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N. 21 - Febbraio 2007

NUOVE PROSPETTIVE DI PACE IN MEDIORIENTE

Il piano segreto con la Siria e la proposta Peretz

di Daniel Arbib Tiberi

 

Mentre il presidente dell’Iran Mahamou Ahmadinejad continua, sicuro della sua forza, a minacciare gli americani e i sionisti (intervista al Corriere della Sera del 17/01/2006) e Hezbollah festeggia a Beirut le dimissioni del generale delle Forze di Difesa Israeliane Dan Halutz come una seconda vittoria militare (peccato che, se non la si legge sotto il profilo mediatico, non esiste neanche la prima vittoria militare), qualcosa sul fronte diplomatico sembra muoversi, almeno in due sensi.

 

Prima notizia da riportare al pubblico è l’esclusiva riportata pochi giorni fa dal quotidiano israeliano di matrice progressista Haaretz che, citando fonti sicure, annuncia la presenza di un patto segreto di pace tra Siria e Israele.

 

Secondo il quotidiano l’accordo sarebbe questo: in cambio di un ritiro di Tzhaal dalle alture del Golan in cinque quindici anni, Damasco si impegnerebbe a non fornire più alcun supporto ad Hamas, ad Hebollah e di distanziare la sua politica estera da quella di Teheran.

 

Va detto però, molto chiaramente, che il supposto accordo segreto è stato bollato come notizia falsa dal governo Olmert che, da parte sua, si è affrettato a bollare la cosa come una iniziativa di personaggi solitari (per precisione Alon Liel, ex direttore generale del ministero degli esteri di Tel Aviv al tempo di Sharon e Ibrahim Suleiman, ricco uomo di affari arabo con passaporto statunitense).

 

A fronte di tutto ciò comunque in queste ore il Ministro degli Esteri israeliano Sig.ra Livni ha accusato l’Iran di rappresentare il pericolo maggiore a livello globale mentre, nello stesso tempo, sta prendendo in mano il fronte di coloro che in Israele stanno spingendo sul Premier Olmert per convincerlo ad aprire negoziati con Assad e a fornirgli una apertura di credito sulla fiducia.

 

Guardando al passato, sebbene i conflitti tra i due paesi mediorientali siano sempre stati estremamente aspri (anche sotto il profilo della violenza), già al tempo di Barak si sfiorò l’accordo su una pace definitiva.

 

A tirarsi indietro allora, per motivazioni dettate dalla debolezza della sua coalizione governativa, fu proprio il leader del partito laburista israeliano che, attraverso una difficile scelta di realpolitik decise di puntare tutte le sue carte in una soluzione del problema palestinese (uno sforzo purtroppo fallito per il rifiuto di Arafat di accettare una offerta definitiva storica).

 

La seconda novità è poco discussa ma altrettanto interessante. Secondo fonti israeliane il Ministro della Difesa israeliano Amir Peretz starebbe per presentare una sua personale proposta di pace.

 

L’iniziativa mira soprattutto a ridare credito al ministro stesso in calo di consenso dopo la guerra del Libano.

 

Il piano non crea nulla.

 

La novità risiede nel fatto che esso tenta di unire due precedenti proposte diverse: il piano di pace arabo del 2002 ( riconoscimento di Israele da parte di tutti gli Stati arabi in cambio del ritiro delle truppe di Gerusalemme sulla linea del 4 giugno 1967) e la road map, la proposta di pace lanciata nel 2003 dal quartetto internazionale (Onu, Ue, Russia e Usa) che, almeno in teoria, avrebbe dovuto vedere la nascita di uno Stato palestinese nel 2005 (con la fine delle violenze) e che oggi si punta a rilanciare in qualche modo.

 

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