N. 64 - Aprile 2013
(XCV)
IL CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI
PROTOCRISTIANESIMO DI ANDREA FILIPPINI
di Christian Vannozzi
La
diffusione
del
cristianesimo
nel
corso
del
I
secolo
è
avvolta
nel
mistero;
pur
essendo
numerosi
i
libri
pubblicati
sull’argomento,
nessuno
storico
è
ancora
riuscito
a
spiegare
con
chiarezza
le
ragioni
del
diffondersi
del
cristianesimo
all’interno
del
giudaismo
e le
motivazioni
dell’ondata
di
conversioni
verificatesi
in
tutto
l’Impero.
A
questo
enigma
cerca
di
dare
risposta
Andrea
Filippini,
già
autore
di
altri
saggi,
nel
suo
nuovo
libro
Protocristianesimo.
Il
cristianesimo
del
Ι
secolo
alla
luce
degli
scritti
neotestamentari,
edito
dalla
GBE
/
Ginevra
Bentivoglio
EditoriA.
L’autore
compie
un
viaggio
attraverso
le
fonti,
cercando
di
ricostruire
l’organizzazione
e
l’attività
di
evangelizzazione
nella
Gerusalemme
dei
primi
cristiani.
Senza
propendere
per
l’una
o
l’altra
tesi,
l’obiettivo
dell’autore
è
quello
di
confrontare
il
cristianesimo
professato
dai
primi
credenti
con
quello
odierno,
seguendo
il
suo
iter
storico
lungo
tutta
la
sua
evoluzione.
È
fuori
di
dubbio
che
le
origini
della
Chiesa
vadano
rintracciate
in
Palestina,
in
Giudea
e
nella
Samaria,
perché
il
messaggio
fu
dapprima
rivolto
alle
“tribù
disperse
d’Israele”
– è
Cristo
stesso
ad
affermarlo
nel
Vangelo
–.
Il
cristianesimo
varcò
definitivamente
i
confini
palestinesi
grazie
al
convertito
Saulo,
che
promosse
l’evangelizzazione
dell’Anatolia,
della
Grecia
e di
Roma,
la
capitale
dell’Impero.
Fu
in
quel
momento
che
l’originale
messaggio
di
matrice
giudaica
entrò
in
contatto
con
il
pensiero
greco-romano,
fondato
su
speculazioni
e
prospettive
completamente
diverse.
Con
il
battesimo
dei
non
ebrei
vennero
abbandonate
le
usanze
e i
costumi
più
intransigenti
della
tradizione
mosaica.
La
legge
era
infatti
troppo
gravosa
e
incomprensibile
per
i
non
ebrei,
per
questo
Paolo,
assieme
agli
altri
apostoli,
decise
di
non
adottarla,
bensì
di
sostituirla
con
la
Legge
del
Cristo,
l’unica
via
per
mezzo
della
quale
l’uomo
può
raggiungere
la
salvezza.
Ma
come
era
organizzata
la
chiesa
primitiva?
Come
venivano
prese
le
decisioni?
Come
si
entrava
a
farne
parte?
Maria
veniva
venerata
come
vergine
e
madre
di
Dio?
Andrea
Filippini
tenta
di
rispondere
anche
a
questi
interrogativi
partendo
dal
Nuovo
Testamento,
le
prime
fonti
cristiane
scritte
in
greco.
Sappiamo,
infatti,
che
la
Bibbia
venne
scritta
in
ebraico
e
greco:
la
parte
delle
Sacre
Scritture
in
ebraico
comprende
il
Pentateuco,
i
Libri
storici
(o
profeti
anteriori),
i
libri
profetici
(o
profeti
posteriori/minori),
i
Sapienziali,
il
Salterio,
i
Proverbi
e
gli
scritti
Deuterocanonici
(non
canonici
per
gli
ebrei).
