N. 74 - Febbraio 2014
(CV)
Rabisu
Il demone di Caino
di Silvia Mangano
“Il
Signore
disse
allora
a
Caino:
‘Perché
sei
irritato
e
perché
è
abbattuto
il
tuo
volto?
Se
agisci
bene,
non
dovrai
forse
tenerlo
alto?
Ma
se
non
agisci
bene,
il
peccato
è un
accovacciato
alla
tua
porta;
verso
di
te è
il
suo
istinto,
ma
tu dòminalo’”
(Gen
4:6-7).
Per
la
prima
volta
nel
racconto
biblico
viene
nominata
la
parola
“peccato”
e
viene
definita
come
un
“accovacciato
alla
tua
porta”.
Lungi
dall’essere
un
espediente
letterario,
la
similitudine
utilizzata
dal
redattore
di
questo
capitolo
affonda
le
sue
radici
nelle
credenze
dell’antica
religione
mesopotamica.
Dobbiamo
tenere
presente
che
l’Antico
Testamento
è il
risultato
di
un
lunghissimo
processo
di
stratificazione
di
diverse
tradizioni,
le
quali
hanno
differenti
autori
e
appartengono
a
differenti
epoche:
l’arco
temporale
oscilla
tra
il X
sec.
a.C.,
per
la
più
antica,
fino
al VI
sec.
a.C.,
per
la
più
recente.
Nel
XIX
secolo,
lo
studioso
Wellhausen
e la
cosiddetta
“scuola
scandinava”
si
dedicarono
allo
studio
del
Pentateuco,
giungendo
a
risultati
che
potevano
considerarsi
a
dir
poco
rivoluzionari
per
l’epoca:
prima
di
tutto,
fu
scartata
una
volta
per
tutte
la
tesi
che
Mosè
avesse
scritto
l’intero
Pentateuco
(attuale);
in
secondo
luogo,
venne
provato
che
esso
era
frutto
di
un
complesso
lavoro
di
collage
di
varie
tradizioni;
infine,
vennero
individuate
quattro
fonti
principali
(o
tradizioni)
da
cui
era
partita
la
rielaborazione
conclusasi
definitivamente
nel
V
sec.
(a.C.).
Ogni
fonte/tradizione
(fonte
Javista,
fonte
Eloista,
fonte
Deuteronimista,
fonte
Sacerdotale)
ha
caratteristiche,
linguistiche
o
concettuali,
che
la
differenziano
dalle
altre.
Ciò
nonostante,
è
tutt’ora
difficile
riconoscere
un
“marchio
stilistico”
che
renda
i
biblisti
in
grado
di
inquadrare
alcuni
passi
in
una
specifica
fonte.
Il
testo
preso
in
esame
all’inizio
dell’articolo
utilizza
sicuramente
materiale
molto
antico:
ciò
ne
rende
difficile
la
traduzione
e
affascinante
l’interpretazione.
Se
si
consulta
la
Bibbia
di
Gerusalemme,
si
troverà
come
nota
a Gen
4:7
questa
considerazione:
“BJ
(Bible
de
Jèrusalem,
NdA)
traduce:
‘Se
tu
sei
ben
disposto,
non
rialzerai
la
testa?
Ma
se
tu
non
sei
ben
disposto,
il
peccato
è
alla
porta,
una
belva
accovacciata
che
ti
brama,
potrai
dominarlo?’.
Traduzione
approssimativa
di
un
testo
corrotto.
Lett.:
‘Non
è
forse
che,
se
tu
agisci
bene,
elevazione,
e se
tu
non
agisci
bene,
alla
tua
porta
il
peccato
(fem.)
è
accovacciato
(mas.)
e
verso
di
te
la
sua
brama
e tu
lo
dominerai’.
Il
testo
sembra
descrivere
la
tentazione
che
minaccia
un’anima
mal
disposta”.
Prescindendo
dall’ultima
considerazione
di
carattere
interpretativo,
ci
accorgiamo
della
complessità
del
passo.
La
parola
con
cui
viene
espresso
il
participio
(“accovacciato”)
è
robes,
che
ricorda
il
termine
rabisu,
di
origine
mesopotamica.
Il
rabisu
era
il
nome
di
un
demone
della
religione
mesopotamica
dall’aspetto
e
dal
carattere
molto
inquietante.
Nelle
fonti,
il
mostro
viene
descritto
come
una
piccola
creaturina
accovacciata
fuori
dall’uscio,
in
attesa
che
qualcuno
apra
la
porta
per
diventare
gigantesca
e
stritolare
il
malcapitato
nella
sua
stretta.
