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N. 25 - Gennaio 2010
(LVI)
La provincia di Britannia
Una convenienza amministrativa - PARTE I
di Valentina Riccio
La
provincia
di
Britannia
nacque
e
venne
organizzata
sotto
l’imperatore
Claudio,
a
seguito
della
conquista
del
43
d.C.
che,
dopo
quasi
un
secolo
dalle
due
invasioni
di
Cesare,
fu
l’impresa
che
permise
l’annessione
della
parte
sud-orientale
dell’isola
all’impero
di
Roma,
vale
a
dire
il
territorio
a
sud
del
confine
che
univa
gli
estuari
dei
fiumi
Trent
e
Severn,
escludendo
Galles
e
Cornovaglia.
Nessuno,
prima
di
Cesare,
seppe
dare
un’informazione
adeguata
in
merito
all’ambiente
britannico
e
alle
sue
genti.
Fino
all’invasione
del
55
a.C.,
le
notizie
relative
all’isola
furono
molto
scarse
e
Cesare
le
apprese
sia
da
quanto
raccontato
dai
mercanti
galli
sia
dalla
lettura
di
alcune
fonti
che
narravano
dell’antico
viaggio
di
Pitea
di
Marsiglia,
navigatore
vissuto
nel
IV
secolo
a.C.
Altre
informazioni,
di
poco
successive
a
Cesare,
ci
giungono
da
Strabone
(che
a
sua
volta
attinse
da
Pitea),
e da
Tacito.
La
prima
traccia
di
un
contatto
con
il
mondo
mediterraneo
è
visibile
nel
sito
portuale
di
Hangistbury
Head
dove,
attorno
al
100
a.C.,
si
sviluppò
un
importante
polo
commerciale.
Tuttavia,
al
mondo
romano
la
Britannia
risultava
essere
una
realtà
del
tutto
sconosciuta,
in
quanto
nessun
esercito
vi
era
mai
sbarcato
prima
delle
invasioni
di
Cesare
e,
di
certo,
non
si
può
affermare
che
gli
abitanti
dell’isola
conoscessero
la
cultura
romana,
giunta
presso
di
loro
attraverso
la
mediazione
dei
Galli
e
soltanto
sotto
forma
di
manifatture
e
prodotti
commerciali.
Al
suo
arrivo,
Cesare
scoprì
una
realtà
sociale
diversa
da
tutte
quelle
da
lui
conosciute
fino
ad
allora,
sicuramente
più
solida
e
compatta.
I
Celti
della
Britannia,
essendo
originari
del
continente,
erano
espressione
di
tutti
i
nuclei
celtici
dell’Europa
di
La
Tène,
cultura
conosciuta
in
base
ai
ritrovamenti
archeologici
della
località
svizzera
dalla
quale
trae
il
nome
ma,
a
causa
della
posizione
geografica
più
lontana
dalla
sfera
d’influenza
mediterranea,
tale
cultura
poté
consolidarsi
lungo
tutta
la
media
e
tarda
Età
del
Ferro
e
profilarsi,
dunque,
come
indigena.
La
Britannia,
una
volta
conquistata
e
trasformata
in
provincia
romana,
venne
organizzata
secondo
il
modello
augusteo
della
provincia
imperiale;
la
presenza
dell’esercito,
dunque,
si
rese
necessaria
non
solo
a
scopo
di
difesa
e
pacificazione
dei
territori
conquistati,
ma
anche
per
proseguire
la
conquista
dell’isola.
Inoltre,
l’esercito
giocò
un
ruolo
di
grande
rilievo
sotto
un
altro
aspetto,
la
civilizzazione,
fattore
molto
influente
anche
in
vista
dell’organizzazione
del
territorio;
in
questo
caso,
si
rende
necessario
analizzare
la
complessità
sociale
celtica:
il
meridione
dell’isola,
infatti,
era
abitato
da
numerose
tribù
originarie
del
continente
che
Tacito,
nell’Agricola,
presenta
come
un
popolo
intoccato
dalla
civiltà,
ma
non
per
questo
si
deve
pensare
che
fossero
completamente
ostili
alla
civilizzazione.
