N. 109 - Gennaio 2017
(CXL)
Luci e ombre sul programma nucleare nazista
olocausto
nucleare mancato – Parte Ii
di Gian Marco Boellisi
Finora
abbiamo
presentato
solo
dei
fatti.
Ma
quali
prove
Karlsch
propone
a
favore
della
sua
tesi?
L’elemento
principale
sarebbe
un
brevetto,
presentato
nel
1941,
per
armi
al
plutonio.
Questa
affermazione
presa
così
risulterebbe
una
prova
alquanto
effimera,
dato
che
il
brevetto
non
implica
di
per
sé
la
conseguente
produzione
di
un
ordigno.
Nel
suo
libro
viene
citato
un
testimone
di
uno
dei
due
test,
in
particolare
dell’esplosione
avvenuta
a
Ohrdruf.
Questa
dichiarazione
sarebbe
concomitante
ad
altre
simili,
riguardanti
esplosioni
avvenute
in
Germania
in
quel
periodo.
Infatti
si
potrebbe
citare
il
rapporto
di
una
spia
russa,
che
riferì
di
“due
forti
esplosioni”
in
una
notte
di
marzo,
oppure
di
una
donna
tedesca,
interrogata
nel
dopoguerra
dalla
DDR,
che
raccontò
di
aver
visto
una
colonna
di
luce
intensa
alzarsi
di
notte
verso
il
cielo
e
poi
aprirsi
a
forma
di
albero.
Infine
vi è
forse
la
testimonianza
più
vicina
a
noi,
ovvero
quella
del
giornalista
italiano
Luigi
Romersa.
Nell’ottobre
del
1944
Romersa
fu
incaricato
dal
Duce
in
persona
di
portare
due
lettere
in
Germania,
una
a
Hitler
e
una
a
Goebbels,
per
avere
notizie
sulle
armi
naziste
che
venivano
sviluppate
in
quegli
anni.
Dopo
l’incontro
con
i
due
gerarchi
nazisti,
il
giornalista
afferma
di
essere
stato
portato
con
una
aereo
in
una
sconosciuta
isola
del
Mare
del
Nord.
Qui
sarebbe
stato
portato
in
un
bunker
e
avrebbe
assistito
a
un’esplosione
di
proporzioni
bibliche,
con
un
bagliore
accecante
subito
dopo
la
detonazione.
Romersa
sarebbe
stato
portato
anche
sul
luogo
dell’esplosione,
accompagnato
da
uomini
in
tuta
protettiva,
dove
avrebbero
potuto
saggiare
di
persona
gli
effetti
distruttivi
dell’ordigno.
Tornato
in
Italia,
egli
pubblicò
il 1
novembre
1944
un
articolo
sulle
V-1
e
V-2
e
sulle
straordinarie
nuove
armi
della
Germania,
le
quali
avrebbero
sicuramente
assestato
agli
Alleati
il
“colpo
finale”.
Oltre
alle
testimonianze
verbali,
lo
storico
tedesco
ha
presentato
anche
delle
analisi
ambientali
fatte
a
proprie
spese
su
campioni
di
terreno
proveniente
dalle
vicinanze
di
Ohrdruf.
Queste
confermerebbero
la
tesi
della
detonazione
nucleare,
poiché
presenterebbero
tracce
di
uranio,
plutonio,
cesio-137
e
cobalto-60.
Questa,
per
ovvie
ragioni,
costituirebbe
di
per
sé
una
prova
inoppugnabile
rispetto
alla
creazione
di
un
ordigno
nucleare.
Proprio
per
questo
motivo
nel
2006
sono
stati
effettuati
dei
test
a
Ohrdruf
per
cercare
di
fare
chiarezza
sulla
questione.
Tenendo
conto
che
gli
esperimenti
in
questione
sono
stati
fatti
nel
1944
e
che
non
fu
utilizzata
una
vera
e
propria
arma
nucleare,
i
livelli
di
radiazione
riscontrati
rientrerebbero
nella
norma.
