[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

198 / GIUGNO 2024 (CCXXIX)


antica

PUBLIO VENTIDIO BASSO
IL GENERALE DELLA RIVINCITA ROMANA CONTRO I PARTI
di Damiano Trivellato


Il nome di Publio Ventidio Basso potrebbe non essere il primo a balzare alla mente appropinquandosi allo studio della storia romana. Ma con questa iniziale affermazione non concorderebbe nemmeno il più remoto degli abitanti della Roma antica del 38 a.C. In una Roma infatti con un’idea di appartenenza alla patria che trascende da quella delle generazioni odierne, è indubbio che il detto luogotenente fosse una delle personalità più ammirate di quegli anni. E non per mancanza di competizione altrui, tutt’altro: emergere per le proprie imprese militari nei medesimi anni d’azione di personaggi di primo piano come Marco Vipsanio Agrippa per citarne uno, era una missione forse impossibile. Come d’altronde, se non impossibile, era stato molto ostico il suo percorso di scalata del rango sociale dopo una nascita da famiglia umile e di certo non avvezza agli affari militari e politici.

 

E chissà che non fosse ritenuta impossibile anche l’impresa contro i Parti alla vigilia dello scontro decisivo del 38 a.C. Dopo esattamente 15 anni da quella drammatica disfatta di Carre (9 giugno 53 a.C.) forse in pochi si aspettavano un esito diverso. I Parti infatti erano rinomati per essere una delle popolazioni più ostiche con cui Roma avesse mai avuto a che fare, oltre che essere il popolo che ancora deteneva in saccoccia le insegne imperiali di Marco Licinio Crasso. Dotati di una cavalleria di straordinaria efficacia, avevano scomodato ulteriormente i triumviri espandendosi nei territori dell’attuale Siria nel 39 a.C. Ora Roma doveva rispondere, e nello specifico con Antonio che, conscio probabilmente della delicatezza di tale situazione (un ulteriore sconfitta sarebbe stata inaccettabile) schierò sul campo il suo miglior luogotenente Publio Ventidio Basso. Ma quali furono gli elementi decisivi che permisero a Basso di avere la meglio?

 

In primis, gli storici ci raccontano, sarebbe stato ostico organizzare una spedizione secondo modalità ancor più maldestre rispetto a quelle messe in atto da Crasso anni prima. Quest’ultimo infatti, spinto da fame di gloria, aveva impostato male l’offensiva intraprendendo un lungo ed estenuante cammino con le sue legioni nel deserto, causando così il deperimento delle legioni ed incassando disfatte. Ma per di più, anziché resistere presso la roccaforte di Carre (odierna Harran) serrando a riccio le forze a disposizione in attesa di rinforzi, aveva fatalmente deciso di spostarsi verso l’Armenia a nord, dividendosi così dal suo alleato principale: Cassio infatti, non concordando, si mosse in direzione opposta verso la Siria a sud. Crasso finì per ritrovarsi isolato nella morsa partica, perdendo la vita nello scontro assieme alla maggior parte dei propri soldati.

 

In secundis l’esercito di Antonio possiamo ipotizzare che avesse verosimilmente analizzato tali luoghi, precedentemente meglio conosciuti dai soldati parti, strutturando al meglio la campagna nel suo complesso. È auspicabile anche pensare che essendo uno scontro dettato dalla volontà di riprendere territori storicamente sotto l’influenza romana, i generali avessero interesse più concreto e meno velleitario se paragonato alla pura volontà di Crasso di accrescere il proprio prestigio. D’altro canto, i Parti erano già stati sconfitti dalle truppe del generale Basso ben 3 volte prima dello scontro finale ed il loro re Pacomio I secondo lo storico inglese Scullard aveva peccato di arroganza nell’attacco finale, calcolando male lo svantaggio tattico: per quanto la cavalleria Parta fosse rinomata per la sua efficienza e pericolosità, il fatto di attaccare in salita le truppe romane accampate in attesa sul monte Gindaro si rivelò essere una mossa kamikaze che portò al trionfo romano.

 

E così mentre nel 53 a.C. Crasso, l’uomo più ricco di tutta la storia di Roma che secondo Forbes godeva di patrimonio totale di circa 170 miliardi di dollari attuali, non tornò in patria trionfante come ci si sarebbe aspettati, dall’altro lato esattamente 15 anni dopo Publio Ventidio Basso si accingeva a rientrare nella capitale imperiale per godersi il suo trionfo (evento dedicato a uomini che si erano distinti per grandi vittorie militari) su cui nessuno avrebbe scommesso forse nemmeno un sesterzio, dopo aver iniziato la sua scalata da una umilissima condizione economica e sociale.

 

Il mix vincente per Basso e compagni dunque si compose di freddezza decisionale, perfetta organizzazione e attento studio strategico militare primordiale: elementi che erano mancati sotto il comando di Crasso e che, sommati ad una valutazione errata di Pacomio e truppe avversarie allo stremo, hanno portato ad una delle vendette militari più famose dell’età romana antica. È interessante notare la quasi beffarda analogia tra l’operato di Crasso e quello di Pacomio: la sottovalutazione dei rispettivi nemici ha portato ambo gli eserciti all’annientamento totale ed ambo i generali alla decapitazione.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]