In
sostanza
possiamo
dire
che
l’Antico
Testamento
è
interamente
scritto
in
ebraico,
al
contrario
del
Nuovo
Testamento
scritto
in
greco,
con
un'unica
eccezione:
il
Vangelo
di
Matteo,
scritto
in
ebraico
perché
rivolto
agli
ebrei
e
solo
successivamente
tradotto
in
greco.
Con
la
condanna
a
morte
del
Cristo
da
parte
dei
capi
sacerdoti
ebrei
e
con
l’ostinato
rifiuto
del
popolo
giudeo
a
non
accettare
il
Cristo
come
il
Messia,
aspettato
e
preannunciato
dai
profeti,
gli
ebrei
avevano
perso
il
loro
“primato
d’unione”
con
Dio.
Questa
loro
presa
di
posizione
venne
ribadita
più
volte
dallo
stesso
rabbi
Gesù
Cristo
durante
la
sua
predicazione.
Nella
parabola
dei
vignaioli
omicidi
Gesù
narra
ciò
che
fece
l’Israele
carnale
ai
profeti
inviati
da
Jahvè
e
ciò
che
sarebbe
accaduto
a
lui:
“Si
mise
a
parlare
loro
con
parabole:
‘Un
uomo
piantò
una
vigna,
la
circondò
con
una
siepe,
scavò
una
buca
per
il
torchio
e
costruì
una
torre.
La
diede
in
affitto
a
dei
contadini
e se
ne
andò
lontano.
Al
momento
opportuno
mandò
un
servo
dai
contadini
a
ritirare
da
loro
la
sua
parte
del
raccolto
della
vigna.
Ma
essi
lo
presero,
lo
bastonarono
e lo
mandarono
via
a
mani
vuote.
Mandò
loro
di
nuovo
un
altro
servo:
anche
quello
lo
picchiarono
sulla
testa
e lo
insultarono.
Ne
mandò
un
altro,
e
questo
lo
uccisero;
poi
molti
altri:
alcuni
li
bastonarono,
altri
li
uccisero.
Ne
aveva
ancora
uno,
un
figlio
amato;
lo
inviò
loro
per
ultimo,
dicendo:
‘Avranno
rispetto
per
mio
figlio!’.
Ma
quei
contadini
dissero
tra
loro:
‘Costui
è
l’erede.
Su,
uccidiamolo
e
l’eredità
sarà
nostra!’.
Lo
presero,
lo
uccisero
e lo
gettarono
fuori
della
vigna.
Che
cosa
farà
dunque
il
padrone
della
vigna?
Verrà
e
farà
morire
i
contadini
e
darà
la
vigna
ad
altri’”
(Marco
12:1-9).
Leggendo
questo
passo
ben
si
capisce
l’ostilità
dei
giudei,
i
quali
sicuri
della
discendenza
carnale
con
Giacobbe
non
si
preoccupavano
di
mantenere
quella
spirituale.
I
primi
cristiani
erano
comunque
tutti
ebrei
(eccezion
fatta
per
il
legionario
convertito
ai
piedi
della
Croce),
e
per
questa
ragione
frequentavano
il
tempio
di
Gerusalemme
e le
varie
sinagoghe
dell’Impero.
Le
tradizioni
ebraiche
continuavano
a
essere
osservati
come
venivano
rispettati
i
capi
sacerdoti,
osteggiati
solo
quando
chiedevano
di
fare
qualcosa
contrario
al
volere
di
Dio:
“E
condottili,
li
fecero
stare
nella
sala
del
Sinedrio.
E il
sommo
sacerdote
li
interrogò,
dicendo:
‘Noi
vi
abbiamo
positivamente
ordinato
di
non
continuare
a
insegnare
in
base
a
questo
nome,
eppure,
ecco,
avete
riempito
Gerusalemme
del
vostro
insegnamento,
e
avete
determinato
di
recare
su
di
noi
il
sangue
di
quell’uomo’.
Rispondendo,
Pietro
e
gli
altri
apostoli
dissero:
‘Dobbiamo
ubbidire
a
Dio
come
governante
anziché
agli
uomini’”
(Atti
5:27-29).
