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N. 133 - Gennaio 2019 (CLXIV)

Il valzer di Mosca e Tokyo: le Isole Curili

Una questione irrisolta dal 1945

 di Gian Marco Boellisi

 

Ancora oggi, nel 2019, ci sono regioni del nostro pianeta che si strovano al centro di dispute territoriali tra due o più nazioni. Le ragioni possono essere tra le più disparate tuttavia, indipendentemente dalla loro veridicità, queste contese non fanno che inasprire le relazioni diplomatiche tra le parti e portano periodicamente a momenti di tensioni che non sempre sono di facile risoluzione.

 

Di particolare interesse ha rivestito negli ultimi mesi la disputa sulle isole Curili, importante quanto dimenticata questione diplomatica tra la Russia ed il Giappone. Nata a seguito della vittoria delle forze Alleate contro l’Asse nel 1945, essa non è mai stata risolta completamente nonostante ci siano stati dei tentativi diplomatici concreti in tal senso.

 

La situazione è rimasta pressoché invariata fino a novembre 2018. Qui infatti il presidente Putin ed il suo omologo Shinzo Abe sembrano aver raggiunto un accordo per il quale, secondo previsioni abbastanza ottimistiche, entro la fine del 2019 la disputa sarà risolta con placet da parte di entrambe le nazioni.

 

Nonostante i buoni propositi, vale la pena analizzare nel dettaglio questo scenario così da capirne l’importanza non solo alla luce delle relazioni dei due stati ma anche dell’intera geopolitica del Pacifico.

 

Partiamo dall’esaminare l’intera vicenda storica e le sue origini così da avere un quadro più completo. Le isole Curili sono un arcipelago di circa 60 isole che si trovano tra l’isola giapponese di Hokkaidō e la penisola russa della Kamčatka.

 

Dimora di acque notoriamente molto pescose, di possibili giacimenti di gas naturale e petrolio e soprattutto dalla rilevante posizione strategica, le isole Curili sono sempre state di grande interesse per tutte le potenze che si sono affacciate a questa regione del Pacifico. Esse sono state abitate dagli Ainu da tempo immemore, i quali però furono cacciati nel diciannovesimo secolo quando giunsero i Russi provenienti da Nord.

 

A seguito di trattative diplomatiche, nel 1857 l’arcipelago fu dato al Giappone in cambio dell’isola di Sakhalin e fino al 1945 le isole rimasero giapponesi. Fu proprio in questa data che nacque la questione.

 

L’intera disputa nasce dalla diversa interpretazione e lettura degli accordi di Yalta (1945), quelli di Potsdam (1945) e quelli di San Francisco (1951). Durante la celeberrima conferenza di Yalta del febbraio 1945 i leader di Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica si incontrarono in primis per stabilire la strategia degli ultimi mesi di guerra rimasti ed anche per spartirsi il mondo una volta questi fosse uscito dalle ceneri.

 

Una delle principali richieste degli Stati Uniti di Roosevelt fu quella dell’impegno dell’Unione Sovietica di entrare nel conflitto del Pacifico a fianco degli americani una volta che Berlino fosse caduta e le forze russe non fossero più state impegnate in Europa. Stalin accettò di buon grado e sottoscrisse che l’U.R.S.S. sarebbe entrata in guerra contro il Giappone in 2-3 mesi dopo la fine della guerra contro la Germania Nazista.

 

Tuttavia in cambio chiese che fossero concessi all’Unione Sovietica i territori delle isole Curili e dell’isola di Sakhalin, quest’ultima perduta durante il conflitto. L’accordo quindi fu riconosciuto e sottoscritto da tutte le potenze.

 

La conferenza di Potsdam del luglio 1945 è il secondo elemento che deve essere analizzato. Infatti la conferenza si svolse tra i delegati di Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina, allora guidata ancora dai nazionalisti di Chiang Kai-shek. In questo periodo il Giappone era sull’orlo di capitolare e mancava solo qualche giorno alle tragedie atomiche di Hiroshima e Nagasaki.