La
cultura
La
Tène
a
cui
appartenevano,
infatti,
rappresentava
una
mediazione
nei
confronti
della
stessa
civilizzazione
e
della
formazione
di
centri
urbani
di
stampo
mediterraneo,
iniziata
a
partire
dalla
precedente
cultura
di
Hallstatt.
Tale
mediazione,
tuttavia,
fu
certamente
più
efficace
sul
continente
che
in
Britannia,
dove
la
cultura
La
Tène
si
affermò
circa
tre
secoli
più
tardi.
Questa
costituì
comunque
una
rottura
rispetto
all’Età
del
Ferro
del
I
millennio
a.C.:
la
società
celtica
di
quel
tempo
era
caratterizzata
da
bande
guerriere,
dominate
da
capi
in
grado
di
aumentare
costantemente
il
loro
prestigio,
sino
ad
essere
deificati;
con
la
media
Età
del
Ferro,
invece,
si
passò
a
società
apparentemente
più
paritarie,
la
cui
base
si
allargò
notevolmente,
dando
vita
a
una
struttura
statale
con
un’assemblea
di
guerrieri
e
una
di
anziani.
I
loro
capi
dovevano
essere
nominati
per
elezione
e si
trattava
propriamente
di
capi
tribù
guerrieri
(non
di
sovrani),
titolari
di
un
mandato
che,
talvolta,
poteva
essere
revocato.
Tutto
ciò
prefigura
un
concetto
di
realtà
statuale,
anche
se
la
popolazione
non
era
uniformemente
distribuita
e
gli
insediamenti
erano
rari:
proprio
su
tali
realtà
di
“popolazioni-stato”
si
andrà
ad
inserire
la
struttura
amministrativa
romana
che,
mantenendo
le
suddivisioni
tribali
originarie,
ne
farà
delle
civitates.
La
complessità
sociale
celtica,
dunque,
permette
di
definire
una
realtà
non
completamente
estranea
né
alla
civilizzazione,
né
all’organizzazione
di
insediamenti:
i
centri
fortificati,
che
i
Romani
chiamavano
oppida,
erano
particolarmente
diffusi
nell’Europa
continentale
per
diretta
conseguenza
dell’intensificarsi
del
commercio.
Ne
troviamo
alcune
tracce
anche
nella
Britannia
sud-orientale,
dove
divennero
un
importante
crocevia
anche
per
le
rotte
fluviali.
Ma,
prima
di
tutto,
a
testimonianza
della
cultura
protourbana
dei
Britanni
vi è
la
verificata
presenza
di
strutture
fortificate
di
ridotte
dimensioni,
che
gli
archeologi
inglesi
definiscono
hillforts:
si
tratta
di
antichi
avamposti
finalizzati
alla
difesa
e
attestati
su
rilievi
collinari;
le
rivalità
fra
tribù,
infatti,
costringevano
alla
creazione
di
insediamenti
di
questo
tipo,
data
la
sempre
maggiore
coscienza
di
un
dominio
territoriale
e la
sensibile
trasformazione
dell’élite
guerriera
in
dinastia,
processo
che
si
concretizzò
tra
la
seconda
metà
del
I
secolo
a.C.
e il
I
d.C.
La
possibilità
di
guidare
un
esercito,
concessa
a
personaggi
femminili
come
Boudicca,
regina
della
tribù
degli
Iceni,
è
indice
della
formazione
di
dinastie.
Questa,
infatti,
condusse
una
ribellione
contro
i
Romani
nel
61,
avvalendosi
dell’autorità
di
essere
vedova
del
sovrano,
poiché
attraverso
quella
figura
veniva
trasmessa
l’immagine
del
capo
guerriero.
Ciò
sta
a
significare
che,
a
prevalere
sulle
qualità
del
grande
guerriero,
furono
i
legami
di
sangue,
tramite
i
quali
quelle
stesse
qualità
venivano
trasmesse.
