Monaco poi fallita negli anni della depressione. Nel 1930 entra in contatto col partito Nazionalsocialista e poi, nel 1933, nelle SS (Schutzstaffel, schiera di protezione). Nel 1937 il Reichsführer Himmler crea la Scuola di Cavalleria delle SS a Monaco e ne nomina Fegelein comandante.

 

Il giovane Hermann fa carriera sotto la protezione del potentissimo capo delle SS che lo tratta come un figlio, grazie anche alla sua simpatia, alla furbesca capacità di ingraziarsi i “potenti” e alla grande ambizione. Nel 1939, dopo l’invasione della Polonia, si installa a Varsavia al comando del reggimento a cavallo SS Totenkopf Reiterstandarte; la sua unità, a seguito dell’ordine di Hitler di eliminare l’élite polacca (intellettuali, aristocratici etc.), è coinvolta nel massacro di 1.700 persone nella foresta di Kampinos, a nord-ovest di Varsavia, oggi Parco Nazionale. Finisce insieme alla sua unità di combattimento davanti alla corte marziale per furto e appropriazione di beni di lusso, ma Himmler lo salva dal processo.

 

Nel maggio del 1940 partecipa all’occupazione del Belgio e della Francia guadagnandosi la Croce di Ferro di 2ª classe. Sotto la supervisione di Richard Heydrich, le sue unità si spostano in Russia nel 1941 e saranno responsabili della morte di oltre 17.000 civili, in gran parte ebrei, nelle paludi di Prypiat in Bielorussia.

 

Nel 1943 in successivi combattimenti contro le truppe sovietiche guadagna altre onorificenze, il 30 settembre viene ferito seriamente e ricoverato in ospedale per un paio di settimane. Il primo novembre 1943 gli viene assegnata la Croce d’Oro dell’Ordine Militare della Croce Tedesca. Himmler ne ordina il rimpatrio nominandolo suo aiutante e assegnandolo al Quartier Generale di Hitler come rappresentante delle SS con l’incarico di agire da ufficiale di collegamento tra il capo stesso delle SS e il Führer.

 

Il 10 giugno del 1944 è promosso SS-Gruppenfürer und Generalleutnant der Waffen-SS. Il 20 luglio è presente nella sala del Führerbunker di Berlino dove avviene il fallito attentato di Von Stauffenberg a Hitler, riportando solo lievi ferite. Incaricato delle indagini e del ritrovamento dei colpevoli, nelle parole di Traudl Junge: «Fegelein si sentiva personalmente indignato che avessero voluto far saltare per aria anche un tipo straordinario come lui. Ritengo che lo trovasse ancora più sacrilego dell’intenzione di eliminare Hitler».

 

Una carriera brillante, Fegelein fu però considerato dai suoi colleghi soprattutto un astuto opportunista, cinico e senza scrupoli e, nella vita privata, un donnaiolo irrefrenabile. Pesante il giudizio di Albert Speer che lo definisce “una delle persone più disgustose del circolo di Hitler”. Anche il matrimonio con Gretl, la sorellina della compagna del Führer, rientra indirettamente nel percorso del carrierista Fegelein. Quando, rientrato dai campi di battaglia, inizia il suo lavoro al Berghof, riesce grazie a un’amica a conoscere Eva Braun e, tramite lei, a partecipare al pranzo con Hitler. Eva è molto impressionata da Fegelein, un bel tipo gioviale e simpatico, di compagnia, e confida che se l’avesse conosciuto dieci anni prima avrebbe chiesto al Führer il permesso di lasciarlo per un altro uomo.

 

Dai commenti delle segretarie appare che Eva è felice di avere un giovane con cui ballare, scherzare e scambiare languidi sguardi di tenerezza. Eva però è ormai legata a Hitler e pensa allora alla sua vivace sorella Gretl, che aveva tentato invano di maritare con personaggi di rilievo del circolo di Hitler, come possibile sposa di Fegelein considerando anche che quest’ultimo ne poteva trarre cospicui vantaggi divenendo magari un domani cognato di Hitler. Sarebbe stato un matrimonio “politico” che però avrebbe accontentato tutti.

 

Eva riesce facilmente nel suo intento (Gretl era una donna bella e navigata e anche sexy per quei tempi) e vuole organizzare personalmente il matrimonio: «Vorrei che fosse meraviglioso come se fosse il mio», e in effetti, come abbiamo accennato all’inizio, fu una stupenda cerimonia nuziale.

