I quattro moschettieri
La vera storia dietro al mito letterariO
di Massimo Manzo
Tra duelli all’ultimo sangue,
missioni segrete e avventure
galanti, sono entrati
nell’immaginario collettivo
ispirando film, fumetti e cartoon. I
loro nomi li conoscono tutti: Athos,
Porthos, Aramis e d’Artagnan. A
questi quattro intrepidi
moschettieri del re lo scrittore
francese Alexandre Dumas (1802-1870)
dedicò una trilogia di romanzi (I
Tre Moschettieri, Vent’anni dopo e
Il visconte di Bragelonne), ma
forse non tutti sanno che tali
personaggi furono uomini in carne e
ossa, tra l’altro non troppo diversi
dai loro omologhi letterari.
Coetanei
Per ritrovare le loro origini
storiche dobbiamo spostarci
nell’estremo sud occidentale della
Francia, presso i territori della
Guascogna e del
Béarn, dove al principio del XVII
secolo nacquero a poca distanza
l’uno dall’altro Armand d’Athos
(1615), Henri d’Aramitz (1620),
Isaac de Portau (1617) e Charles de
Batz de Castelmore, noto in seguito
come d’Artagnan (1613). Erano tutti
figli della nobiltà locale, e tutti
coetanei, anche se le date di
nascita in nostro possesso sono in
molti casi approssimative. A
proposito, il “nome d’arte” di
Charles è un omaggio alla nobile
casata della madre, discendente dei
signori d’Artagnan. Per quanto
concerne gli altri tre, sappiamo che
Isaac discendeva da una famiglia
protestante e che Henri e Armand
erano parenti alla lontana. Il primo
era un rampollo dell’illustre casata
ugonotta d’Aramitz, mentre l’altro
aveva tra i propri antenati un tale
Johan d’Athos, medico del re Enrico
II di Navarra.
Voglia d’avventura
A dare una prima “spintarella” ai
quattro giovanotti fu Monsieur de
Tréville, valoroso capitano dei
moschettieri del re, compagnia di
soldati scelti fondata nel 1622.
Sarà lui, in forza della parentela
con Aramitz e d’Athos, nonché
dell’amicizia con la famiglia di d’Artagnan,
a permettere ai ragazzi di
intraprendere in tempi diversi la
carriera delle armi. I quattro
raggiunsero dunque Parigi
separatamente e lì si arruolarono.
«Per dei gentiluomini di campagna in
cerca d’avventura, la capitale
francese era all’epoca il centro del
mondo, e non è affatto improbabile
che qui d’Artagnan abbia conosciuto
Athos, Aramitz e Portau», racconta
lo storico Jean-Christian Petitfils,
autore del libro Le Véritable d’Artagnan
(Editions Tallander).
Un solo eroe
Squattrinati e inquieti, fuori dalla
caserma i cadetti passavano le
giornate tra le chiassose vie
parigine in cerca di guai e facili
amori, ed è verosimile che i nostri
non fecero eccezione. Di certo, solo
d’Artagnan riuscì a fare strada,
mentre per gli altri le cose
andarono diversamente. Il destino
peggiore fu quello di Athos, che non
diventerà mai il malinconico
veterano descritto da Dumas, ma
morirà a neanche trent’anni,
probabilmente in seguito alle ferite
riportate in un duello. Aramitz
depose la spada a trentun anni in
favore di una vita tranquilla nel
suo villaggio natio, dove si sposerà
e avrà tre figli (la data di morte è
incerta, ma è probabile che superò i
cinquant’anni). Su Portau, poi, le
notizie sono ancora più scarne:
forse ferito in battaglia, si sa
solo che finì la carriera
dimenticato nell’oscura guarnigione
del forte di Navarrenx, in
Guascogna. La vita di d’Artagnan fu
dunque la più avventurosa, anche se
compirà le sue imprese una ventina
d’anni dopo rispetto al suo alter
ego letterario. Il giovane guascone
non lotterà infatti contro l’infido
cardinale Richelieu, ma presterà i
suoi servigi a un altro potentissimo
prelato: Giulio Mazzarino, che a
partire dal 1642 ne aveva preso il
posto come primo ministro.
L’uomo
del cardinale
«Il ruolo di d’Artagnan era, tra gli
altri, quello di staffetta e di
agente politico, dovendo recapitare
i dispacci più importanti a
Mazzarino e guadagnare sostegni in
suo favore», riprende Petitfils. Gli
inizi furono duri, dacché il
cardinale era un autentico taccagno
e pagava a malapena i suoi uomini.