Con
la
diffusione
della
cultura
La
Tène,
dunque,
si
stava
verificando
il
passaggio
da
società
di
chiefdom,
cioè
comandate
da
capi
guerrieri
la
cui
autorità
era
definita
in
base
alla
dimostrazione
della
propria
forza,
a
società
in
cui
l’autorità
e il
potere
erano
sempre
più
trasmessi
per
via
dinastica.
Tutto
questo
processo
ebbe
i
suoi
riflessi
anche
sull’organizzazione
del
territorio:
se
nel
primo
caso
i
capi
guerrieri
si
insediavano
negli
hillforts,
cioè
in
quelle
strutture
difensive
che
non
offrivano
protezione
alla
popolazione,
né
controllavano
il
territorio
circostante,
nel
secondo
caso
il
dominio
territoriale
e
l’offerta
di
protezione
divennero
i
nuovi
criteri
di
legittimazione
del
potere,
tant’è
vero
che
si
giunse
alla
formazione
dei
primi
oppida,
centri
protourbani
che
l’archeologia
rivela
essere
dello
stesso
modello
presente
sul
continente.
In
Britannia,
però,
questi
insediamenti
erano
molto
rari
e
concentrati
per
lo
più
sulla
fascia
prossima
alla
costa
sud-orientale,
come
si è
detto,
per
diretta
influenza
del
commercio.
Ognuno
di
questi
insediamenti,
col
tempo,
divenne
il
capoluogo
del
territorio
controllato
da
una
determinata
tribù.
Il
fatto
che
sull’isola
ve
ne
fossero
molte
è
indice
di
una
realtà
particolarmente
frammentaria,
descritta
sia
da
Cesare
nel
de
Bello
Gallico
sia
da
Tacito
nell’
Agricola:
nel
soffermarsi
sul
modo
di
combattere
dei
britanni
(caratterizzato
da
velocità,
agilità,
ma
nello
stesso
tempo
dal
disordine)
questi
autori
mettono
in
evidenza
la
mancanza
di
organizzazione
sociale
e
del
senso
di
comune
appartenenza
ad
un
popolo.
Proprio
questo
fu
il
punto
debole
di
cui
Roma
approfittò
per
organizzare
il
territorio,
ma
allo
stesso
tempo
fu
uno
degli
aspetti
che
impedì
la
romanizzazione
dell’isola;
infatti,
come
sostiene
S.
S.
Frere,
si
deve
parlare
di
cultura
romano-britanna,
poiché
le
due
culture
si
unirono
in
una
sintesi
che,
comunque,
risultò
essere
produttiva.
Proprio
l’accentuarsi
degli
scontri
fra
le
tribù
fu
uno
dei
fattori
che
diedero
spazio
all’invasione
romana,
vista
la
mancanza
di
un
governo
centrale
e di
una
difesa
militare
unitaria
e
organizzata:
infatti,
le
strutture
difensive,
conseguentemente
alla
ripartizione
delle
numerose
tribù
britanniche,
non
erano
uniformemente
distribuite.
Inoltre,
a
partire
dal
I
secolo
a.C.,
gli
hillforts
della
parte
centro-meridionale
dell’isola
vennero
sempre
più
abbandonati,
per
via
del
progressivo
cambio
di
orientamento
economico
verso
la
sfera
mediterranea.
I
Romani,
dunque,
si
trovarono
ad
affrontare
una
realtà
in
corso
di
trasformazione.
È
difficile
affermare
con
certezza
se
Cesare
avesse
progettato
l’invasione
della
Britannia
a
seguito
dei
suoi
grandi
successi
in
Gallia.
G.