 

Eva è felice: «Sono molto grata a Fegelein per avere sposato mia sorella. Ora io sono qualcuno, sono la cognata di Fegelein!». Questo le permetteva finalmente di uscire da quella anonimità a cui l’aveva condannata da tanti anni l’atteggiamento di Hitler nei suoi confronti, ma anche Hitler, che sembra non avesse una grande stima di Fegelein e sapeva benissimo che era e avrebbe continuato a essere un playboy impenitente, capì che diventando Eva parente di uno dei suoi e acquisendo quindi una propria riconoscibilità, poteva tirarla fuori dal cono d’ombra dove l’aveva relegata e apparire insieme a lui in pubblico.

 

Nel 1995 il quotidiano popolare tedesco Bild, rifacendosi a notizie emerse dagli archivi sovietici, scrive che Fegelein avrebbe sedotto Eva già nel 1944; inoltre, come racconta la segretaria Christa Schroeder, al ricevimento di nozze con Gretl, avrebbe ballato a lungo strettamente abbracciato a Eva “guardandosi come solo fanno due innamorati”.

 

La guerra volge al peggio. Il 16 gennaio 1945 Hitler si rinchiude con i suoi nel bunker di Berlino, il Führerbunker, situato circa otto metri sotto il giardino della Cancelleria del Reich, suddiviso in trenta stanze, e protetto da tetto e pareti in calcestruzzo di oltre tre metri di spessore. Da lì non vorrà più uscire, farneticando fino agli ultimi giorni di salvifiche armate corazzate tedesche in arrivo e di nuove armi che avrebbero potuto capovolgere le sorti della guerra. La situazione si fa sempre più critica, a est le truppe sovietiche dilagano avvicinandosi a Berlino; il 16 aprile attraversano l’Oder attaccando l’ultima linea di fortificazioni posta a difesa della capitale sulle alture di Seelow che sovrastano il fiume. Il 20 aprile l’avanzata dell’Armata Rossa permette alle artiglierie pesanti di portarsi a una distanza dalla città tale da potere iniziare a bombardarla senza tregua; il giorno dopo i primi T 34, i carri armati sovietici, entrano nella periferia di Berlino.

 

Il 20 aprile è il Führergeburstag, il compleanno di Hitler, divenuto festa nazionale con l’avvento del nazismo. Hitler compie 56 anni, tutta la sua cerchia ristretta si ritrova per l’ultima volta nel bunker per gli auguri, sono presenti tra gli altri Göring, Himmler, Bormann, Speer e Göbbels con la moglie e i sei figli. Tutti hanno raggiunto il rifugio correndo grossi rischi per la pioggia incessante e assordante delle bombe sovietiche e i cumuli di macerie che impediscono il passaggio.

 

Hitler ha una brutta cera, sembra trascinarsi e appare ingobbito, ha un tremito al braccio sinistro; Göring gli consiglia di ritirarsi nell’Obersalzberg e dirigere da lì le operazioni militari, ma il Führer è assolutamente deciso a restare a Berlino qualunque cosa accada. Il 21 aprile ordina la resistenza fino all’ultimo uomo per difendere Berlino minacciando di morte chi si fosse rifiutato, ma ormai i sovietici sono dentro la città e i pochi nuclei di soldati che tentano di resistere sono rapidamente sopraffatti.

 

Il 23 aprile Göring manda il seguente telegramma a Hitler: «Mio Führer! Considerata la Vostra decisione di rimanere al Vostro posto nella fortezza di Berlino, acconsentite che io assuma immediatamente la guida del Reich, con piena libertà di azione all’interno e all’esterno come sostituto, ai sensi del vostro decreto del 29 giugno del 1941. Se entro le 10 di stasera non avrò ricevuto risposta, supporrò che avrete perduto la Vostra libertà di azione, considererò che si saranno verificate le condizione previste dal Vostro decreto, e agirò nel miglior interesse della nostra Patria e del nostro popolo. Voi sapete quali siano i miei sentimenti per Voi in quest’ora che è la più grave di tutta la mia vita. Mi mancano le parole per esprimermi. Che Iddio vi protegga e Vi faccia giungere presto qui nonostante tutto. Il vostro fedele. Hermann Göring».

 

Hitler, sobillato da Bormann che odiava Göring e lo temeva come possibile rivale nel caso di una successione al Führer, ha uno dei suoi violentissimi accessi di collera, interpreta il messaggio come una presa di potere da parte del suo corpulento feldmaresciallo, lo dimissiona da tutte le cariche, lo accusa di tradimento e ne ordina l’arresto. Ma oramai la catena di comando non funziona più e Göring potrà tranquillamente consegnarsi agli americani.

