PUBLIO VENTIDIO BASSO
IL GENERALE DELLA RIVINCITA ROMANA
CONTRO I PARTI
di Damiano Trivellato
Il nome di Publio Ventidio Basso
potrebbe non essere il primo a
balzare alla mente appropinquandosi
allo studio della storia romana. Ma
con questa iniziale affermazione non
concorderebbe nemmeno il più remoto
degli abitanti della Roma antica del
38 a.C. In una Roma infatti con
un’idea di appartenenza alla patria
che trascende da quella delle
generazioni odierne, è indubbio che
il detto luogotenente fosse una
delle personalità più ammirate di
quegli anni. E non per mancanza di
competizione altrui, tutt’altro:
emergere per le proprie imprese
militari nei medesimi anni d’azione
di personaggi di primo piano come
Marco Vipsanio Agrippa per citarne
uno, era una missione forse
impossibile. Come d’altronde, se non
impossibile, era stato molto ostico
il suo percorso di scalata del rango
sociale dopo una nascita da famiglia
umile e di certo non avvezza agli
affari militari e politici.
E chissà che non fosse ritenuta
impossibile anche l’impresa contro i
Parti alla vigilia dello scontro
decisivo del 38 a.C. Dopo
esattamente 15 anni da quella
drammatica disfatta di Carre (9
giugno 53 a.C.) forse in pochi si
aspettavano un esito diverso. I
Parti infatti erano rinomati per
essere una delle popolazioni più
ostiche con cui Roma avesse mai
avuto a che fare, oltre che essere
il popolo che ancora deteneva in
saccoccia le insegne imperiali di
Marco Licinio Crasso. Dotati di una
cavalleria di straordinaria
efficacia, avevano scomodato
ulteriormente i triumviri
espandendosi nei territori
dell’attuale Siria nel 39 a.C. Ora
Roma doveva rispondere, e nello
specifico con Antonio che, conscio
probabilmente della delicatezza di
tale situazione (un ulteriore
sconfitta sarebbe stata
inaccettabile) schierò sul campo il
suo miglior luogotenente Publio
Ventidio Basso. Ma quali furono gli
elementi decisivi che permisero a
Basso di avere la meglio?
In primis, gli storici ci
raccontano, sarebbe stato ostico
organizzare una spedizione secondo
modalità ancor più maldestre
rispetto a quelle messe in atto da
Crasso anni prima. Quest’ultimo
infatti, spinto da fame di gloria,
aveva impostato male l’offensiva
intraprendendo un lungo ed
estenuante cammino con le sue
legioni nel deserto, causando così
il deperimento delle legioni ed
incassando disfatte. Ma per di più,
anziché resistere presso la
roccaforte di Carre (odierna Harran)
serrando a riccio le forze a
disposizione in attesa di rinforzi,
aveva fatalmente deciso di spostarsi
verso l’Armenia a nord, dividendosi
così dal suo alleato principale:
Cassio infatti, non concordando, si
mosse in direzione opposta verso la
Siria a sud. Crasso finì per
ritrovarsi isolato nella morsa
partica, perdendo la vita nello
scontro assieme alla maggior parte
dei propri soldati.
In secundis l’esercito di Antonio
possiamo ipotizzare che avesse
verosimilmente analizzato tali
luoghi, precedentemente meglio
conosciuti dai soldati parti,
strutturando al meglio la campagna
nel suo complesso. È auspicabile
anche pensare che essendo uno
scontro dettato dalla volontà di
riprendere territori storicamente
sotto l’influenza romana, i generali
avessero interesse più concreto e
meno velleitario se paragonato alla
pura volontà di Crasso di accrescere
il proprio prestigio. D’altro canto,
i Parti erano già stati sconfitti
dalle truppe del generale Basso ben
3 volte prima dello scontro finale
ed il loro re Pacomio I secondo lo
storico inglese Scullard aveva
peccato di arroganza nell’attacco
finale, calcolando male lo
svantaggio tattico: per quanto la
cavalleria Parta fosse rinomata per
la sua efficienza e pericolosità, il
fatto di attaccare in salita le
truppe romane accampate in attesa
sul monte Gindaro si rivelò essere
una mossa kamikaze che portò al
trionfo romano.
E così mentre nel 53 a.C. Crasso,
l’uomo più ricco di tutta la storia
di Roma che secondo Forbes godeva di
patrimonio totale di circa 170
miliardi di dollari attuali, non
tornò in patria trionfante come ci
si sarebbe aspettati, dall’altro
lato esattamente 15 anni dopo Publio
Ventidio Basso si accingeva a
rientrare nella capitale imperiale
per godersi il suo trionfo (evento
dedicato a uomini che si erano
distinti per grandi vittorie
militari) su cui nessuno avrebbe
scommesso forse nemmeno un
sesterzio, dopo aver iniziato la sua
scalata da una umilissima condizione
economica e sociale.
Il mix vincente per Basso e compagni
dunque si compose di freddezza
decisionale, perfetta organizzazione
e attento studio strategico militare
primordiale: elementi che erano
mancati sotto il comando di Crasso e
che, sommati ad una valutazione
errata di Pacomio e truppe
avversarie allo stremo, hanno
portato ad una delle vendette
militari più famose dell’età romana
antica. È interessante notare la
quasi beffarda analogia tra
l’operato di Crasso e quello di
Pacomio: la sottovalutazione dei
rispettivi nemici ha portato ambo
gli eserciti all’annientamento
totale ed ambo i generali alla
decapitazione.