Molte cose sono state
dette sull’Iran e sulla sua responsabilità
nell’aumentare le probabilità di un conflitto
mondiale. Si è detto che la strategia del suo
presidente risponda ad un’esigenza di visibilità a
livello internazionale, esigenza che si esprime
nella volontà di porsi come interlocutore di primo
piano, al pari degli Stati Uniti.
Ciò che purtroppo non
viene detto, o perlomeno non trova lo spazio che
meriterebbe, sono le motivazioni oggettive di tale
comportamento. Ragioni molto note alla comunità
internazionale, ma alle quali si fa sovente
riferimento solo in modo velato.
Vediamo allora di
analizzarle brevemente.
Ogni 5 anni il
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si
riunisce per rivedere il “trattato di non
proliferazione”; nel 2000 erano stati evidenziati e
approvati all’unanimità 13 punti da rispettare per
proseguire sulla strada del disarmo nucleare; nel
2005 l’amministrazione Bush respinse unilateralmente
alcuni di questi articoli, già precedentemente
sconfessati, ritenendo che gli obiettivi del disarmo
potessero ugualmente essere conseguiti.
E’ interessante
sottolineare come il trattato del 2000 di fatto
fosse molto più severo del precedente; il New York
Times, aveva incentrato il focus sulla richiesta
degli Stati Uniti di prendere seri provvedimenti
contro l’Iran, richiesta che prevedeva lo
smantellamento di tutti gli impianti nucleari
costruiti negli ultimi vent’anni. Ciò era dovuto al
fatto che la Casa Bianca guardava con timore ad una
possibile ripresa del programma nucleare, atto a
guadagnare il favore della popolazione iraniana, in
vista delle elezioni presidenziali.
L’espressione “ultimi
vent’anni” non fu detta a caso ed emblematiche sono
in tal senso le parole di Kissinger. Fra il ’53 e il
’79, quando ancora era al potere lo scià, gli Stati
Uniti ritenevano che l’introduzione dell’energia
nucleare sarebbe andata incontro alle esigenze
dell’economia e che avrebbe portato alla liberazione
di una parte delle riserve petrolifere. Non solo.
Nelle migliori università statunitensi si
organizzarono corsi di formazione per ingegneri
nucleari iraniani. Sempre per bocca dello stesso
Kissinger gli Stati Uniti sosterranno, in seguito
alla rivoluzione di Khomeini, l’assurdità, per un
paese petrolifero, di dotarsi di un programma
nucleare. E a tutti coloro che fanno notare questa
palese contraddizione, tutt’oggi, Kissinger
risponde, con una franchezza invidiabile: “L’Iran
ERA uno paese alleato”.
A partire dal 2000,
anche se non mancano numerosi precedenti, Washington
respinse i principali trattati atti ad impedire la
“corsa agli armamenti” e la gestione e il
monitoraggio internazionali riguardo la produzione
di materiale fissile. Non c’è da stupirsi quindi se
la revisione del Tnp del 2005 fu un fallimento, i
cui principali imputati furono Iran ed Egitto.
Se è certamente vero
che l’Iran insistette, fra l’altro su un suo diritto
riconosciuto dal Tnp, per continuare i programmi che
gli Usa avevano finanziato durante la monarchia
dello scià, mentre l’Egitto portò coraggiosamente
sul tavolo della discussione, la problematica delle
armi nucleari di Israele, ciò che è stato taciuto, è
il fatto che i due paesi si erano limitati a
chiedere che fosse rispettato il trattato del 1995,
in base al quale “ in cambio di un’accettazione
illimitata del Tnp, l’Egitto e altri stati arabi
avrebbero avuto la garanzia che si sarebbe attirata
l’attenzione sulla condizione anomala di Israele,
stato nucleare di fatto, che non aveva firmato il
Tnp e non soggetto ad alcun controllo”. Risoluzione
487 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
che Israele, in quanto alleato degli Stati Uniti, e
che viene rifornito dagli stessi di armi nucleari di
ultima generazione, non si sente tenuto a
rispettare. Perché allora altri paesi dovrebbero
osservare il Tnp?
L’Iran rimane
certamente una democrazia i cui valori non sono
assolutamente condivisibili dall’Occidente, ma al
presidente Ahmadineyad si deve riconoscere il
coraggio di aver sfidato la superpotenza per
eccellenza, mettendone a nudo le ipocrisie, quando
essa pretende di essere il paladino della giustizia.
Vorrei terminare con
alcune frasi che il presidente Bush pronunciò
all’anniversario dell’attacco terroristico al World
Trade Center:
“ La nostra è la
causa della dignità umana: la libertà guidata dalla
coscienza e preservata dalla pace. Questo ideale
dell’America è la speranza di tutto il genere umano,
la speranza che ha condotto milioni di esseri umani
a questo porto, e che ancora illumina la nostra via:
la luce che brilla nelle tenebre. E le tenebre non
prevarranno su essa”. (Emilio Gentile)
God
bless America!
Riferimenti
bibliografici:
Noam
Chomsky, Stati falliti - abuso di potere e assalto
alla democrazia in America –
Emilio
Gentile, La democrazia di Dio – la religione
americana nell’era dell’impero e del terrore - pag.
140