N. 60 - Dicembre 2012
(XCI)
urss E CINA NEL
II DOPOGUERRA
LE DIFFICILI RELAZIONI TRA DUE POTENZE COMUNISTE
di Beatrice Carta
La
Russia,
nel
secondo
dopoguerra,
dovette
affrontare
diverse
questioni
legate
alla
conclusione
della
guerra
e
all’evolversi
dello
scenario
internazionale.
Sul
versante
dei
confini
orientali
la
Cina,
un
colosso
di
600
milioni
di
abitanti,
era
notevolmente
indebolita
dall’invasione
giapponese
e
dalla
guerra
civile
che
contrapponeva
nazionalisti
e
comunisti.
L’atteggiamento
della
Russia
nei
confronti
della
Cina
e
del
suo
movimento
comunista
guidato
da
Mao
fu
piuttosto
ambivalente.
Infatti
i
comunisti
russi
in
un
primo
momento
non
appoggiarono
i
comunisti
cinesi.
Nonostante
entrambi
i
partiti
si
ispirassero
agli
stessi
principi,
i
russi
temevano
che
l’emergere
di
un’altra
potenza
comunista
senza
il
loro
aiuto
diretto
avrebbe
potuto
ledere
la
loro
credibilità
e
sicurezza.
Fra
i
due
movimenti
esistevano
anche
delle
differenze:
il
partito
comunista
cinese
aveva
infatti
un
carattere
essenzialmente
contadino
e
militare.
L’URSS
elaborò
una
linea
di
condotta
nei
confronti
della
Cina
che
si
basava
più
su
fredde
valutazioni
strategiche
dell’interesse
nazionale
sovietico
che
su
legami
ideologici.
Stalin
durante
la
Conferenza
di
Yalta
informò
Roosevelt
che
avrebbe
supportato
il
governo
nazionalista
di
Chiang
Kai-Shek.
Il
14
agosto
1945
il
leader
sovietico
firmò
un
trattato
di
amicizia
con
il
Primo
Ministro
cinese
TV
Soong.
L’accordo
stabiliva
il
riconoscimento
del
Kuomintang
come
unico
governo
legittimo
della
Cina
e la
Russia
si
impegnava
a
fornire
al
“governo
legittimo”
aiuti
militari
ed
economici.
In
cambio,
Stalin
ottenne
l’amministrazione
congiunta
del
sistema
ferroviario
della
Manciuria,
il
porto
commerciale
di
Dairen,
il
diritto
di
costruire
una
base
navale
a
Port
Arthur
e
infine
il
riconoscimento
cinese
dell’indipendenza
della
Mongolia
(anche
se
di
fatto
quest’ultima
era
un
satellite
sovietico).
Stalin
suggerì
anche
ai
comunisti
cinesi
di
comporre
i
dissidi
con
i
nazionalisti
e di
tentare
di
entrare
a
far
parte
di
un
governo
di
coalizione
seppur
come
partner
di
minoranza.
Poco
tempo
dopo,
quando
Stalin
dichiarò
guerra
al
Giappone
numerose
truppe
sovietiche
si
riversarono
in
Manciuria.
Da
quel
momento
iniziò
la
“politica
del
doppio
filo”
di
Stalin:
da
una
lato
forniva
armi
ai
comunisti
cinesi,
dall’altro
continuava
a
mantenere
il
suo
appoggio
al
governo
nazionalista.
Secondo
la
logica
staliniana
la
guerra
civile
cinese
non
si
sarebbe
dovuta
concludere
con
la
formazione
di
un
governo
comunista
fuori
dal
controllo
russo.
Stalin
suggerì
a
Mao
di
accettare
la
formazione
di
un’enclave
non
comunista
nella
Cina
Meridionale.
Quest’ultimo
rifiutò
e
riprese
la
“guerra
di
liberazione”.
Tuttavia
quando
fu
chiaro
che
i
comunisti
avrebbero
vinto
la
guerra
civile
si
profilò
un
avvicinamento
fra
le
due
potenze
comuniste.
Il
30
giugno
1949,
in
un
famoso
discorso,
Mao
comunicò
al
mondo
che
la
Cina
si
sarebbe
allineata
con
l’Unione
Sovietica.
Pochi
giorni
dopo
una
delegazione
cinese
partì
per
Mosca.
Stalin,
durante
i
vari
incontri
con
i
delegati
cinesi,
si
dimostrò
favorevole
a
concedere
a
Pechino
la
responsabilità
di
promuovere
il
comunismo
in
Asia;
inoltre
appoggiò
la
formazione
di
un
governo
centrale.
L’1
ottobre
1949
Mao
entrò
trionfalmente
a
Pechino
e
proclamò
la
nascita
della
Repubblica
Popolare
Cinese.
Due
giorni
dopo
l’URSS
tagliò
i
rapporti
con
il
Kuomintang
e
riconobbe
la
Repubblica
Popolare
Cinese.
Mao
e
Stalin
firmarono
un
nuovo
trattato
sino-sovietico
nel
febbraio
1950.
I
russi
si
impegnarono
a
fornire
aiuti
per
la
ricostruzione
della
Cina.
La
nuova
Repubblica
in
cambio
riconobbe
lo
stato
satellite
della
Mongolia,
acconsentì
al
controllo
sovietico
delle
rete
ferroviaria
della
Manciuria
e i
diritti
su
Port
Arthur
e
Port
Diaren.
Mao,
inoltre,
ottenne
la
promessa
sovietica
che
entro
il
1952
i
cinesi
avrebbero
ristabilito
il
controllo
sui
porti.
