N. 12 - Dicembre 2008
(XLIII)
Meglio
prostitute che
streghe
“emergenza
streghe” e
interventi della
Chiesa
di Marzio Draghi
L’emergenza porta sempre a
prendere decisioni sbagliate. E soprattutto a creare
grandi ingiustizie. Questo dovrebbe essere un monito che
vale sempre, anche ai nostri giorni, quando di fronte a
certe paure, nella maggioranza dei casi più indotte che
reali, si adottano soluzioni che portano anche a
stravolgere i principi del diritto con la scusa di una
maggiore severità orientata, però, guarda caso, a
colpire i più deboli o le persone più pericolose per
l’autorità costituita. Ma qui mi fermo per non
rinfocolare polemiche attuali fin troppo vive. E torno,
invece, rapidamente indietro nel tempo di poco meno di
novecento anni. Mi occuperò della cosiddetta “emergenza
streghe”. Un’emergenza che durò qualche secolo! E degli
interventi presi dalla Chiesa e dai diversi papi per
farvi fronte. E l’appoggio che ad essi fornì l’autorità
civile, connivente e interessata.
Cominceremo dal Papa, Alessandro III, salito al soglio
pontificio nel settembre 1159. papa particolare questo
che, tra l’altro, aveva affermato che le operazioni
mediche, che avessero richiesto spargimento di sangue,
non sarebbero mai state approvate dalla Chiesa. Tutto
sommato, questa ordinanza può essere valutata
positivamente perché si può dire che da quell’epoca la
medicina finì di sottostare alla religione per
cominciare a compiere il suo lungo e faticoso cammino
per diventare una scienza, anche se all’inizio, come
sappiamo, i primi chirurghi furono soprattutto
barbitonsori, cioè barbieri, detti anche cerusici, che
operarono almeno fino al Settecento.
Ma non perdiamo il filo del discorso e torniamo alle
nostre streghe. Alessandro III emanò, come dicevamo, la
bolla pontificia l’Accusatus con la quale, in
pratica, si dà il via a una nuova procedura giudiziaria
che poi verrà chiamata “inquisitoria”.
Questa novità sarà
fondamentale nel modificare il diritto penale in tutta
Europa. In altri termini, in tal modo diventa possibile
arrestare, processare, inquisire e condannare una
persona senza che legalmente questa possa opporre alcuna
obiezione, in quanto il giudice può procedere in base al
semplice sospetto. Insomma, non era tanto importante ciò
che l’accusato commetteva ma quanto pensava di lui
l’autorità. Si tratta della legge del “sospetto”:
all’accusato resta solo la possibilità di confessare il
crimine e, se non lo fa, ci pensa la tortura o un regime
di cattività molto pesante.
Questa norma è quella a cui si riferiranno in seguito i
cosiddetti “sceriffi della fede”, cioè gli inquisitori
domenicani e francescani ai quali poi, verso il
Cinquecento, si uniranno i gesuiti, tra i quali il
famoso Del Rio, autore delle Disquisizioni magiche
e che fu citato da Alessandro Manzoni ne I promessi
sposi.
Ma dietro questo
intervento del papa c’è una paura ancora più grande di
quella delle streghe, la lotta alle sette ereticali che
a quell’epoca cominciavano a svilupparsi mettendo in
dubbio l’autorità della Chiesa.
L’eretico o la strega per
salvarsi dalla pena di morte avevano una sola
possibilità: confessare quello che gli veniva
contestato. Ma anche questo atteggiamento, spesso, non
era sufficiente. E la discrezione del giudice era
comunque sovrana. Le prostitute, invece, erano
decisamente meno pericolose per la Chiesa. Certo,
l’istituzione religiosa le condannava moralmente ma ne
riconosceva la piena legittimità, tanto che nessuno
proibiva loro di incassare quanto pattuito per le loro
prestazioni sessuali. E questo per un motivo semplice:
in tal modo quelle donne potevano pagare le decime alla
Chiesa.
Dopo Alessandro III, Lucio III (1181-1185) emanò la
bolla pontificia Ad abolendam, con la quale si
dava vita all’istituzione delle “procedure d’ufficio”,
in pratica prendeva il via il tribunale
dell’inquisizione, una organizzazione giudiziaria
ecclesiastica, che ribadiva tra l’altro la condanna ai
Catari, ai Patarini, ai Valdesi e ai seguaci di Arnaldo
da Verona. D’altra parte, lo stesso Tomaso d’Aquino
nella Summa Theologica sosteneva che: “è un
delitto molto più grave falsificare la fede, che è la
vita dell’anima, che falsificare il denaro, che serve
alla vita mondana”.
Da qui in avanti, molti
Papi intervennero su questi temi. Ad esempio, dopo il
Concilio Lateranense IV (1231), seguì un’altra bolla,
denominata Excommunicamus, emanata da Papa
Gregorio IX (1227-1247) che istituiva tribunali per
crimini d’eresia, presieduti da domenicani e
francescani; e via via fino ad Alessandro VI (1492-1503)
con la bolla Cum acceperimus nella quale si
denunciavano i sortilegi e le malie delle streghe che
“distruggono uomini, bestie, campi”, ordinando di
intervenire severamente contro i colpevoli.