 

In questa sede si stabilirono le varie zone di influenza del Pacifico una volta terminata la guerra e si definirono i territori che sarebbero stati occupati dalle forze alleate nell’arcipelago giapponese.

 

Gli accordi presi tra Unione Sovietica e Stati Uniti probabilmente vennero confermati così come lasciati a Yalta, essendo l’U.R.S.S. ancora un’alleata. Tuttavia il presidente americano era cambiato, essendo Roosevelt morto nell’aprile ’45, e ciò avrebbe portato ad un aspro cambiamento della politica estera americana di lì a pochi anni.

 

Infine vi è la conferenza di San Francisco, avvenuta nel settembre del 1951 tra i rappresentanti di ben 49 nazioni con lo scopo di emettere un documento ufficiale di cessazione delle ostilità tra gli Alleati ed il Giappone.

 

In questa sede tuttavia il clima che si presentò fu ben diverso. Infatti era già iniziata la Guerra Fredda e sarà proprio questa ostilità aperta tra Stati Uniti e Unione Sovietica a far naufragare tutto. Negli anni precedenti è importante far notare come la Russia avesse preso possesso dei territori conferitele a Yalta, forte di quel trattato internazionale firmato da tutte le potenze.

 

Il Giappone ovviamente non poté opporsi in quel momento, essendo una nazione uscita sconfitta dalla guerra e senza più alcuna forza. Il Sol Levante però non aveva dimenticato quella questione e fece valere le proprie ragioni tenacemente durante la conferenza sopracitata. A San Francisco, Truman, il quale non è di certo passato alla storia come un presidente di buon senso, ritrattò completamente le posizioni sottoscritte a Yalta dal suo predecessore, argomentando che sulle questioni del Pacifico gli accordi presi a Potsdam fossero più rilevanti di quelli di Yalta, essendo la prima conferenza incentrata sull’argomento mentre la seconda solo di carattere generale. Si può capire bene come i lavori diplomatici non iniziarono con le migliori premesse.

 

Val la pena ricordare inoltre che l’Unione Sovietica non fu invitata a Potsdam, rendendole impossibile ogni voce di dissenso in merito. Truman arrivò ad accusare l’U.R.S.S. di aver violato Yalta, sottolineando come il Giappone non fosse tenuto a riconoscere la sovranità sovietica sulle isole annesse.

 

Inutile sottolineare la sfrontatezza di tale posizione, specie da parte di una nazione, gli Stati Uniti, che avevano occupato militarmente l’intero Giappone senza porsi il benché minimo problema. Ovviamente il tavolo delle trattative saltò molto presto e l’Unione Sovietica non firmò il trattato di San Francisco.

 

Dall’altra parte, invece, U.S.A e Gran Bretagna affermarono che chi non avesse firmato il trattato non avrebbe ottenuto il riconoscimento da parte della comunità internazionale di eventuali terre occupate o annesse a seguito del Secondo Conflitto Mondiale.

 

Per fortuna però i governi di Russia e Giappone non persero i contatti tra loro nonostante le interferenze esterne ed avviarono nuovi colloqui di pace separati a partire dal 1956. L’U.R.S.S. propose al governo giapponese la restituzione delle isole di Shikotan e Habomai, le quali sono praticamente attaccate al territorio giapponese.

 

Dall’altra parte il Giappone aveva riconosciuto la sua erronea pretesa territoriale sulle isole di Iturup e Kunashiri ed inoltre accettava la proposta russa in cambio di un trattato di pace firmato bilateralmente. La questione era in pratica risolta, tuttavia dei rapporti pacifici tra Mosca e Tokyo non stavano bene allo zio Sam.

 

Gli Stati Uniti, infatti, minacciarono deliberatamente il Giappone di non restituire l’isola di Okinawa al governo del Sol Levante qualora avesse accettato la proposta russa e non ritrattasse le proprie condizioni. Il Giappone era ancora troppo dipendente dall’occupante americano per poter rifiutare, e quindi le negoziazioni dovettero essere arrestate.