I
cristiani
si
svincolarono
dai
giudei
e
cercarono
di
far
capire
alla
mentalità
fin
troppo
pragmatica
dei
romani
che,
nonostante
fosse
sorta
in
seno
al
giudaismo,
la
religione
cristiana
era
diversa
da
quella
ebraica.
Soltanto
con
la
conversione
dei
gentili,
che
non
erano
di
tradizione
ebraica
e
non
venivano
definiti
giudeo-cristiani
ma
soltanto
cristiani,
si
consumò
la
frattura
tra
ebraismo
e
cristianesimo
e si
fece
palese
alle
autorità
imperiali.
La
chiesa,
o
congregazione
primitiva,
era
organizzata
come
una
ekklesia,
che
tradotto
dal
greco
significa
riunione,
comunità
o
congregazione.
Tutti
i
cristiani
battezzati
formano
l’ekklesia,
da
non
confondere
con
l’edifico
chiesa.
La
chiesa
cristiana
non
è un
luogo
ma
l’insieme
dei
credenti,
per
questa
ragione
lo
scrittore
Filippini
predilige
la
parola
congregazione
al
posto
della
più
usata
chiesa.
Essi
si
incontravano
per
pregare
Jahvè
in
case
private
di
proprietà
dei
“fratelli”
più
ricchi,
e
solo
in
seguito
(dopo
l’editto
di
Costantino)
iniziarono
a
costruire
i
luoghi
di
culto.
La
direzione
era
in
mano
ai
sorveglianti
(episcopi)
e
agli
anziani
(presbiteri),
coadiuvati
da
alcuni
servitori
(diaconi).
I
termini
vengono
tradotti
nella
Bibbia
con
“vescovi”,
“preti”
e
“diaconi”.
Filippini
preferisce
usare
la
traduzione
più
letterale.
Ogni
congregazione
aveva
il
suo
corpo
di
anziani
e di
servitori,
che
provvedevano
rispettivamente
alla
gestione
spirituale
ed
economico-amministrativa
della
congregazione.
I
sorveglianti
vegliavano
invece
su
un
insieme
di
congregazioni,
in
modo
da
guidarle
e
coordinarle.
Come
ben
si
capisce
l’organizzazione
interna
dei
primi
cristiani
presupponeva
un
contatto
diretto
tra
le
parti
che
la
componevano.
Tutti
cooperavano
con
tutti,
come
fossero
una
famiglia,
e
avevano
come
obiettivo
l’opera
di
predicazione
che
Gesù
gli
aveva
affidato:
“E
Gesù,
accostatosi,
parlò
loro,
dicendo:
‘Ogni
autorità
mi è
stata
data
in
cielo
e
sulla
terra.
Andate
dunque
e
fate
discepoli
di
persone
di
tutte
le
nazioni,
battezzandole
nel
nome
del
Padre
e
del
Figlio
e
dello
spirito
santo,
insegnando
loro
a
osservare
tutte
le
cose
che
vi
ho
comandato.
Ed
ecco,
io
sono
con
voi
tutti
i
giorni
fino
al
termine
del
sistema
di
cose”
(Matteo
28:18-20).
Quest’opera
non
era
appannaggio
di
una
singola
classe
sacerdotale,
ma
dell’intera
congregazione
cristiana,
che
doveva
portare
il
Vangelo,
cioè
la
speranza
dell’avvento
del
regno
di
Dio,
l’unico
modo
possibile
per
lenire
ogni
male
dell’umanità,
malattia
e
morte
incluse:
“Allora
udii
un’alta
voce
dal
trono
dire:
‘Ecco,
la
tenda
di
Dio
è
col
genere
umano
ed
egli
risiederà
con
loro,
ed
essi
saranno
suoi
popoli.
E
Dio
stesso
sarà
con
loro.
Ed
egli
asciugherà
ogni
lacrima
dai
loro
occhi,
e la
morte
non
ci
sarà
più,
né
ci
sarà
più
cordoglio
né
grido
né
dolore.