Zecchini
sostiene
che
avesse
pianificato
la
spedizione
già
alla
fine
del
56
a.C.
per
procurarsi
una
nuova
gloria
attraverso
il
primo
sbarco
in
Britannia,
e
per
inserire
un’altra
zona
all’interno
di
quello
che
avrebbe
voluto
come
suo
dominio
personale,
ovvero
la
Gallia
da
lui
conquistata,
instaurando
perciò
un
rapporto
clientelare
con
quelle
province.
C.
Meier,
inoltre,
ipotizza
che
egli
avesse
in
mente
una
rapida
campagna
militare,
dal
momento
che
condusse
prontamente
le
truppe
verso
la
Manica.
Questa
spedizione,
dunque,
non
sarebbe
stata
altro
che
una
sorta
di
“missione
di
perlustrazione”
che
avrebbe
fatto
da
preludio
a un
progetto
più
consistente.
A
dare
un
chiarimento
in
merito
all’organizzazione
della
spedizione
è L.
Canfora,
che
sottolinea
come
lo
sguardo
romano
fosse
rivolto
oltre
Manica
proprio
agli
inizi
della
spedizione
in
Gallia,
a
causa
degli
stretti
rapporti
che
la
Britannia
aveva
con
le
popolazioni
che
vivevano
nelle
odierne
regioni
di
Normandia
e
Bretagna;
prova
ne è
che
la
prima
esplorazione
della
costa
antistante
l’isola
fu
affidata
a
Crasso
già
nella
tarda
estate
del
57.
Il
successivo
crollo
del
predominio
dei
Veneti,
tribù
gallica
che
si
oppose
con
forza
a
Cesare,
cambiò
gli
equilibri
geopolitici
dell’odierna
Francia
settentrionale
e si
posero
dunque
le
premesse
per
l’espansione
romana
in
quella
direzione.
Cesare,
invece,
sembrò
far
intendere
la
necessità
di
una
spedizione
punitiva
nei
confronti
dei
Britanni;
essi,
infatti,
fornirono
appoggio
militare
ai
Galli
durante
i
combattimenti
sul
continente.
In
realtà,
il
comandante
nutriva
anche
una
certa
curiosità
nei
confronti
dell’isola.
La
prima
spedizione
avvenne
nel
55
a.C.,
sul
finire
dell’estate,
e
non
lasciò
altro
a
Cesare
che
la
fama
per
essere
sbarcato
per
primo
su
un’isola
sconosciuta,
ai
confini
del
mondo,
della
quale
alcuni
dubitavano
addirittura
l’esistenza.
Insomma,
un
successo
solo
apparente,
poiché,
quanto
agli
ostaggi
richiesti
dai
romani,
soltanto
due
tribù
li
inviarono.
Non
si
può
dire,
dunque,
che
dal
punto
di
vista
militare
questa
spedizione
fu
un
vero
trionfo,
perlomeno
non
uno
di
quelli
a
cui
i
Romani
erano
avvezzi.
La
Britannia
doveva
essere
conquistata,
e lo
stesso
scritto
di
Cesare
dimostra
che
egli
la
considerava
come
una
questione
in
sospeso.
La
volontà
espansionistica
e il
prestigio
economico
erano
entrambi
fattori
che
spinsero
il
comandante
a
voler
ritentare
l’impresa.
Anche
in
questo
caso
non
si
può
parlare
di
un
vero
e
proprio
trionfo
da
parte
romana,
tanto
che
Dione
Cassio
giudica
negativamente
queste
imprese
cesariane,
sia
da
un
punto
di
vista
militare
sia
politico,
mettendo
in
luce
la
scarsa
riuscita
dell’impresa.
Tuttavia,
il
solo
fatto
che
Cesare
fosse
riuscito
a
condurre
le
truppe
in
un
territorio
al
di
là
dell’oceano
fu
un
successo,
per
il
quale
il
senato
romano
decretò
venti
giorni
di
trionfo;
successo
che,
come
si
vedrà,
non
sarà
tanto
facile
a
ripetersi
nei
tempi
a
venire.
Le
imprese
di
Cesare
avevano
però
avviato
una
serie
di
iniziative,
più
o
meno
realizzate,
volte
alla
conquista
dell’isola.
