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ANTICA


N. 106 - Ottobre 2016 (CXXXVII)

Le rane nelle Rane
Un problema drammaturgico in Aristofane

di Paola Scollo

 

Il coro delle rane nelle Rane presenta notevoli problemi interpretativi che appassionano e dividono la critica. Per quale motivo Aristofane propone un coro di rane e con quale funzione nell’economia della narrazione? Perché la commedia deriva il suo titolo da un episodio apparentemente secondario? Per quale ragione Aristofane ha composto una commedia con un doppio coro? Quali rapporti troviamo tra il coro delle rane e quello degli iniziati? Il coro delle rane è un correttivo burlesco del serioso coro principale oppure contiene elementi di parodia letteraria, in linea con il tema principale della commedia? Questi sono solamente alcuni dei quesiti fondamentali che il segmento di commedia che mi accingo ad analizzare propone (209 - 267).

 

Quesiti che non sempre consentono una risposta definitiva. Di particolare interesse è poi un problema di drammaturgia: la presenza e la visibilità delle rane. In altre parole, le rane erano visibili agli spettatori? Sin dall’antichità, la critica sosteneva la tesi della non visibilità. E gli argomenti per questa opinione non mancavano di certo: la non visibilità delle rane in natura; l’esistenza di un altro coro, quello principale, degli iniziati; l’eccessiva spesa economica per l’allestimento di un secondo coro; l’assenza di riferimenti, all’interno del testo, ai costumi e al numero delle rane, ai loro movimenti, alla loro disposizione.

 

Recentemente, però, è stata spesso avanzata l’ipotesi opposta, ovvero quella della visibilità delle rane. Anche in questo caso con motivazioni concrete: la difficoltà di ricezione per il pubblico di un canto eseguito da dietro la skene; vesti logore per i costumi del coro principale quale compromesso di spesa; desiderio della messa in scena di un coro animalesco; l’episodio di Empusa quale tempo per cambiare abito e vestire i panni degli iniziati. Qualsiasi tentativo di approccio al problema si rivela opera di ampio respiro sia perché ci si trova di fronte a una elevata quantità di elaborazioni e di interpretazioni, spesso contrastanti, sia perché il problema è con ogni evidenza in rapporto con altri. Alla luce di queste considerazioni, l’analisi drammaturgica richiede, in parallelo, una riflessione sulla funzione del coro in Aristofane.

 

La maggior parte delle commedie di Aristofane riceve il titolo dal nome del coro. Questo dato non può essere trascurato, in quanto espressione dell’importanza che le parti corali assumono nelle commedie di Aristofane e, più in generale, nella commedia antica. Nella ripartizione strutturale della commedia, l’ingresso del coro segue il prologo e viene indicato con il termine di parodo, per analogia al dramma tragico. Rispetto alla tragedia, la parodo comica appare maggiormente legata agli episodi successivi: entrando in scena, il coro offre nuovi stimoli per l’evoluzione del dramma.

 

Per alcuni critici la parodo indica esclusivamente l’ingresso del coro. Di contro, Zimmermann tende a includere nella parodo anche il primo scambio di battute tra coro e attori. Più precisamente, indicherebbe il momento in cui il coro, partecipe dell’azione, rimane sullo sfondo e lascia l’iniziativa agli attori. Ciò è particolarmente evidente nelle commedie di Aristofane in cui l’ingresso del coro è seguito da una scena di battaglia, come negli Acarnesi, nelle Vespe e negli Uccelli.

 

Un’attenta analisi delle undici commedie di Aristofane pervenuteci rivela che la parodo riveste di volta in volta funzioni diverse, per cui ogni tentativo di classificazione appare una forzatura. Inoltre, l’ingresso del coro è di solito preannunciato da descrizioni e/o previsioni di uno o più attori per accrescere le attese del pubblico e di delineare l’atteggiamento dei coreuti nei confronti dei personaggi. Una chiara testimonianza giunge proprio dalle Rane. L’ingresso degli iniziati è preceduto dalla ricca descrizione di Eracle, che riferisce di suoni di flauti, di una luce bellissima, di boschetti di mirti, di tiasi beati (154 - 157). In seguito, l’ingresso delle rane è preannunciato da Caronte (205 – 207). Occorre in ogni caso segnalare alcune eccezioni: negli Uccelli la presentazione del coro da parte degli attori coincide con l’ingresso dei coreuti (268 - 309).

 

L’importanza del coro nel dramma va colta, anzitutto, in rapporto all’atteggiamento nei confronti del primo attore. Il coro può supportare il protagonista oppure assumere un atteggiamento ostile. Nelle più antiche commedie di Aristofane il rapporto tra coro e protagonista è per lo più conflittuale. A ben vedere, questa peculiarità è riscontrabile anche nel duetto lirico tra le rane e Dioniso: alle rane è affidato l’attacco; di contro, Dioniso cerca a tutti i costi di far tacere il coro. L’ostilità tra coro e protagonista è destinata a risolversi in due momenti specifici della commedia: parabasi ed esodo. E non casualmente. La parabasi rappresenta l’anima delle commedie di Aristofane: la scena rimane priva di attori e la finzione drammatica viene momentaneamente sospesa, mentre il coro si esprime in prima persona, discutendo argomenti politici, sociali, culturali, con polemico riferimento all’attualità. Di conseguenza si capovolge il tradizionale processo mimetico in base al quale l’autore abbandona la propria identità per assumere quella dei personaggi portati in scena. Nella parabasi è viva la dimensione metateatrale che è sia critica del reale sia critica letteraria.