Le
cose
precedenti
sono
passate’”.
(Apocalisse/Rivelazione
21:3-4).
Il
messaggio
del
Regno
di
Dio
si
basa
sulla
speranza
di
aver
riconquistato
la
possibilità
di
accedere
al
Paradiso
tramite
il
sacrificio
di
Gesù.
Coloro
che
coordinano
le
congregazioni
hanno
l’incarico
di
prendersi
cura
dell’anima
dei
confratelli
in
Cristo,
una
responsabilità
questa
che
avrebbe
dovuto
investirli
di
un
forte
spirito
di
servizio.
Le
decisioni
che
dovevano
guidare
la
congregazione
venivano
prese
dal
corpo
direttivo
di
Gerusalemme,
che
era
composto
dagli
apostoli
appositamente
scelti
da
Gesù.
Questi
apostoli
erano
12
(dopo
il
tradimento
di
Giuda
il
dodicesimo
posto
venne
preso
da
Mattia),
a
essi
si
aggiunse
Saulo
di
Tarso,
ribattezzato
con
il
nome
cristiano
di
Paolo.
Ogni
apostolo
rappresentava
una
tribù
di
Israele,
tranne
Paolo,
che
rappresentava
i
gentili
–
per
questa
ragione
gli
venne
attribuito
il
titolo
di
“apostolo
della
nazioni”
–.
Si
entrava
a
far
parte
della
comunità
cristiana
attraverso
il
battesimo,
atto
consapevole
e a
cui
si
poteva
giungere
solo
dopo
un
periodo
di
studio
e di
dedizione.
La
pratica
non
veniva
eseguita
sugli
infanti,
proprio
perché
non
potevano
conoscere
i
fondamenti
del
cristianesimo
e
quindi
decidere
di
spontanea
volontà
se
servire
Cristo
o
meno.
Filippini
spiega
che
sia
nei
Vangeli,
sia
negli
Atti,
sia
negli
scritti
dei
Padri
della
Chiesa,
era
previsto
un
percorso
di
preparazione
spirituale
precedente
l’atto
battesimale.
Lo
stesso
Tertulliano,
studioso
e
teologo
della
Chiesa
antica
spiegava
che
il
cammino
del
catecumeno
era
costituito
da
tre
tappe
essenziali:
predicazione,
dedizione
e
battesimo.
Un
bambino
non
poteva
né
recepire
la
predicazione,
né
dedicarsi
alla
pratica
devozionale
e
quindi
non
poteva
battezzarsi.
La
pratica
del
battesimo
infantile
fu
proposta
da
Agostino
d’Ippona,
il
quale
dichiarò
che
i
bambini
morti
senza
battesimo,
non
essendo
lavati
dal
Peccato
Originale,
non
avrebbero
avuto
accesso
al
Paradiso.
Il
tasso
di
mortalità
infantile
era
molto
alto
all’epoca
– in
Occidente
lo
sarà
fino
all’inizio
del
XX
secolo
– e
per
questa
ragione
si
iniziarono
a
battezzare
i
bambini,
di
modo
che,
se
anche
fossero
morti
prima
dell’età
adulta,
avrebbero
comunque
partecipato
alla
salvezza
di
Cristo.
Il
battesimo
veniva
effettuato
per
immersione
presso
i
fiumi,
i
laghi
o il
mare
stesso.
Il
riemergere
dall’acqua
rappresentava
la
rinascita
del
catecumeno,
l’ingresso
nella
sua
nuova
vita,
dedita
interamente
al
servizio
di
Dio.
La
parola
greca
baptisma
rappresenta,
infatti,
l’atto
dell’immersione,
e
non
l’aspersione
con
la
quale
vengono
battezzati
oggi
i
credenti.
Punto
molto
controverso
è
poi
quello
inerente
la
venerazione
della
Vergine
Maria
come
Madre
di
Dio.