L’approdo
in
Britannia
confermò
il
suo
carisma
politico
e
militare,
dal
momento
che
non
tutti
i
suoi
successori
riuscirono
a
convincere
l’esercito
ad
attraversare
l’oceano.
Tuttavia,
le
sue
azioni
non
condussero
a un
risultato
definitivo;
l’esperienza
del
dittatore
fu
certamente
cruciale,
ma
non
sufficiente
per
fare
della
Britannia
una
provincia,
anche
se
l’imposizione
del
tributo
al
termine
della
seconda
spedizione
potrebbe
far
pensare
che
questo
fosse
l’obiettivo.
Ovviamente,
dietro
la
richiesta
di
pagamento
del
tributo
c’era
anche
l’offerta
di
protezione,
secondo
il
modello
che
si
sviluppò
a
partire
dal
sistema
clientelare
diffuso
sia
nella
realtà
romana
sia
in
quella
celtica
di
La
Tène.
Ma
in
Gallia
esso
attecchì
più
facilmente
che
in
Britannia,
poiché
la
posizione
geografica
e la
difficoltà
di
raggiungere
l’isola
costituirono
ancora
una
volta
una
barriera
naturale
per
i
Britanni;
inoltre,
per
esigere
da
loro
obbedienza
sarebbe
stato
necessario
lo
stanziamento
di
alcune
legioni,
poiché,
come
si è
detto,
si
trattava
di
una
società
molto
diversa
e
lontana
dalla
civiltà
romana.
Questo
provvedimento,
tuttavia,
sarà
adottato
in
primo
luogo
da
Claudio.
Il
tributo
annuale
imposto
da
Cesare
non
venne
mai
pagato.
Per
i
Britanni,
la
possibilità
di
recepire
il
modello
romano
fu
scarsa
per
i
motivi
di
cui
si è
parlato
in
precedenza
e,
di
conseguenza,
sarebbe
stata
più
difficile
una
conquista
senza
l’imposizione
della
forza.
Per
questo
il
tributo
di
Cesare
non
risultò
efficace.
Lo
sviluppo
della
civilizzazione
nella
realtà
celtica
diventa
perciò
un
altro
elemento
da
tenere
in
considerazione:
la
capacità
di
recepire
il
sistema
romano
deve
essere
immaginata
come
un
lento
e
graduale
processo
che
coinvolse
l’Europa
a
partire
dalle
aree
sud-orientali
fino
a
giungere
in
quelle
nord-occidentali,
seguendo
il
flusso
di
spostamenti
di
élites
e
bande
guerriere
tanto
diffuse
dapprima
nella
cultura
di
Halstatt
e
poi
lentamente
scomparse
con
la
successiva
cultura
lateniana.
Se
in
Europa
troviamo
modelli
protourbani
di
oppida
e
una
civilizzazione
fiorente
a
partire
dalla
seconda
metà
del
I
millennio
a.C.,
in
Britannia
dobbiamo
immaginare
che
tale
modello
sia
arrivato
con
un
certo
margine
di
ritardo,
tanto
che
all’arrivo
di
Cesare
i
primi
oppida
avevano
da
poco
fatto
la
loro
comparsa.
Il
processo
di
civilizzazione
britannico
era
dunque
appena
cominciato
e
aveva
coinvolto
soltanto
le
aree
sud-orientali
che,
come
si è
visto,
furono
toccate
dai
contatti
col
continente
e
occupate
da
tribù
provenienti
proprio
da
qui;
in
particolare
fu
il
Kent
a
subire
la
maggiore
influenza
continentale
e
proprio
per
questo
fu
una
delle
aree
più
sensibili
alla
romanizzazione.
Inoltre,
i
territori
sud-orientali
furono
proprio
quelli
coinvolti
anche
dalla
diffusione
della
precedente
cultura
halstattiana,
e
non
a
caso
la
cultura
La
Tène
andò
praticamente
a
sovrapporsi
ad
essa,
come
del
resto
accadde
nel
continente.
