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N. 24 - Dicembre 2009
(LV)
Il quartiere Weißenhof a Stoccarda
Quando l’architettura diventa arte
di Simone Valtieri
La
Deutscher
Werkbund
è
un’associazione
di
architetti,
artisti
e
industriali,
fondata
nel
1907
a
Monaco
di
Baviera
dall’architetto
Muthesius,
dall’imprenditore
Karl
Schmidt
e
dal
politico
Friedrich
Naumann
allo
scopo
di
incentivare
una
nuova
cultura
del
lavoro
basata
sull’integrazione
dei
processi
industriali
e
artistici
che
portasse
a
manufatti
qualitativamente
migliori
in
termini
di
tempi
e
costi
di
produzione.
Nel
1927,
tra
le
colline
vicino
Stoccarda,
viene
promossa
dalla
Deutscher
Werkbund
(che
letteralmente
significa
“lega
degli
artigiani
tedesca”)
un’esposizione
di
abitazioni
moderne,
che
siano
espressione
della
nuova
architettura:
il
Weißenhofsiedlung,
un
quartiere
di
case
per
lavoratori,
finanziato
dalla
città
di
Stoccarda
e
progettato
dai
più
innovativi
architetti
del
Movimento
Moderno,
il
tutto
sotto
la
guida
esperta
di
Ludwig
Mies
van
der
Rohe.
Il
Weißenhofsiedlung
non
fu
la
prima
esposizione
di
abitazioni
nella
storia
dell’architettura,
ma
si
può
affermare
che
con
esso
si
giunge
al
culmine
di
un
processo
partito,
se
vogliamo,
con
la
colonia
di
Matildenhohe
a
Darmstadt
nel
1901.
Un
processo
che
inizia
con
la
costruzione
di
case
per
artisti
e
che
termina
con
abitazioni
più
specificatamente
indirizzate
alla
classe
media
e
che
passa
per
altre
due
importanti
esposizioni
come
la
Gartenvorstadt
Marienbrunn
a
Lipsia
nel
1913,
che
si
proponeva
di
dimostrare
la
maggiore
flessibilità
e
vivibilità
di
una
“città
giardino”
rispetto
alla
metropoli,
e la
Haus
am
Horn,
prima
esposizione
organizzata
dalla
Bauhaus,
nel
1923,
per
illustrare
la
funzionalità
e
l’innovazione
dell’architettura
che
la
scuola
stessa
proponeva.
Nella
cosiddetta
“città
bianca”,
gli
edifici
sono
in
gran
parte
realizzati
in
cemento
armato,
con
alcune
eccezioni
come
le
case
progettate
da
Max
e
Bruno
Taut,
da
Walter
Gropius
e da
Mies.
La
costruzione
del
quartiere
inizia
nel
1926
e si
risolve
nell’arco
di
un’anno,
in
un
clima
fortemente
collaborativo
venutosi
a
creare
tra
la
giunta
di
Stoccarda
e i
promotori
dell’esposizione.
Già
nel
1925,
in
un
memorandum
datato
27
giugno,
il
sindaco
della
città
capoluogo
del
Baden-Württemberg
Karl
Lautenschlager
e il
presidente
della
Deutscher
Werkbund
Peter
Bruckmann,
scrivono
congiuntamente:
“L’efficienza
si
misura
in
tutti
i
campi
della
nostra
vita,
e
non
si
ferma
dove
l’edilizia
ha
problemi.
Le
condizioni
economiche
ci
proibiscono
oggi
quasi
ogni
spreco,
quindi
bisogna
raggiungere
il
massimo
risultato
con
il
minimo
dei
mezzi,
richiedendo
l’implementazione
di
tali
materiali
e
applicazioni
tecnologiche
che
faranno
strada
per
abbassare
i
costi
degli
edifici,
che
guidi
a
una
semplificazione
per
le
famiglie
e al
miglioramento
dei
mezzi
di
sostentamento”.