Maria
fu
un
elemento
essenziale
nella
congregazione
cristiana
primitiva,
in
quanto
punto
di
riferimento
di
tutti
gli
apostoli.
È
indubbio
che
Gesù,
il
primo
figlio
di
Maria,
fosse
nato
per
volere
di
Dio
e
che
la
Madre
fosse
Vergine,
e
quindi
non
violata
da
uomo,
questo
però
non
significa
che
Maria
non
ebbe
mai
rapporti
con
Giuseppe.
Se
ci
si
basa
su
un’interpretazione
letterale
del
Nuovo
Testamento,
ci
si
accorge
che
in
esso
sono
presenti
altri
“fratelli”
di
Gesù:
Giacomo,
Giuda,
Giuseppe
e
Simone.
Soltanto
le
chiese
protestanti
accettano
questa
interpretazione.
La
Chiesa
ortodossa
afferma
che
questi
“fratelli”
erano
in
realtà
fratellastri,
figli
che
Giuseppe
aveva
avuto
da
un
matrimonio
precedente,
mentre
la
Chiesa
cattolica
ha
messo
in
evidenza
che
il
termine
greco
con
cui
si
indica
il
suddetto
rapporto
di
parentela
può
significare
sia
“fratello”
sia
“cugino”.
Giacomo
e
Giuda
sarebbero
dunque
cugini
di
Gesù
– e
non
fratelli
–,
fornendo
così
la
controprova
della
perpetua
virginitas
Mariae.
Eppure,
per
quanto
non
si
voglia
riconoscere
questo
fatto,
ci
sono
dei
passi
evangelici
molto
chiari,
che
parlano
della
famiglia
di
Gesù:
“E
vennero
sua
madre
e i
suoi
fratelli,
e,
mentre
stavano
di
fuori,
mandarono
dentro
a
chiamarlo.
E
una
folla
era
seduta
intorno
a
lui,
e
gli
dissero:
‘Ecco,
tua
madre
e i
tuoi
fratelli,
di
fuori,
ti
cercano’”.
(Marco
3:31-34);
“Questo
è il
falegname,
il
figlio
di
Maria,
e il
fratello
di
Giacomo
e
Giuseppe
e
Giuda
e
Simone,
non
è
vero?
E le
sue
sorelle
sono
qui
con
noi,
non
è
così?”
(Marco
6:3);
“Gesù
le
disse:
‘Smetti
di
stringerti
a
me.
Poiché
non
sono
ancora
asceso
al
Padre.
Ma
va
dai
miei
fratelli
e dì
loro:
Io
ascendo
al
Padre
mio
e
Padre
vostro
e
all’Iddio
mio
e
Iddio
vostro’”
(Giovanni
20.17);
“degli
apostoli
non
vidi
nessun
altro,
se
non
Giacomo,
il
fratello
del
Signore”
(Galati
1:19).
Per
riprendere
un’espressione
usata
da
Filippini,
"l’acqua
pura
si
beve
alla
fonte
e
non
alla
foce".
È
facile
supporre
che,
nel
corso
dei
secoli,
il
cristianesimo
abbia
subito
influssi
da
altre
religioni
o da
altre
filosofie,
come
gli
affluenti
si
immettono
nel
fiume
lungo
il
suo
percorso.
Con
questo
Filippini
non
afferma
che
le
confessioni
religiose
siano
frutto
di
una
cattiva
interpretazione
del
Testo
Sacro
o di
un’evoluzione
“errata”,
piuttosto
nota
come
nel
tempo
si
siano
discostate
dalla
predicazione
originaria,
frantumando
l’unità
iniziale
e
andando
a
formare
una
moltitudine
di
correnti
dottrinali,
ognuna
delle
quali
sostiene
di
essere
la
vera
depositaria
del
sapere.
In
realtà
il
cristianesimo
è, e
sarà
sempre,
quello
insegnato
da
Gesù
e
portato
avanti
dagli
apostoli
e
dalle
prime
congregazioni,
senza
“contaminazioni”
di
alcun
genere.