[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

179 / NOVEMBRE 2022 (CCX)


moderna

I quattro moschettieri
La vera storia dietro al mito letterariO

di Massimo Manzo

 

Tra duelli all’ultimo sangue, missioni segrete e avventure galanti, sono entrati nell’immaginario collettivo ispirando film, fumetti e cartoon. I loro nomi li conoscono tutti: Athos, Porthos, Aramis e d’Artagnan. A questi quattro intrepidi moschettieri del re lo scrittore francese Alexandre Dumas (1802-1870) dedicò una trilogia di romanzi (I Tre Moschettieri, Vent’anni dopo e Il visconte di Bragelonne), ma forse non tutti sanno che tali personaggi furono uomini in carne e ossa, tra l’altro non troppo diversi dai loro omologhi letterari.

 

Coetanei

 

Per ritrovare le loro origini storiche dobbiamo spostarci nell’estremo sud occidentale della Francia, presso i territori della Guascogna e del Béarn, dove al principio del XVII secolo nacquero a poca distanza l’uno dall’altro Armand d’Athos (1615), Henri d’Aramitz (1620), Isaac de Portau (1617) e Charles de Batz de Castelmore, noto in seguito come d’Artagnan (1613). Erano tutti figli della nobiltà locale, e tutti coetanei, anche se le date di nascita in nostro possesso sono in molti casi approssimative. A proposito, il “nome d’arte” di Charles è un omaggio alla nobile casata della madre, discendente dei signori d’Artagnan. Per quanto concerne gli altri tre, sappiamo che Isaac discendeva da una famiglia protestante e che Henri e Armand erano parenti alla lontana. Il primo era un rampollo dell’illustre casata ugonotta d’Aramitz, mentre l’altro aveva tra i propri antenati un tale Johan d’Athos, medico del re Enrico II di Navarra.

 

Voglia d’avventura

 

A dare una prima “spintarella” ai quattro giovanotti fu Monsieur de Tréville, valoroso capitano dei moschettieri del re, compagnia di soldati scelti fondata nel 1622. Sarà lui, in forza della parentela con Aramitz e d’Athos, nonché dell’amicizia con la famiglia di d’Artagnan, a permettere ai ragazzi di intraprendere in tempi diversi la carriera delle armi. I quattro raggiunsero dunque Parigi separatamente e lì si arruolarono. «Per dei gentiluomini di campagna in cerca d’avventura, la capitale francese era all’epoca il centro del mondo, e non è affatto improbabile che qui d’Artagnan abbia conosciuto Athos, Aramitz e Portau», racconta lo storico Jean-Christian Petitfils, autore del libro Le Véritable d’Artagnan (Editions Tallander).

 

Un solo eroe

 

Squattrinati e inquieti, fuori dalla caserma i cadetti passavano le giornate tra le chiassose vie parigine in cerca di guai e facili amori, ed è verosimile che i nostri non fecero eccezione. Di certo, solo d’Artagnan riuscì a fare strada, mentre per gli altri le cose andarono diversamente. Il destino peggiore fu quello di Athos, che non diventerà mai il malinconico veterano descritto da Dumas, ma morirà a neanche trent’anni, probabilmente in seguito alle ferite riportate in un duello. Aramitz depose la spada a trentun anni in favore di una vita tranquilla nel suo villaggio natio, dove si sposerà e avrà tre figli (la data di morte è incerta, ma è probabile che superò i cinquant’anni). Su Portau, poi, le notizie sono ancora più scarne: forse ferito in battaglia, si sa solo che finì la carriera dimenticato nell’oscura guarnigione del forte di Navarrenx, in Guascogna. La vita di d’Artagnan fu dunque la più avventurosa, anche se compirà le sue imprese una ventina d’anni dopo rispetto al suo alter ego letterario. Il giovane guascone non lotterà infatti contro l’infido cardinale Richelieu, ma presterà i suoi servigi a un altro potentissimo prelato: Giulio Mazzarino, che a partire dal 1642 ne aveva preso il posto come primo ministro.