Una
volta
terminato,
il
quartiere
comprendeva
60
abitazioni
e 21
costruzioni
ideate
da
sedici
giovani
architetti
europei
del
periodo,
per
la
maggior
parte
tedeschi,
tra
i
quali
Gropius,
fondatore
della
Bauhaus,
lo
stesso
Mies,
Peter
Behrens,
ma
anche
Adolf
Gustav
Schneck,
Ludwig
Hilberseimer,
i
due
Taut,
Hans
Poelzig,
Richard
Docker,
Adolf
Rading,
Hans
Scharoun
e
Ferdinand
Kramer,
e
con
una
nutrita
partecipazione
di
progettisti
di
altra
nazionalità:
gli
olandesi
Jacobus
Oud
e
Mart
Stam,
il
belga
Victor
Bourgeois,
l’austriaco
Josef
Frank
e,
last
but
not
least,
Le
Corbusier.
L’età
di
tutti
i
progettisti
era,
con
l’eccezione
di
Poelzig
e
dello
stesso
Mies,
inferiore
ai
45
anni,
con
il
giovane
Stam
che
ne
aveva
all’epoca
solamente
28.
Mies
van
der
Rohe
teneva
in
mano
le
redini
del
progetto,
dovendo
coordinare
gli
architetti
partecipanti,
e
avendo
voce
in
capitolo
nella
assegnazione
dei
lotti.
Le
Corbusier
ebbe
il
privilegio
di
poter
usufruire
del
lotto
principale
e
del
budget
più
alto.
Nei
suoi
spazi
realizzò
quel
piccolo
gioiello
dell’architettura
quale
è
considerata
essere
la
casa
al
lotto
13.
Con
l’abitazione
in
questione
Le
Corbusier
giunge
al
termine
di
un
processo
partito
tredici
anni
prima
con
lo
studio
della
struttura
Dom-ino,
un
tipo
di
costruzione
portante
ideata
per
riedificare
in
poco
tempo
e
con
componenti
prefabbricate
standard
i
villaggi
delle
Fiandre
devastati
dalla
Grande
Guerra,
e
continuata
negli
anni
successivi
con
la
progettazione
di
abitazioni
ispirate
a
quelli
che
sono
poi
diventati
i
cardini
del’architettura
di
Le
Corbusier,
ossia
I
cinque
principi
dell’architettura
moderna.
Tali
principi
(costruzione
su
pilotis,
tetto
giardino,
pianta
libera,
utilizzo
di
finestre
a
nastro
e
facciata
libera),
permessi
dalle
nuove
tecniche
costruttive
in
cemento
armato
studiate
dall’architetto
svizzero,
sono
tutti
riconoscibili
e
applicati,
per
la
prima
volta
interamente,
nella
casa
al
lotto
13.
L’esposizione
ebbe
circa
500
mila
visitatori
ed
ottenne
ampio
eco
sulle
pubblicazioni
di
tutto
il
pianeta,
contribuendo
l’anno
successivo
alla
nascita
dei
CIAM
(Congresso
Internazionale
di
Architettura
Moderna).
Oltre
all’esposizione
delle
abitazioni,
fu
organizzata
anche
una
mostra
chiamata
International
Functionalism
Design
riguardante
i
materiali,
le
tecniche,
le
forniture,
la
mobilia
e
gli
equipaggiamenti.
Qui
vennero
esposti
modelli
e
disegni
di
artisti,
anche
non
partecipanti
al
Weißenhoff,
come
Frank
Lloyd
Wright,
Hugo
Haring,
El
Lissitzky,
Erich
Mendelsohn
ed
Ernst
May.
Durante
il
periodo
nazista,
il
Weißenhofsiedlung
e i
valori
insiti
nella
tipologia
architettonica
che
esso
rappresentava
furono
ampiamente
criticati.
Nel
1939
la
città
di
Stoccarda
vendette
al
terzo
Reich
l’area
dell’intervento
e ne
accordò
la
parziale
demolizione.
Nel
1944
un’incursione
aerea
distrusse
dieci
case
e
gli
effetti
della
ricostruzione
furono
dal
punto
di
vista
artistico
altrettanto
devastanti,
con
la
costruzione
di
case
sostitutive,
inadatte
e
fuori
dallo
stile
e
dal
carattere
degli
edifici
del
Weißenhof.
Solo
la
rimessa
a
nuovo
generale,
compiuta
tra
il
1981
e il
1987
in
occasione
del
sessantenario
del
Weißenhof,
fu
in
grado
di
migliorare
la
situazione,
puntando
al
restauro
di
alcuni
edifici
e al
ripristino
dello
stato
originale
dopo
alcune
modifiche
post-belliche.
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