Tutti questi decreti contro l’”emergenza streghe”
verranno, d’altra parte, riconfermati dalla bolla di
Papa Paolo III Licet ab initio, nello stesso anno
1542 in cui si aprirà il Concilio di Trento che fonderà
la nuova inquisizione romana, riconfermando la vecchia e
affidandola al “centralismo” oligarchico di alcuni
cardinali, che vennero poi nominati inquisitori
generali. Il Concilio darà inoltre disposizione ai
vescovi di eliminare “la fascinazione e l’incantesimo”,
oltre ai libri di astrologia e coloro che si dedicano
all’arte magica.
Circostanze contingenti hanno inoltre concorso a rendere
ancora più dura e disumana la caccia alle streghe.
è quanto
accade ad esempio durante la peste, quando di fronte
alla reazione popolare, che non sa spiegarsi l’origine
del morbo che miete vittime in quantità, si additano
come responsabili le streghe. Ecco cosa dice a tal
proposito il vescovo Federico Borromeo (1595-1631): “Non
appena aveva cominciato a infierire la peste, si diffuse
tra il volgo una certa convinzione che coloro i quali
esercitavano l'impegnativa arte di ungere, mescolassero
agli unguenti anche accordi pattuiti col demonio e che
gli stessi unguenti risultassero composti di veleni,
oltre al veleno vero e proprio della peste. Dicevano che
dagli stessi erano ricercati e raccolti rospi e
serpenti: tali bestie venivano fatte cuocere e mescolate
con il marcio che usciva dalle ulcere dei corpi affetti
da peste...”. Ma, una volta fermate le streghe, spesso
queste si rifiutavano di confessare. Sempre Borromeo. “E
ce ne furono di quelli che al giudice dicevano che erano
impediti in una forma occulta di confessare il vero: che
la gola era loro serrata e ostruita e che era stata data
loro dal medesimo demonio una pozione che, con un arcano
potere, proibiva anche di confidare qualsiasi cosa”. Per
cui diventava automatico il ricorso alla tortura per
cercare di ottenere dall’accusato la “verità”. E il
vescovo di Milano, di processi del genere ne celebrò
diversi, che si concludevano con l’ovvia e tragica
punizione del rogo. Inoltre, il vescovo, considerata
l’espansione del fenomeno, fece costruire un carcere
apposito per rinchiudervi "la moltitudine di streghe e
di stregoni" e favorire in tal modo "l'estirpazione di
così sorta di personaggi".
L’emergenza streghe viene affrontata, come abbiamo
visto, con la repressione più crudele sia da parte delle
autorità religiose che da parte di quella civile, che
rivendica anche un proprio preciso ruolo. Anche allora,
naturalmente, fiorirono i “collaboratori di giustizia”
ai quali la Chiesa prometteva benedizioni e indulgenze e
il potere civile poteva offrire premi in denaro e
promesse di liberazione di persone che si trovavano al
bando. Dovettero passare anni, ma alla fine ci si rese
conto che questa caccia alla streghe, spinta fino alle
estreme conseguenze, finiva per coinvolgere anche
persone assolutamente innocenti, che nulla avevano a che
fare con i malefici.
Sembra strano a questo
punto citare un personaggio come fra’ Eliseo Masini,
autore del Sacro arsenale ovvero suggerimenti
pratici su come si abbia a condurre un processo
inquisitorio, per far comprendere come a quell’epoca
(attorno agli inizi del 1600) si sentiva pressante,
anche da parte della Chiesa, il bisogno di porre un
freno o, almeno, calmierare quella pratica dilagante
contro le streghe.
Lo stesso Eliseo Masini
considera l’attribuzione della qualifica di strega
piuttosto “intrigata”, cioè non chiara come può apparire
a prima vista. E suggerisce che per procedere contro le
streghe "non deve l' inquisitore venire né a
carcerazione né a inquisizione, né a tortura, se prima
non è manifesto e provato giudizialmente il corpo del
delitto, cioè il maleficio". Ma come fare a stabilire
che la prova è autentica?
Non basta, dice ancora
Masini, che la persona “maleficiata” sia inferma o
morta, bisogna sentire cosa ne pensano i medici per
riconoscere se l’infermità è o no naturale. Insomma,
bisogna procedere con cautela nei confronti delle
pretese streghe, svolgendo accurate, preliminari
indagini e raccogliendo tutti gli indizi necessari. Ma
il Masini insiste. Raccomanda i giudici di stare attenti
a non condannare una donna solo perché ha una brutta
fama: “Facilmente si leva cotal fama contro qualche
donna, massimamente quando é vecchia e brutta" e
fornisce altri elementi nella raccolta delle prove di
condanna che farebbero pensare a una persona scrupolosa
e desiderosa di giustizia, se non fosse per certe
descrizioni che riguardano la prassi della tortura,
svolte con un certo compiacimento e che sconcertano non
poco: “Sottoposto al tormento, egli [il prigioniero],
con i piedi nudi spalmati di lardo di maiale e tenuti
fermi in ceppi vicino a un bel fuocherello ardente (…)
all’inizio restò zitto sotto quella tortura, poi
cominciò a gridare ad alta voce…”
Questa, l’immagine di un
“delizioso quadretto inquisitorio” da parte del
tollerante frate domenicano Eliseo… |