N. 18 - Novembre 2006
EUROPA
Quali radici?
di
Arturo
Capasso
S’è placata la polemica
sulla Costituzione europea e sul mancato richiamo alle
radici cristiane; le reazioni sono state molteplici,
variegate.
Ma, forse, le due più importanti sarebbero dovute
venire da due Paesi: Grecia e Italia. Questi due Paesi
sono stati, infatti, la culla dell’Europa, prima,
molto prima del cristianesimo e del cattolicesimo.
La Grecia nell’arte, nella letteratura, nelle scienze
e nella filosofia ha creato la civiltà europea e ha
posto le basi per l’Impero Romano e l’Europa
medievale. Roma ha dato una spinta a una costruzione
completa, con la lingua, le strade, il diritto,
l’unità politica.
Più avanti mi fermerò sull’Europa laica del
grandissimo Federico II di Svevia. Ma ora desidero
ricordare la mia esperienza da cittadino europeo.
La prima volta che mi sono trovato fuori d’Italia è
avvenuta quando avevo dodici anni. Vi arrivai , è il
caso di dire, a piedi, verso San Candido. Provai una
certa emozione a lasciare il territorio italiano: la
bandiera splendeva sul fondo d’un prato verde.
Ero in Austria. Solo pochi minuti, ma anch’io potevo
dire d’essere stato all’estero.
Poi cominciai a viaggiare in autostop, in bicicletta,
in treno. Feci il giardiniere in Inghilterra e il
lavapentole in Svezia. Era bello stare con giovani che
venivano dalla Germania (Norimberga, Stoccarda,
Francoforte erano ancora un ammasso di macerie, ma già
c’era l’ansia di ricostruire, riprendere il cammino
interrotto, anzi rotto da un destino crudele),
Francia, Svizzera, Stati Uniti, Giappone.
Fu nel 1957 a Mosca, dove si svolgeva il VII Festival
Mondiale della Gioventù, che vissi con entusiasmo
l’esperienze di cittadino del mondo. Ungheresi,
polacchi, greci, africani, indiani, migliaia e
migliaia di mani tese a salutare i sovietici, che non
avevano mai visto tanta gente pronta a parlare,
cantare, ballare, ad abbracciarsi. Un trionfo di
colori e calore.
Il viaggio di ritorno durò cinque giorni di treno. Ad
ogni stazione c’erano ragazzi ad attenderci, a darci
mazzi di fiori di campo.
I loro sguardi erano dolci, accattivanti, a volte
malinconici. Tornai a Mosca e vi rimasi un anno
accademico.
Non ho mai pensato - da quell’osservatorio - alla
possibilità di una grande Europa. Il motivo era
piuttosto semplice: i giovani che vi affluivano da
ogni parte del mondo davano (e avevano) l’idea di
trovarsi al centro di un grosso impero, sotto la
stella del Cremlino.
Tempo fa sono stato per un convegno a Otranto. È una
piccola città alla punta del “tacco” della nostra
penisola. Quando seppi che l’incontro sarebbe avvenuto
in quel piccolo centro, rimasi piuttosto sorpreso:
c’era bisogno di andare laggiù?
Ebbene, la gente cordiale, il clima mite e la bellezza
del luogo mi fecero ben presto ricredere: gli
organizzatori avevano visto giusto. Ma, soprattutto,
fui contento per aver visto qualcosa di grande
importanza. Visitai la Cattedrale, dove c’è un mosaico
vecchio di nove secoli: vi è rappresentato l’albero
della vita.
In quel mosaico appaiono tutte le religioni monoteiste
e i vari rami della chiesa cattolica. Siamo davanti a
un ecumenismo ante-litteram.
Avevano capito che bisogna tener conto delle altre
espressioni di pensieri, che la comprensione e la
tolleranza sono un cemento eccezionale fra popoli di
storia diversa. Ad Otranto si potevano studiare
gratuitamente il greco e il latino, quando ormai le
due concezioni cristiane si divaricavano sempre più.
Le nostre radici partono da lontano, come abbiamo
visto. Ma esse ci uniscono. Il Medio Evo non è stato
forse un momento europeo? Le nostre piazze, i nostri
monumenti, i quadri delle più belle gallerie non
denotano un patrimonio comune?
Vorrei considerare due aspetti della nostra vita, del
nostro mondo spirituale: la musica e la letteratura.
Come siamo cresciuti, con chi siamo cresciuti.