Secondo
Pamela
Barmash
(autrice
del
testo
Homicide
in
the
Biblical
World),
la
parola
accadica
rabisu
era
originariamente
riferita
a un
ufficiale
giudiziario
e di
riflesso
venne
poi
applicata
alle
divinità,
per
il
loro
ruolo
di
giudici
che
idealmente
svolgevano
nei
confronti
delle
anime
colpevoli.
Fu
solo
in
un
terzo
tempo
che
il
termine
rabisu
venne
demonizzato
e
utilizzato
per
descrivere
un
mostro
dalla
doppia
natura
(positiva
e
negativa),
raffigurato
sulle
porte
delle
case
per
esercitare
un
influsso
apotropaico
sui
propri
nemici.
Quando
gli
ebrei
entrarono
a
contatto
con
la
religione
accadica,
ne
assimilarono
probabilmente
anche
la
loro
cultura,
fino
a
utilizzarne
un
demone
per
descrivere
la
rappresentazione
del
peccato,
o –
meglio
– ne
rappresenta
dinamicamente
le
tre
fasi
(tentazione,
peccato
e
conseguenza).
A
ogni
modo,
bisogna
tenere
presente
che
il
rabisu
non
viene
acquisito
dall’albo
della
demonologia
accadica
come
un’entità
vera
e
propria,
ma
piuttosto
come
simbolo.
Nell’immaginario
veterotestamentario,
il
demone
nascosto
dietro
alla
soglia
semiaperta
rappresenta
la
tentazione
che
si
cela
in
fondo
al
cuore
di
ogni
creatura,
che
nel
momento
della
prova
si
trova
a
scegliere
se
chiudere
la
porta
o
spalancarla.
La
sensibilità
biblica
non
può
essere
più
chiara
per
correggere
il
tipico
pensiero
umano
di
poter
controllare
o
tenere
sotto
scacco
la
tentazione:
“l’accovacciato”
sembra
minuto
e
domabile
finché
non
lo
si
lascia
entrare,
dopodiché
si
trasforma
in
un’enorme
bestia
impossibile
da
tenere
sotto
controllo.
Toccando
livelli
antropologici
eccezionali,
il
redattore
immagina
Dio,
assiso
sul
trono,
che
vede
Caino,
frustrato
e
umiliato
dalla
prova
a
cui
è
sottoposto,
e
gli
va
incontro
per
aiutarlo
a
sostenere
la
tentazione.
La
prova
fa
parte
della
vita
di
ognuno,
ma
non
volendo
il
fallimento
dell’uomo
(a
cui
comunque
non
si
oppone
per
rispettare
il
libero
arbitrio),
Dio
interviene
per
sostenerlo:
l’unico
modo
per
superare
l’ostacolo
del
peccato
è
quello
di
non
schiudere
la
porta
alla
seduzione
del
male,
dietro
cui
si
nasconde
la
belva.
Al
racconto
si
aggiunge
un
particolare
in
più,
un’esortazione
finale:
“verso
di
te è
rivolta
la
sua
brama,
ma
tu
dòminalo”.
L’appendice
al
discorso
di
Dio
è
inquadrabile
solo
in
un’ottica
giudaico-cristiana
e
solo
grazie
a
questa
visione
si
può
dare
un
senso
all’utilizzo
del
rabisu
in
questo
contesto.
Esso
non
è la
metafora
di
una
volontà
divina
arbitraria,
che
sottopone
l’uomo
alle
vessazioni
di
un
mostro
per
puro
diletto,
ma
rappresenta
la
sfida
lanciata
da
un
terzo.
Questo
personaggio
brama
il
controllo
dell’essere
umano
e
desidera
con
spasmodica
frenesia
che
l’essere
umano
inciampi
sulla
sua
strada
(come
una
bestia
in
attesa
della
preda,
appunto).
Caino
tronca
il
dialogo
con
Dio,
perché
non
accetta
l’umiliazione
che
non
comprende.
Così,
come
i
suoi
genitori,
fallisce
la
prova
e
uccide
Abele.
Al
rabisu
è
stato
permesso
di
entrare
e
con
la
sua
stretta
fatale
ha
trasformato
un
fratello
in
un
assassino.
Il
“trio
edenico”
composto
da
Creatore
–
creatura
–
tentatore
viene
riproposto
qui,
in
Gen
4:7,
in
una
forma
diversa
rispetto
alla
tentazione
di
Adamo
ed
Eva,
per
attualizzare
il
paradigma
della
storia
umana
e
fissare
una
volta
per
tutte
l’archetipo
della
prova,
a
cui
l’uomo
viene
sottoposto
affinché
interiorizzi
se
stesso
e
comprenda
chi
realmente
egli
è.