 

Il 26 aprile Hitler ordina al generale Von Greim che si trova a Monaco, di venire nel bunker della Cancelleria per ricevere la nomina di capo della Luftwaffe al posto di Göring. Von Greim arriva avventurosamente all’aeroporto di Gatow, alla periferia di Berlino insieme all’asso dell’aviazione tedesca Hanna Reitsch, da lì salgono su un Fieseler Fi 156 “Storch” (Cicogna) che è colpito in volo dall’antiaerea russa. Von Greim è ferito a un piede ma Hanna è prontissima ad afferrare i comandi del piccolo velivolo, tenerlo in quota e atterrare acrobaticamente su uno spiazzo senza macerie, presso la Porta di Brandeburgo. Da lì raggiungono il Führerbunker con una camionetta militare. Von Greim esorta, anzi, insieme a Hanna, implora Hitler a unirsi a loro e fuggire in aereo verso la Baviera, ma il Führer rifiuta seccamente.

 

Gli avvenimenti precipitano. Il 27 aprile Hitler convoca l’ufficiale di collegamento con Himmler, Fegelein, che aveva lasciato il bunker dicendo che non voleva condividere patti suicidi, ma l’ufficiale è irreperibile. Lo fa cercare dalle SS che lo trovano nel suo appartamento a Berlino in abiti civili, sbronzo, sembra con una spogliarellista ungherese e non con la moglie Gretl prossima a partorire. Trovano denaro in diverse valute, gioielli, e una borsa con documenti che dimostrano i contatti di Himmler con gli alleati.

 

Chiaramente Fegelein era in procinto di fuggire in Svezia o in Svizzera. Viene riportato al Führerbunker e chiuso in cella. Quella stessa sera la BBC trasmette una notizia dell’agenzia Reuter che riporta i tentativi di Himmler di negoziare la pace con gli alleati tramite il conte Bernadotte, capo della Croce Rossa svedese. Hitler è stravolto dall’ira, ordina a Von Greim, rimasto nel bunker per curare il piede ferito, di partire subito per Plön dove l’ammiraglio Dönitz, eletto nel frattempo plenipotenziario del Reich, aveva installato il suo quartier generale, e di arrestare Himmler con l’accusa infamante di tradimento, missione che Von Greim e Hanna Reitsch non riusciranno a portare a termine.

 

Sospettando una intesa tra Himmler e il suo assistente Fegelein, Hitler lo degrada e lo sottopone a un interrogatorio da parte di uno dei suoi ufficiali decidendo di mandarlo al fronte in prima linea. All’obiezione di Bormann che Fegelein ne avrebbe approfittato per scappare di nuovo, decide di sottoporlo alla Corte Marziale. Sembra che Eva si fosse interposta per salvare il cognato tentando di giustificarlo e accennando all’imminente parto della sorella.

 

Così racconta Traudl: «Eva aveva tentato di spiegare a Hitler quanto fosse stato umano da parte di Fegelein pensare alla moglie e al bambino e voler provare a salvarsi per poter cominciare una nuova vita. Hitler però era stato irremovibile». Diverso è il racconto che ne fa lo storico Hugh Trevor- Roper nel libro Gli ultimi giorni di Hitler: «Fegelein, raggiunto dalle SS a casa, sapendo cosa l’aspettava, aveva telefonato a Eva per chiedere aiuto, ma Eva non intervenne, anzi fu sentita dire: “Povero Adolf, abbandonato da tutti, tradito da tutti. Meglio che muoiano 10.000 altri piuttosto che la Germania debba perdere lui».

 

Durante il processo Fegelein è ancora ubriaco e dichiara che lui avrebbe reso conto delle sue azioni soltanto a Himmler. Imputato come responsabile di “flagrante diserzione” e “complicità in tradimento”, dopo un dibattito tra i tre ufficiali della Corte sul fatto che Fegelein non fosse al momento nelle giuste condizioni fisiche e mentali per seguire il processo, viene comunque condannato a morte. Alcune fonti dicono che viene ucciso “come un cane” con un colpo alla nuca la sera stessa nel giardino della Cancelleria, altre che si attese l’alba della mattina successiva, il 28 aprile, affinché tornasse sobrio e quindi consapevole dei motivi della condanna.

 

Due giorni dopo, il 30 aprile, Hitler si suicida con un colpo della sua Walther PPK in bocca. Quello sparo mette la parola fine al secondo conflitto mondiale, portandosi dietro una scia immane e interminabile di sangue, una carneficina con oltre 60 milioni di morti fra militari e civili. Una guerra scatenata da un dittatore folle che voleva dominare l’Europa imponendo la dottrina nazionalsocialista, da lui teorizzata nel 1925 nel Mein Kampf e poi dall’ideologo del nazismo Alfred Rosenberg nel 1930, nel trattato Der Mythus des 20 Jahrhunderts (Il mito del XX secolo), dottrina che contemplava tra l’altro la superiorità della razza ariana e la “necessità” di liberare l’Europa dagli ebrei cioè, nelle parole del Führer, renderla “Judenfrei”.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]