Come
già
accennato,
nel
mondo
celtico
la
struttura
protourbana
era
comparsa
sul
continente
in
conseguenza
della
precedente
nascita
di
centri
organizzati,
frutto
della
cultura
di
chiefdom
hallstattiana:
in
questo
caso,
al
vertice
della
società
si
trovava
la
figura
del
capo
guerriero,
colui
che
era
in
grado
di
offrire
protezione
agli
abitanti
del
territorio
circostante
al
centro.
Gli
insediamenti,
però,
non
racchiudevano
una
porzione
significativa
della
popolazione,
la
quale
veniva
in
essi
riunita
solo
in
caso
di
pericolo.
Il
centro
controllava
perciò
una
porzione
di
territorio,
e
questo
è
uno
degli
aspetti
per
cui
queste
“sedi
principesche”
anticiparono
l’oppidum.
Progressivamente,
l’ambiente
cominciò
a
definirsi
secondo
i
criteri
del
modello
cittadino:
in
primo
luogo
quello
urbanistico
che,
come
già
accennato,
non
vedeva
la
presenza
di
grandi
edifici
monumentali
all’interno
del
centro
abitato,
né
un
particolare
ordine
interno,
ma
si
manifestava
più
che
altro
con
l’imponente
realizzazione
del
muro;
in
secondo
luogo,
il
criterio
economico,
secondo
cui
la
città
è
identificabile
in
una
concentrazione
di
popolazione
svincolata
dalla
produzione
di
beni
alimentari,
che
dovranno
arrivare
dalle
campagne
circostanti,
mentre
all’interno
si
sviluppa
l’attività
artigianale
insieme
a
una
serie
di
servizi;
infine,
il
criterio
politico,
per
cui
il
potere
concentra
una
parte
della
popolazione
e,
attraverso
il
centro,
controlla
un
territorio
più
ampio.
L’oppidum
diventa,
dunque,
centro
decisionale
e
capitale
di
un
popolo;
quale
insediamento,
è
l’elemento
migliore
per
indicarne
l’organizzazione
sociale
e
politica.
Le
dimensioni
degli
edifici,
come
nel
caso
di
ogni
città,
evidenziavano
una
differenza
di
status,
e
non
è
escluso
che
anche
le
decorazioni
delle
case,
la
maggior
parte
delle
quali
a
pianta
circolare
(conseguentemente
alla
concezione
cosmologica
e
della
ciclicità
del
tempo
nel
mondo
celtico),
ne
fossero
a
loro
volta
una
manifestazione,
ma
le
testimonianze
archeologiche
di
tali
elementi
sono
in
quantità
minima,
e
dunque
si
tratta
solo
di
un’ipotesi.
Certamente,
le
differenze
di
livello
sociale
sono
testimoniate
dalla
comparsa
di
tombe
a
inumazione,
le
quali
potevano
contenere
al
loro
interno
importanti
corredi,
soprattutto
quando
ad
essere
sepolte
erano
personalità
di
rango;
in
questo
caso,
erano
presenti
oggetti
di
metallo
in
abbondanza,
specialmente
armi.
È
dunque
all’interno
del
centro
abitato
che
si
evidenziano
le
differenze
in
ambito
sociale:
la
presenza
o
l’assenza
di
determinate
tipologie
insediative
non
possono
indicare
la
posizione
sociale
e
politica
di
un
gruppo,
né
tantomeno
situazioni
di
disuguaglianza
o
uguaglianza
sociale.
È
possibile
affermare
soltanto
che,
durante
la
tarda
Età
del
Ferro,
ci
sia
stato
un
significativo
incremento
della
densità
insediativa
anche
in
forza
dell’intensificazione
delle
attività
agricole.
La
struttura
urbana
fu
dunque
necessaria
e
conseguente
a
una
progressiva
organizzazione
sociale,
molto
utile
al
mondo
romano
per
la
sua
opera
di
controllo.
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