 

Nonostante questa interruzione dei negoziati, nel 1956 i governi di U.R.S.S. e Giappone fecero una dichiarazione comune a Mosca, attestando la fine dello stato di guerra. La disputa territoriale sulle Curili non era stata ancora risolta, ma i due stati si impegnavano ad avere relazioni diplomatiche normali fino a quando non sarebbero state definite con esattezza le condizioni della fine dello stato di guerra.

 

L’Unione Sovietica aggiunse che, quando queste condizioni sarebbero state stabilite, essa avrebbe riconsegnato al Giappone le isole Shikotan e Habomai come già premesso durante i colloqui del 1956.

 

Da allora la situazione è rimasta pressoché invariata. Nonostante i due paesi coltivino rapporti normali come due qualsiasi stati, la contesa territoriale rimane ancora del tutto aperta.

 

La questione ha subito però uno sviluppo non indifferente negli ultimi mesi del 2018. Infatti tra novembre e dicembre i premier delle rispettive nazioni, Vladimir Putin e Shinzo Abe, si sono incontrati prima a Singapore e poi a Buenos Aires in svariati vertici internazionali, ed uno degli argomenti principali di discussione tra i due leader è stato proprio la fine della disputa sulle isole Curili.

 

Riprendendo probabilmente la questione da dove era stata interrotta nel 1956, i due leader si sono confrontati su modalità e condizioni con il quale effettuare la restituzione dei territori occupati dall’U.R.S.S. dopo il 1945.

 

Da quel che dicono le voci di corridoio, si parla della firma di un accordo entro giugno 2019, quando Putin si dovrà recare in Giappone per il G20. In merito alle condizioni sappiamo che il ministro degli esteri russo Lavrov ha confermato che l’intenzione è quella di riconsegnare le isole Shikotan e Habomai al Giappone. Una linea univoca quindi con quanto fu stabilito oltre 70 anni fa.

 

Tuttavia è trapelato anche che la Russia sarebbe disposta a cedere le isole Iturup e Kunashiri, un’apertura mai fatta prima da Mosca. Nel 1956 Krusciov non pensò neanche per un istante ad una simile proposta, essendo la Guerra Fredda ormai in corso ed il possesso di quelle isole troppo rilevante strategicamente. Il rischio infatti era quello di dare dei territori troppo prossimi ai confini sovietici ad un alleato chiave degli Stati Uniti nel Pacifico.

 

Ora le cose sembrano essere cambiate, ma bisogna cercare di capire in che modo. Dal canto suo, Shinzo Abe ha promesso che non saranno mai installate basi NATO sulle isole una volta rientrate in possesso del Giappone. Ovviamente questa è una condizione chiave per Putin, il quale non vuole vedere la sicurezza nazionale russa minacciata da soldati NATO a pochi km dai confini nazionali russi.

 

Tuttavia il grande timore della Russia è che Tokyo, per un motivo o per un altro, installi sulle Curili i missili Aegis Shore, i quali sono in grado di intercettare la maggior parte dei missili potenzialmente lanciati dalla Russia verso l’estero, compresi gli ICBM, ovvero i missili nucleari intercontinentali. Nonostante siano solo missili difensivi, Mosca vedrebbe ridotta la sua deterrenza nel Pacifico ed è una cosa che non si può permettere in questo momento.

 

Tokyo potrebbe tra le altre cose non essere in grado di promettere a Mosca che non verrà installato il sistema Aegis, sia perché in Giappone vi è ancora grande timore per possibili azioni offensive da parte di Pechino e Pyongyang sia perché gli Stati Uniti sicuramente premeranno per una tale mossa e Tokyo non ha ancora abbastanza forza per poter dire di no agli alleati oltreoceano.

 

L’apertura di Putin non deve quindi essere letta come mera bontà fine a sé stessa. Infatti Abe deve aver promesso qualcosa di grande in cambio a Putin se egli è disposto a cedere le isole più grandi dell’arcipelago agli antichi proprietari. Non dimentichiamo che oggi le isole Curili ospitano una stazione di rifornimento molto importante per i sottomarini nucleari russi di pattuglia nel Pacifico ed una prima linea di difesa missilistica contro eventuali minacce esterne. Il prezzo che Putin è disposto a pagare smantellando questo tipo di installazione è grande, quindi bisogna aspettarsi una concessione altrettanto grande dall’altra parte.

