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N. 30 - Novembre 2007

LE RAGIONI DELL’IRAN

Non vedo non sento non parlo

di Giulia Pegoraro

 

Molte cose sono state dette sull’Iran e sulla sua responsabilità nell’aumentare le probabilità di un conflitto mondiale. Si è detto che la strategia del suo presidente risponda ad un’esigenza di visibilità a livello internazionale, esigenza che si esprime nella volontà di porsi come interlocutore di primo piano, al pari degli Stati Uniti.

 

Ciò che purtroppo non viene detto, o perlomeno non trova lo spazio che meriterebbe, sono le motivazioni oggettive di tale comportamento. Ragioni molto note alla comunità internazionale, ma alle quali si fa sovente riferimento solo in modo velato.

 

Vediamo allora di analizzarle brevemente.

 

Ogni 5 anni il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riunisce per rivedere il “trattato di non proliferazione”; nel 2000 erano stati evidenziati e approvati all’unanimità 13 punti da rispettare  per proseguire sulla strada del disarmo nucleare; nel 2005 l’amministrazione Bush respinse unilateralmente alcuni di questi articoli, già precedentemente sconfessati, ritenendo che gli obiettivi del disarmo potessero ugualmente essere conseguiti.

 

E’ interessante sottolineare come il trattato del 2000 di fatto fosse molto più severo del precedente; il New York Times, aveva incentrato il focus sulla richiesta degli Stati Uniti di prendere seri provvedimenti contro l’Iran, richiesta che prevedeva lo smantellamento di tutti gli impianti nucleari costruiti negli ultimi vent’anni. Ciò era dovuto al fatto che la Casa Bianca guardava con timore ad una possibile ripresa del programma nucleare, atto a guadagnare il favore della popolazione iraniana, in vista delle elezioni presidenziali.

 

L’espressione “ultimi vent’anni” non fu detta a caso ed emblematiche sono in tal senso le parole di Kissinger. Fra il ’53 e il ’79, quando ancora era al potere lo scià, gli Stati Uniti ritenevano che l’introduzione dell’energia nucleare sarebbe andata incontro alle esigenze  dell’economia e che avrebbe portato alla liberazione di una parte delle riserve petrolifere. Non solo. Nelle migliori università statunitensi si organizzarono corsi di formazione per ingegneri nucleari iraniani. Sempre per bocca dello stesso Kissinger gli Stati Uniti sosterranno, in seguito alla rivoluzione di Khomeini, l’assurdità, per un paese petrolifero, di dotarsi di un programma nucleare. E a tutti coloro che fanno notare questa palese contraddizione, tutt’oggi, Kissinger risponde, con una franchezza invidiabile: “L’Iran ERA uno paese alleato”.

 

A partire dal 2000, anche se non mancano numerosi precedenti, Washington respinse i principali trattati atti ad impedire la “corsa agli armamenti” e la gestione e il monitoraggio internazionali riguardo la produzione di materiale fissile. Non c’è da stupirsi quindi se la revisione del Tnp del 2005 fu un fallimento, i cui principali imputati furono Iran ed Egitto.

 

Se è certamente vero che l’Iran insistette, fra l’altro su un suo diritto riconosciuto dal Tnp, per continuare i programmi che gli Usa avevano finanziato durante la monarchia dello scià, mentre l’Egitto portò coraggiosamente sul tavolo della discussione, la problematica delle armi nucleari di Israele, ciò che è stato taciuto, è il fatto che i due paesi si erano limitati a chiedere che fosse rispettato il trattato del 1995, in base al quale “ in cambio di un’accettazione illimitata del Tnp, l’Egitto e altri stati arabi avrebbero avuto la garanzia che si sarebbe attirata l’attenzione sulla condizione anomala di Israele, stato nucleare di fatto, che non aveva firmato il Tnp e non soggetto ad alcun controllo”. Risoluzione 487 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che Israele, in quanto alleato degli Stati Uniti, e che viene rifornito dagli stessi di armi nucleari di ultima generazione, non si sente tenuto a rispettare. Perché allora altri paesi dovrebbero osservare il Tnp?

 

 L’Iran rimane certamente una democrazia i cui valori non sono assolutamente condivisibili dall’Occidente, ma al presidente Ahmadineyad si deve riconoscere il coraggio di aver sfidato la superpotenza per eccellenza, mettendone a nudo le ipocrisie, quando essa pretende di essere il paladino della giustizia.

 

Vorrei terminare con alcune frasi che il presidente Bush pronunciò all’anniversario dell’attacco terroristico al World Trade Center:

 

“ La nostra è la causa della dignità umana: la libertà guidata dalla coscienza e preservata dalla pace. Questo ideale dell’America è la speranza di tutto il genere umano, la speranza che ha condotto milioni di esseri umani a questo porto, e che ancora illumina la nostra via: la luce che brilla nelle tenebre. E le tenebre non prevarranno su essa”. (Emilio Gentile)

 

God bless America!

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Noam Chomsky,  Stati falliti -  abuso di potere e assalto alla democrazia in America –

Emilio Gentile, La democrazia di Dio – la religione americana nell’era dell’impero e del terrore -  pag. 140

 

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