 

L’uomo del cardinale

 

«Il ruolo di d’Artagnan era, tra gli altri, quello di staffetta e di agente politico, dovendo recapitare i dispacci più importanti a Mazzarino e guadagnare sostegni in suo favore», riprende Petitfils. Gli inizi furono duri, dacché il cardinale era un autentico taccagno e pagava a malapena i suoi uomini. Non bastasse, nel gennaio 1646 il corpo dei moschettieri fu sciolto per i continui problemi di ordine pubblico causati dai suoi componenti. Anziché appendere al chiodo la casacca, d’Artagnan rimase al servizio di Mazzarino, anche quando le sue fortune parvero tramontare. In quegli anni l’opposizione al cardinale era furiosa, e con Luigi XIV ancora bambino la monarchia era debole. In tale contesto, tra il 1648 e il 1653 la cosiddetta “Fronda” portata avanti da parlamento e grandi nobili tentò di estromettere definitivamente il primo ministro, che lasciò Parigi. Pur lontano dalla capitale, il prelato continuò tuttavia a tessere le sue trame affidando numerose missioni segrete all’infaticabile d’Artagnan, grazie al cui supporto poté rientrare trionfante a Parigi sconfiggendo i frondisti.

 

Indomito

 

Riconoscente, da allora favorirà l’ascesa del suo agente nominandolo “Capitano della voliera reale”, ambito titolo onorifico. Uomo d’azione, d’Artagnan non smise mai di solcare i campi di battaglia, distinguendosi al seguito del visconte di Turenne in più episodi della guerra franco spagnola (1635-1659). E quando nel 1657 venne ricostituito il corpo dei moschettieri, vi rientrò assumendo il grado di sottotenente. Poi, morto Mazzarino nel 1661, passò al diretto servizio del giovane Luigi XIV. Il sovrano si fidava ciecamente di lui, tanto da affidargli la gestione di un caso scottante: l’arresto e la custodia del potente ministro delle finanze Nicolas Fouquet, che sarà poi processato e rinchiuso a vita nella fortezza di Pinerolo. La missione era delicatissima e Charles non deluse le attese, dimostrando tra l’altro grande umanità verso il prigioniero.

 

Marito assente

 

Venerato dai suoi uomini per il coraggio e la generosità, il moschettiere assomigliava molto all’eroe del nostro immaginario: uno dei pochi ritratti dell’epoca lo raffigura con i baffetti all’insù, lunghi ricci sulle spalle e il sorriso sornione. Non sappiamo invece se fu anche un dongiovanni. «Pur non provati storicamente, gli amori attribuiti al guascone dai romanzieri riflettono la vita sentimentale disordinata di un soldato dell’epoca», spiega Petitfils. Di certo, tra una battaglia e l’altra, d’Artagnan ebbe il tempo di sposarsi, impalmando nel 1659 una nobile vedova trentacinquenne di nome Charlotte Anne de Chanlecy, conosciuta durante un viaggio al seguito del re. Da lei ebbe due figli, che chiamerà entrambi Louis in onore del sovrano. L’amore, però, fu breve. «La signora d’Artagnan non aveva un carattere facile e non sopportò a lungo la vita turbolenta del marito», aggiunge lo storico. «Dopo qualche mese di matrimonio, Charlotte lasciò il domicilio familiare per ritirarsi nel suo feudo di Sainte Croix (Borgogna), dove il consorte farà solo qualche breve apparizione».

 

Morte eroica

 

Delusioni familiari a parte, sotto l’ala protettrice del Re Sole l’ascesa di d’Artagnan procedette spedita, e tra le varie promozioni vi furono quelle a capitano dei moschettieri (1667) e a governatore della città di Lille (1672). Sempre in prima linea, come il personaggio di Dumas, l’intrepido guascone compì l’ultima impresa durante l’assedio di Maastricht (1673), quando alla testa dei suoi soldati si gettò più volte nella mischia incurante dei pericoli, tra lo stupore di tutti. Una pallottola nemica lo colpì infine alla testa, lasciandolo senza vita. Le sue spoglie furono sepolte nei pressi di Maastricht, dove si erge ancora una statua in suo onore. «La devozione dei moschettieri per il loro capitano era tale che in molti si offrirono spontaneamente di vegliare sul suo corpo sotto il fuoco nemico» conclude Petitfils. Tutta la corte lo pianse, e si dice che Luigi XIV fece celebrare una messa nella propria cappella privata per omaggiare la memoria del suo fedele servitore. D’Artagnan se ne era andato da eroe così come aveva vissuto, senza sapere che sarebbe presto divenuto un mito.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]