 

Nonostante queste aperture ed il clima di grande speranza che si è creato attorno a questi avvenimenti, a fine dicembre è avvenuto un fatto inaspettato. Infatti è stato rilevato che il governo russo abbia mandato circa 3500 soldati presso le isole Iturup e Kunashiri. Ovviamente Tokyo non ha visto la cosa di buon grado, prendendo questa provocazione come un passo indietro rispetto ai colloqui preliminari di una restituzione pacifica che si erano tenuti fino a quel momento.

 

È palese che l’atteggiamento di Mosca sia più che ambiguo. Infatti da un lato viene propugnata una restituzione di gran parte dell’arcipelago, dall’altra lo stesso arcipelago è oggetto di una militarizzazione che sicuramente non faciliterà la suddetta restituzione. Il tutto è complicato ulteriormente dalla situazione non semplice che sta vivendo l’intera area del Pacifico.

 

Infatti qui da un lato vi è Pechino, che ormai cerca di estendere la sua egemonia ogni giorno di più nella transizione da potenza regionale a potenza mondiale, dall’altro lato vi è la Russia, che cerca di ritagliarsi la sua fetta di influenza sebbene sappia di non poter fare più di tanto la voce grossa, dall’altro lato ancora vi è il Giappone, il quale impaurito dagli altri attori presenti nelle sue vicinanze ha appena aumentato il budget per la difesa a 243 miliardi di dollari in una corsa agli armamenti mai vista sin dal Secondo Conflitto Mondiale, ed infine vi sono gli Stati Uniti, i quali non c’entrano nulla nelle dispute di questa regione del mondo ma che non perdono occasione per dire la loro anche quando non richiesta.

 

Un ulteriore aspetto a complicare la faccenda sono le popolazioni che oggi abitano l’arcipelago delle Curili. Infatti essi sono per lo più cittadini russi ivi residenti da quasi 75 anni ed ovviamente non hanno alcuna intenzione di andarsene. Vi sono state infatti già svariate manifestazioni di protesta contro questa decisione, tant’è che è già stata lanciata una raccolta firme contro questa mossa del governo ed il 71% dei residenti è risultato contrario.

 

Cambiamenti territoriali di questa portata sono tutelati da una legge dello stato russo del 1990, secondo la quale le popolazioni interessate dovrebbero essere sottoposte a referendum, analogamente a quanto avvenne in Crimea nel 2014. Qualora Mosca scelga deliberatamente di ignorare questa legge dello stato dimostrerà a tutto il mondo come faccia di situazione in situazione 2 pesi e 2 misure.

 

In conclusione, quella delle isole Curili è una questione rimasta nel dimenticatoio della storia per quasi 80 anni. I passi svolti in avanti negli ultimi mesi fanno bene sperare, soprattutto in un’ottica del miglioramento delle relazioni bilaterali tra Russia e Giappone, naturali vicini di casa ai quali interessa la pacifica convivenza prima di ogni altra cosa.

 

Nonostante questa grande occasione di fare la storia bisogna stare molto attenti ai particolari. La posta in gioco è molto alta, e se da un lato vi è la Russia di Putin pronta a concedere a Tokyo ciò che nessun governo in precedenza aveva concesso anche a scapito di grandi sacrifici strategici, dall’altro lato vi è il Giappone, un grande amico degli Stati Uniti, i quali cercheranno sicuramente da attuali egemoni mondiali quali sono di portare l’accordo in una direzione vantaggiosa per il proprio tornaconto strategico.

 

Non è detto che quando arriverà il momento di decidere si troverà una quadra tra tutti questi interessi e tornaconti politici. La speranza in un accordo sincero tra le due nazioni c’è ancora, ma bisogna capire quanto Putin e Abe si spingeranno nell’antica quanto attuale arte del do ut des. 



 

 

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