Un
termine
di
paragone
utilizzato
in
queste
analisi,
pubblicate
dallo
Physikalisch-Technische
Bundesanstalt,
sono
stati
i
livelli
di
radiazione
conseguenti
all’incidente
di
Černobyl'
nel
1986.
Tuttavia,
non
tutti
sono
d’accordo
con
queste
analisi
e i
presupposti
sui
quali
si
fondano,
smentendole
per
dare
così
ragione
alla
tesi
di
Karlsch.
Per
quanto
questo
dibattito
sopravviva
ancora
parzialmente,
è
giusto
considerare
un
fatto
importante
che
è
stato
trascurato
dallo
storico
tedesco,
ovvero
la
provenienza
del
materiale
fissile
(uranio-235
o
plutonio).
Infatti,
per
costruire
un’arma
nucleare,
anche
di
piccole
dimensioni,
sono
necessari
ingenti
quantitativi
di
questi
due
metalli,
che
il
regime
di
Hitler,
per
quanto
ne
sappiamo,
non
possedeva.
Per
comprendere
meglio
di
che
cifre
parliamo,
è
corretto
fare
un
paragone
con
un
analogo
progetto
nucleare
sviluppatosi
in
quegli
anni:
il
celeberrimo
Progetto
Manhattan,
ovvero
la
ricerca
che
elevò
gli
Stati
Uniti
a
prima
potenza
nucleare
del
globo.
Il
programma
occupò
più
di
130.000
lavoratori
americani,
con
l’impiego
di
circa
due
miliardi
di
dollari
dell’epoca.
Per
ottenere
i 60
kg
di
uranio-235,
partendo
da
uranio-238,
necessari
per
la
bomba
di
Hiroshima
furono
necessari
60.000
lavoratori,
e un
numero
analogo
per
i
6 kg
di
plutonio
necessari
alla
bomba
di
Nagasaki.
Quanto
appena
descritto
risulta
essere
la
più
grande
incrinatura
nell’intera
teoria
presentata
da
Karlsch.
Egli
non
ne
fa
menzione,
e ad
oggi
questo
risulta
essere
forse
il
quesito
di
maggiore
interesse
per
gli
storici.
Un’ipotesi,
se
si
vuole
perseguire
la
tesi
di
Karlsch,
potrebbe
essere
che
i
nazisti
si
procurarono
questo
materiale
segretamente,
ma
questo
non
ci
aiuta
a
far
chiarezza.
Un’altra
questione
vitale
sarebbe
il
destino
degli
impianti.
Infatti
essi
sarebbero
dovuti
essere
enormi,
mentre
al
giorno
d’oggi
non
esiste
alcuna
testimonianza
della
loro
esistenza.
Karlsch
inoltre
propone
nella
sua
opera
il
luogo,
nei
dintorni
di
Berlino,
dove
il
team
di
sviluppo
coadiuvato
da
Diebner
sarebbe
riuscito
a
costruire
un
reattore
nucleare
tra
il
1943
e il
1944,
ottenendo
per
un
brevissimo
lasso
di
tempo
una
reazione
a
catena
nell'autunno
del
1944.
A
quanto
pare
invece
il
team
di
Heisenberg
non
riuscì
mai
a
costruire
un
reattore
funzionante.
Lasciando
da
parte
il
lavoro
dello
storico
tedesco,
è
doveroso
esaminare
alcuni
eventi
storici
di
quegli
anni
riguardanti
la
personalità
di
Heisenberg.
Per
cercare
di
far
chiarezza
sull’entità
delle
ricerche
naziste,
a
guerra
finita
gli
Alleati
catturarono
numerosi
scienziati
provenienti
dalla
Germania,
tra
cui
gli
stessi
Diebner
e
Heisenberg,
e li
confinarono
in
tutta
segretezza
nella
tenuta
inglese
di
Farm
Hall,
vicino
Cambridge,
nell’ambito
di
quella
che
fu
denominata
“Operazione
Epsilon”.
Il
suo
scopo
era
ascoltare
le
conversazioni
degli
scienziati
tedeschi
con
l’ausilio
di
microspie
piazzate
ovunque
nella
tenuta,
e
vedere
effettivamente
a
che
punto
fosse
arrivato
il
programma
nucleare
tedesco.