Non bastasse, nel gennaio 1646 il
corpo dei moschettieri fu sciolto
per i continui problemi di ordine
pubblico causati dai suoi
componenti. Anziché appendere al
chiodo la casacca, d’Artagnan rimase
al servizio di Mazzarino, anche
quando le sue fortune parvero
tramontare. In quegli anni
l’opposizione al cardinale era
furiosa, e con Luigi XIV ancora
bambino la monarchia era debole. In
tale contesto, tra il 1648 e il 1653
la cosiddetta “Fronda” portata
avanti da parlamento e grandi nobili
tentò di estromettere
definitivamente il primo ministro,
che lasciò Parigi. Pur lontano dalla
capitale, il prelato continuò
tuttavia a tessere le sue trame
affidando numerose missioni segrete
all’infaticabile d’Artagnan, grazie
al cui supporto poté rientrare
trionfante a Parigi sconfiggendo i
frondisti.
Indomito
Riconoscente, da allora favorirà
l’ascesa del suo agente nominandolo
“Capitano della voliera reale”,
ambito titolo onorifico. Uomo
d’azione, d’Artagnan non smise mai
di solcare i campi di battaglia,
distinguendosi al seguito del
visconte di Turenne in più episodi
della guerra franco spagnola
(1635-1659). E quando nel 1657 venne
ricostituito il corpo dei
moschettieri, vi rientrò assumendo
il grado di sottotenente. Poi, morto
Mazzarino nel 1661, passò al diretto
servizio del giovane Luigi XIV. Il
sovrano si fidava ciecamente di lui,
tanto da affidargli la gestione di
un caso scottante: l’arresto e la
custodia del potente ministro delle
finanze Nicolas Fouquet, che sarà
poi processato e rinchiuso a vita
nella fortezza di Pinerolo. La
missione era delicatissima e Charles
non deluse le attese, dimostrando
tra l’altro grande umanità verso il
prigioniero.
Marito assente
Venerato dai suoi uomini per il
coraggio e la generosità, il
moschettiere assomigliava molto
all’eroe del nostro immaginario: uno
dei pochi ritratti dell’epoca lo
raffigura con i baffetti all’insù,
lunghi ricci sulle spalle e il
sorriso sornione. Non sappiamo
invece se fu anche un dongiovanni.
«Pur non provati storicamente, gli
amori attribuiti al guascone dai
romanzieri riflettono la vita
sentimentale disordinata di un
soldato dell’epoca», spiega
Petitfils. Di certo, tra una
battaglia e l’altra, d’Artagnan ebbe
il tempo di sposarsi, impalmando nel
1659 una nobile vedova
trentacinquenne di nome Charlotte
Anne de Chanlecy, conosciuta durante
un viaggio al seguito del re. Da lei
ebbe due figli, che chiamerà
entrambi Louis in onore del sovrano.
L’amore, però, fu breve. «La signora
d’Artagnan non aveva un carattere
facile e non sopportò a lungo la
vita turbolenta del marito»,
aggiunge lo storico. «Dopo qualche
mese di matrimonio, Charlotte lasciò
il domicilio familiare per ritirarsi
nel suo feudo di Sainte Croix
(Borgogna), dove il consorte farà
solo qualche breve apparizione».
Morte eroica
Delusioni familiari a parte, sotto
l’ala protettrice del Re Sole
l’ascesa di d’Artagnan procedette
spedita, e tra le varie promozioni
vi furono quelle a capitano dei
moschettieri (1667) e a governatore
della città di Lille (1672). Sempre
in prima linea, come il personaggio
di Dumas, l’intrepido guascone compì
l’ultima impresa durante l’assedio
di Maastricht (1673), quando alla
testa dei suoi soldati si gettò più
volte nella mischia incurante dei
pericoli, tra lo stupore di tutti.
Una pallottola nemica lo colpì
infine alla testa, lasciandolo senza
vita. Le sue spoglie furono sepolte
nei pressi di Maastricht, dove si
erge ancora una statua in suo onore.
«La devozione dei moschettieri per
il loro capitano era tale che in
molti si offrirono spontaneamente di
vegliare sul suo corpo sotto il
fuoco nemico» conclude Petitfils.
Tutta la corte lo pianse, e si dice
che Luigi XIV fece celebrare una
messa nella propria cappella privata
per omaggiare la memoria del suo
fedele servitore. D’Artagnan se ne
era andato da eroe così come aveva
vissuto, senza sapere che sarebbe
presto divenuto un mito.