Il primo scrittore che m’ha preso per mano, che m’ha
fatto indignare, sognare, pensare: Fjodor Dostojevskij.
Tanti anni fa, quando sono stato a Leningrado, ho
sentito un grande dovere: andare al cimitero degli
uomini illustri e fermarmi davanti al monumento del
grande scrittore. C’è sulla sua lapide un pensiero di
San Giovanni: “In verità in verità vi dico: se il seme
muore, produce un frutto abbondante”. La catarsi della
vita, la morte che genera la vita.
Ho accennato a Dostojevskij, ma come non ricordare
Tolstoi, Gogol, Gorkij? Ognuno ci ha insegnato
qualcosa, è rimasto impresso nel nostro profondo io.
E la musica. Quelle note che ci accompagnano e che ci
danno ore di intensa commozione, e che a volte
riescono ad astrarci dalla futile e pesante vita di
tutti i giorni?
Non v’è mai capitato di tuffarvi con tutte le vostre
energie in una Sinfonia di Beethoven e Ciajkovskij?
Ecco le nostre radici profondissime e magnifiche.
A sera, quando le televisioni pubbliche e private
fanno a gara a captare la nostra attenzione, cosa c’è
di meglio che ascoltare delle note ormai amiche,
leggere un buon libro, che ci riporta a un mondo
ancora pieno di fantasia? Siamo - per fortuna - ancora
dei romantici, dei maledetti romantici, ma che trovano
così l’ubi consistam del proprio essere.
Ma non possiamo dimenticare l’Europa “laica” di
Federico II. Fu quello che gl’Inglesi chiamano
“forerunner” che solitamente si traduce in “pioniere”,
ma sarebbe meglio trovare un altro termine: uno che
corre avanti. Che corre. E lui precorse i tempi.
Nacque a Jesi il 26 ottobre 1194 da Enrico VI e
Costanza d’Altavilla. A soli tre anni fu coronato re a
Palermo. Con l’appoggio d’Innocenzo III si riappropriò
dei suoi diritti e fu coronato imperatore. Quando
tornò nel suo regno di Sicilia, si trovò a dover
combattere su due fronti: da una parte i feudatari, ai
quali tolse i privilegi, e dall’altra i Saraceni che
esiliò a Lucera.
Non volle andare alla Crociata e il papa Gregorio IX
lo scomunicò. Ma lui dimostrò di aver ragione;
infatti, il 16 dicembre 1229 raggiunse un accordo col
Sultano Al Kamil. L’amicizia ed i comuni interessi
culturali fra i due sancirono una coesistenza
pacifica. Nel 1224 fondava l’Università di Napoli, la
prima struttura “laica” d’Italia.
Un uomo d’interessi molteplici: dalla letteratura alle
scienze, dall’astrologia alla filosofia. Pose quesiti
teologici e filosofici ai maggiori esponenti
musulmani. Conosceva il latino, il volgare, il
francese, il tedesco, il greco e l’arabo.
Altre due annotazioni: nel 1230 fece tradurre a Napoli
dall’arabo in latino l’Almagesto di Claudio Tolomeo.
L’opera era stata tradotta dal greco in arabo nell’827
a Bagdad. L’Almagesto rimane il primo completo
trattato d’astronomia.
La seconda annotazione riguarda Castel del Monte.
Sorge su un colle tra Andria e Corato, ha base
ottagonale, con torrioni della stessa forma su ogni
spigolo. Ci siamo sempre chiesti quale valore
esoterico conservasse quest’opera voluta da Federico
II. Nel volume III di Storia dei popoli dell’Islam di
Sergio Noja a pag. 110 ho trovato forse la
spiegazione.
Siamo a Samarcanda. “Il visitatore...verrebbe
condotto...a salire su una collinetta...Qui verrebbe
portato a visitare un edificio ottagonale...che segna
il luogo ove sorgeva il gigantesco osservatorio...voluto
da questo sovrano timùride, nipote di Tamerlano, un
osservatorio voluto ai suoi tempi unico al mondo”.
Federico II conosceva l’arabo, amava l’astronomia...
In
conclusione, l’Europa lancia una sfida.È una sfida che
si basa su tradizioni millenarie, su culture
stratificate e granitificate, sofferte e vissute.
Non vorrei essere paradossale, ma anche i gulag e i
lager sono patrimonio europeo, sono nostro sangue
versato copiosamente. È una sfida basata sulla
civiltà. E, perciò, sul buon senso. |