Dalle
registrazioni
non
emerse
nulla
di
significativo
e
quando
venne
comunicato
agli
studiosi
degli
avvenimenti
a
Hiroshima,
molti
rimasero
sorpresi,
convinti
che
un
tale
ordigno
potesse
esistere
solo
teoricamente.
Da
ultimo,
si
cercò
di
appurare
anche
la
vera
conoscenza
di
Heisenberg
stesso
in
materia.
Apparentemente
egli
si
mostrò
lacunoso
su
vari
concetti,
in
particolare
sulla
massa
critica
di
uranio
necessaria
per
dare
il
via
alla
reazione
a
catena.
Lo
scienziato
tedesco
ne
teorizzò
tredici
tonnellate,
mentre
gli
americani
ne
utilizzarono
solo
sessanta
chilogrammi.
Tale
quantità
di
uranio
fu
ottenuta
dagli
statunitensi
in
due
anni,
quindi
in
tempistiche
assolutamente
non
straordinarie
e
ben
in
anticipo
rispetto
alla
fine
del
conflitto.
È
chiaro
che,
seguendo
le
indicazioni
di
Heisenberg,
la
Germania
nazista
non
sarebbe
mai
riuscita
ad
arrivare
a un
prototipo.
E
proprio
qui
entra
in
gioco
forse
la
questione
più
difficile
da
interpretare
e
che
probabilmente
non
ci
darà
mai
gli
strumenti
adeguati
per
esprimere
un
giudizio
definitivo
sulla
questione:
la
moralità
di
Heisenberg.
Dopo
varie
analisi
effettuate
dagli
storici,
si
ritiene
ragionevolmente
veritiero
il
fatto
che
lo
scienziato,
inizialmente
affascinato
dal
nazionalismo
hitleriano,
si
sia
allontano
col
tempo
dalla
dottrina
nazionalsocialista
e
che
abbia
volontariamente
ritardato
le
ricerche
nucleari
del
regime.
Ci
sono
numerosi
fatti
da
prendere
in
considerazione.
Il
primo
e
probabilmente
più
significativo
risale
ai
giorni
dell’Operazione
Epsilon.
Diffusa
la
notizia
di
Hiroshima
a
Farm
Hall,
la
sera
stessa
Heisenberg
tenne
una
lezione
sull’argomento
ai
suoi
compagni
detenuti.
Dopo
aver
visualizzato
gli
appunti
della
lezione,
Hans
Bethe,
uno
degli
studiosi
coinvolti
nella
produzione
dell’atomica
americana,
affermò:
“La
mia
impressione
fu
che
Heisenberg
sapesse
molto
di
più
di
quanto
io
abbia
mai
creduto:
è
impensabile
che
sia
arrivato
a
simili
conclusioni
nel
giro
di
una
serata”.
Questo
episodio,
preso
singolarmente,
renderebbe
la
tesi
del
ritardo
programmato
incontrovertibile.
Tuttavia,
come
abbiamo
visto
finora,
trovare
una
certezza
inconfutabile
in
questa
discussione
risulta
difficile.
In
questo
caso,
è
vitale
considerare
un
episodio
avvenuto
nel
settembre
1941,
a
Copenaghen.
Qui
Heisenberg
si
incontrò
con
il
suo
mentore,
Niels
Bohr,
padre
del
moderno
modello
atomico
nonché
Nobel
per
la
fisica
nel
1922.
Bohr,
al
contrario
del
suo
allievo,
aveva
sempre
mostrato
un’aperta
ostilità
nei
confronti
della
Germania
nazista,
antipatia
che
lo
costringerà
a
emigrare
successivamente
negli
Stati
Uniti.
L’argomento
dell’incontro
è
ancora
oggi
tema
di
dibattito.
Si
contrappongono
infatti
due
scuole
di
pensiero.
La
prima,
a
favore
di
Bohr,
ritiene
che
Heisenberg
fosse
interessato
a
reclutare
il
suo
maestro
nelle
fila
degli
scienziati
nazisti
per
addurre
il
suo
contributo
alle
ricerche
in
corso.