Nell’ottobre
1954,
poco
più
di
un
anno
dopo
la
morte
di
Stalin,
vennero
riconfermati
gli
impegni
dell’accordo
sino-sovietico
siglato
nel
1950.
Nonostante
le
varie
intese
siglate
in
questi
anni,
le
relazioni
tra
i
due
Paesi
erano
solo
apparentemente
cordiali.
Fra
il
1953
e il
1958
Mao
sostenne
il
progetto
del
“balzo
in
avanti”
che
prevedeva
l’istituzione
di
comuni
popolari.
Il
piano
fallì,
e
tra
l’altro
venne
criticato
dai
sovietici
soprattutto
perché
rappresentava
un
modo
di
edificazione
del
socialismo
differente
da
quello
russo.
Successivamente
alla
crisi
di
Formosa
del
1958
crebbe
la
tensione
tra
i
due
colossi
comunisti.
Da
un
lato
infatti
Chruscev
ipotizzò
un’intesa
con
gli
Stati
Uniti;
dall’altro
lato
invece
Mao
e i
suoi
più
stretti
collaboratori
si
opposero
a
qualsiasi
tipo
di
collaborazione
con
i
paesi
capitalisti.
Il
20
giugno
1959
i
russi
ritirarono
l’offerta
fatta
ai
cinesi
due
anni
prima
di
fornire
modelli
per
la
costruzione
di
un
arsenale
atomico.
Durante
l’estate
del
1959
si
verificarono
incidenti
alla
frontiera
tra
Cina
e
India.
In
Tibet
era
scoppiata
una
rivolta
che
i
cinesi
repressero
duramente.
Il
Dalai
Lama
trovò
protezione
proprio
in
India.
I
russi
risposero
alla
crisi
sino-indiana
concedendo
un
grosso
credito
all’India.
I
rapporti
tra
Cina
e
Russia
furono
ulteriormente
incrinati
dalla
decisione
di
quest’ultima
di
richiamare
i
numerosi
esperti
che
si
trovavano
in
Cina
per
aiutarla
a
costruire
un
moderno
Stato
industriale.
Durante
la
Conferenza
di
Mosca,
che
si
svolse
nel
novembre
1960,
parteciparono
i
leader
di
81
partiti
comunisti
venne
prodotto
un
documento
che
condannava
il
revisionismo
jugoslavo
e il
dogmatismo
(con
un
implicito
riferimento
al
comunismo
cinese).
L’anno
successivo,
in
occasione
del
XXII
Congresso
del
PCUS,
Chruscev
riprese
gli
attacchi
contro
Stalin
e
gli
esponenti
della
“linea
dura”.
Inoltre
criticò
aspramente
i
leader
albanesi.
Il
leader
sovietico,
indirettamente,
criticò
i
leader
cinesi
fautori
di
una
linea
intransigente.
Chou
En-Lai
reagì
criticando
a
sua
volta
i
russi
per
il
modo
in
cui
stavano
affrontando
la
crisi
con
l’Albania.
L’avvicinamento
tra
Cina
e
Albania
fu
coronato
da
un
accordo
siglato
il
13
gennaio
1962.
In
quello
stesso
anno
ripresero
gli
scontri
alla
frontiera
indo-cinese
e
soprattutto
russo-cinese.
Perciò
allo
scontro
ideologico
si
sommò
un’opposizione
di
natura
geopolitica.
Dopo
l’ascesa
di
Breznev
ripresero
gli
scontri
nell’area
compresa
tra
la
provincia
esterna
dello
Sinkiang
e
l’URSS.
Si
riaprì
la
ferita
dei
“trattati
ineguali”
del
XIX
secolo
in
base
ai
quali
i
russi
si
erano
appropriati
ingiustamente
di
gran
parte
dei
territori
delle
province
sovietiche
del
Kazakistan,
Kirghisistan
e
Tagikistan.
Mao
a
quel
punto
cercò
appoggio
all’interno
del
mondo
comunista
e
fra
i
movimenti
rivoluzionari
del
Terzo
Mondo.
Tuttavia
i
vari
movimenti
comunisti,
pur
disillusi
dal
sistema
sovietico
riaffermarono
la
loro
fedeltà
all’URSS.
Nel
1969
scoppiò
una
vera
e
propria
guerra
al
confine
tra
Russia
e
Cina:
gli
Stati
Uniti
ne
approfittarono
per
inserirsi
nel
contrasto
e
per
far
assumere
all’URSS
un
atteggiamento
più
conciliante
riguardo
la
distensione
politica
in
Europa.
Il
riavvicinamento
tra
USA
e
Cina
ebbe
anche
un’altra
conseguenza:
l’inizio
della
“distensione”
di
quest’ultima
con
la
Russia.
Il
nuovo
segretario
del
PCUS
Michail
Gorbaciov
per
dimostrare
le
sue
buone
intenzioni
nei
confronti
della
Cina
le
concesse
un
ingente
prestito
e
annunciò
che
avrebbe
diminuito
il
numero
di
effettivi
alla
frontiera.
Su
numerose
questioni
tuttavia
non
fu
possibile
ricomporre
il
contrasto:
ad
esempio
fu
impossibile
raggiungere
un
accordo
sul
sostegno
cinese
ai
Khmer
rossi
in
Cambogia
e
sull’appoggio
sovietico
al
Vietnam.
Inoltre
fu
impossibile
raggiungere
ulteriori
accordi
perché
nel
1989
la
Cina
stava
attraversando
un
periodo
di
crisi
e
rivolte
interne.