 

Dall’analisi della produzione di Aristofane emerge un’evoluzione della funzione del coro: è stata, infatti, osservata nelle commedie anteriori al 411 la predominanza del primo attore sul coro. In seguito sembrerebbe che il coro abbia assunto semplicemente un ruolo di spalla, per effetto della riduzione di importanza del protagonista. Ma realmente il 411 rappresenta una svolta nell’attività drammaturgica di Aristofane?

 

Va da sé che si tratta di un momento di grande inquietudine per Atene, un periodo di profonde incertezze e di instabilità politica. Di lì a poco si susseguono quattro forme di governo: all’antica democrazia subentra il regime oligarchico dei Quattrocento, subito sostituito dalla costituzione dei Cinquemila cittadini a sua volta soppressa nel 410 dal regime democratico del Consiglio dei Cinquecento. Tale situazione socio - politica ha considerevoli ripercussioni in campo letterario.

 

Aristofane si mostra sempre più proiettato verso la commedia nuova, privilegiando l’ideale a scapito del reale. Di qui il ridimensionamento o, addirittura, la scomparsa della satira politica e la presenza di toni più disimpegnati e/o favolistici. A livello strutturale, va segnalato poi il declino della parabasi, destinata a scomparire del tutto. Una efficace conferma giunge dalle Ecclesiazuse del 392 e dal Pluto del 388. Fra le commedie successive al 411 le Rane rappresentano un’eccezione. Qui la riflessione letteraria procede in parallelo con il riferimento alla situazione politica e intellettuale. Nonostante sia ambientata soprattutto nell’Ade, la commedia rimane ancorata alla realtà: l’oltretomba viene immaginato come fedele riproduzione della vita quotidiana.

 

La scena del duetto tra Dioniso e le rane è stata sempre considerata secondaria nel contesto della commedia per la ridotta estensione, per l’esistenza di un altro coro, quello principale, degli iniziati. Gli scoliasti hanno sostenuto la tesi della non visibilità delle rane, tesi che si è imposta per molto tempo e che è stata ripresa anche da Russo e da Reckford.

 

In effetti, i dati di cui disponiamo sono orientati, almeno apparentemente, verso la non visibilità delle rane. Bisogna comunque ricordare che le osservazioni e le scoperte più interessanti vengono fatte là dove tutto sembra chiaro e definitivamente acquisito, dove nessuno getta più uno sguardo oppure avanza un’ipotesi di dubbio. Recentemente la critica ha spesso avanzato l’ipotesi della visibilità delle rane, con argomentazioni, talvolta, molto suggestive. In un orizzonte così vasto di interpretazioni, più o meno plausibili, è arduo fornire una risposta soddisfacente e, soprattutto, definitiva al problema di drammaturgia. Tuttavia, è doveroso avanzarne almeno una. La tesi dei canti corali retroscenici presuppone il ruolo evocativo della parola, in grado di sollecitare l’immaginazione degli spettatori. Peraltro, l’uso dello spazio retroscenico è frequente soprattutto in tragedia: retroscenici sono gli atti che i poeti vogliono nascondere alla vista degli spettatori. In ogni caso, la dimensione visiva è componente essenziale della rappresentazione teatrale: quello che viene presentato sulla scena è l’intero quadro di una civiltà, come riflessa in uno specchio.

 

La presenza e la visibilità delle rane nelle Rane non solo rappresenterebbe un’ulteriore conferma delle straordinarie qualità poetiche e drammaturgiche di Aristofane, ma restituirebbe al coro la dignità e il valore che per molto tempo gli sono stati negati. Oggi, nessun regista rinuncerebbe a un variopinto, festoso coro di rane che saltano e gracidano nella palude infernale tra innumerevoli bolle d’aria, schernendo e infastidendo Dioniso.

 

L’impatto visivo di un coro di rane è un elemento scenico di assoluta eccezionalità. Per quale motivo Aristofane avrebbe dovuto rinunciare al suo coro di rane? La decisione di comporre una commedia con un doppio coro e la scelta del titolo Rane testimoniano l’importanza che Aristofane aveva voluto attribuire al coro. Un’importanza che verrebbe messa in discussione dalla non visibilità delle rane. Come è stato rilevato, l’ambiguità è componente delle Rane e trova giustificazione nell’instabilità sociale, politica e culturale di Atene alla fine del V secolo. La commedia, in quanto specchio dei tempi, non può non riflettere la situazione, manifestando difficoltà a fissare la realtà. In tal senso, si potrebbe concludere che Aristofane abbia desiderato lasciare nel dubbio i lettori.



 

 

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