La
seconda,
a
favore
di
Heisenberg,
ritiene
che
lo
scienziato
volesse
consegnare
informazioni
sensibili
sul
programma
nucleare
tedesco,
che
in
quel
particolare
momento
non
progrediva
molto
a
causa
di
mancanza
di
sostegno
da
parte
del
governo.
In
questa
maniera
avrebbe
dimostrato
la
scarsa
possibilità
della
realizzazione
di
un
ordigno
da
parte
dei
nazisti,
scoraggiando
gli
americani
a
produrne
uno
e a
sganciarlo
sulla
Germania.
È
difficile
far
luce
su
cosa
effettivamente
fu
detto,
anche
perché
vi è
un
ulteriore
elemento
da
considerare.
A
quanto
pare
Bohr
uscì
dall’incontro
spaventato
a
morte.
Il
suo
allievo
gli
avrebbe
consegnato
un
disegno
sul
quale,
a
detta
di
Hans
Bethe
che
avrebbe
visto
il
disegno
nel
dicembre
del
1943
a
Los
Alamos,
sarebbe
stato
raffigurato
un
reattore
nucleare.
Un
reattore,
e
non
un
ordigno.
Questo
farebbe
chiarezza
sui
veri
obiettivi
del
programma,
anche
se
l’unico
testimone
riguardo
al
disegno
sarebbe
lo
stesso
Bethe.
Infatti,
l’accompagnatore
di
Heisenberg,
il
suo
allievo
Carl
Friedrich
von
Weizsäcker,
non
seppe
mai
nulla
riguardo
al
disegno.
Nel
corso
degli
anni
Bohr
sostenne
sempre
con
fermezza
come
il
suo
vecchio
allievo
non
fosse
spinto
da
pentimento
durante
quell’incontro,
ma
sembrasse
addirittura
felice
di
coordinare
lo
sviluppo
di
un
tale
dispositivo.
La
testimonianza
di
Bohr,
per
quanto
preziosa,
non
conferma
né
smentisce
niente
dato
che
non
è
noto
quali
rapporti
intercorressero
veramente
tra
i
due
scienziati.
Guardando
ora,
alla
fine
di
quest’analisi,
tutte
le
informazioni
esistenti
in
merito
a
questo
dibattito,
possiamo
vedere
quanto
sia
complessa
e
articolata
la
tematica.
È
indubbio
che
il
regime
nazista
abbia
condotto
una
ricerca
in
ambito
nucleare,
ma
ancora
oggi
le
prove
a
favore
della
creazione
di
un
ordigno
non
riescono
a
reggere
a
quello
che
è il
processo
di
corroborazione
storica.
I
motivi
per
i
quali
il
programma
fu
un
fallimento
potrebbero
essere
molteplici.
Risulta
sicuramente
importante
il
fatto
che
molti
scienziati
tedeschi
emigrarono
dalla
Germania
di
quegli
anni,
consci
del
non
poter
lavorare
con
la
necessaria
libertà.
Questo
ha
sicuramente
privato
Hitler
di
alcune
delle
menti
più
brillanti
del
’900,
una
fra
tutte
quella
di
un
certo
Albert
Einstein.
Le
considerazioni
errate
di
Heisenberg,
volontarie
o
meno,
hanno
sicuramente
influenzato
i
fondi
destinati
alla
ricerca,
per
non
parlare
della
mancanza
di
materiale
fissile,
essenziale
per
condurre
gli
studi
anche
nella
loro
forma
più
ridotta.
La
lacuna
e
l’incertezza
delle
informazioni
a
noi
giunte
difficilmente
ci
permetteranno
di
far
chiarezza
su
una
questione
ormai
vecchia
di
settant’anni.
Tuttavia,
è
grazie
alla
serie
concatenata
di
eventi
e
contingenze
descritte
che
non
si è
assistito
in
quegli
anni
a un
altro
olocausto
perpetrato
dai
nazisti,
il
quale
non
avrebbe
riguardato
solo
gli
ebrei
ma
il
mondo
intero
e le
generazioni
a
venire.