[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

177 / SETTEMBRE 2022 (CCVIII)


attualità

SUL CANALE DEL NICARAGUA
Un progetto che potrebbe cambiare MOLTI equilibri

di Lorenzo Bruni

 

Se è cosa nota come il commercio per via marittima non possa ormai precludersi l’utilizzo di canali navigabili, nel corso della storia sono state numerose le proposte volte a costruire nuovi canali, “rivali” a quelli già esistenti. La più famosa, in antitesi al canale di Panama, è quella che vedrebbe un’ulteriore rotta volta a collegare l’Oceano Pacifico con l’Atlantico, in Nicaragua.

 

Nonostante quest’ultimo sia più volte stato sul punto di essere costruito, scontrandosi poi con la volontà statunitense, nel 2006, il Presidente nicaraguense Daniel Ortega si è prodigato per trovare Paesi interessati a realizzarlo: il 15 giugno 2013 venne così siglato un accordo tra il Nicaragua e la compagnia privata cinese Hong Kong Nicaragua Canal Development Group, guidata dall’imprenditore Wang Jing.

 

Il progetto prevedeva la realizzazione di un canale a livello dalla lunghezza di 278 km, ottenuti sfruttando parte del Lago Nicaragua, con una larghezza tra i 230 m e i 520 m e una profondità di 28-30 m; i tempi di attraversamento si prevedevano intorno alle 30 ore. Il transito sarebbe stato consentito non soltanto a più navi, ma anche a imbarcazioni più capienti di quelle in grado di attraversare il canale di Panama: se quest’ultimo può essere percorso da unità con una capacità di 14mila TEU, il canale del Nicaragua sarebbe stato in grado di sopperire a richieste di portacontainer fino a 25mila TEU.

 

Non mancarono proteste di coloro che si dichiararono contrari ai lavori: soprattutto i contadini locali, che avrebbero visto ridursi la quantità di terre utilizzate; in base alle stime della Environmental Resources Management, società incaricata di valutare l’impatto ambientale del progetto, la costruzione del canale avrebbe comportato lo spostamento forzato di circa trentamila persone e quaranta villaggi.

 

Inoltre, si sottolineava il danno ambientale, causato dal traffico navale nelle acque del Lago Nicaragua: avrebbe potuto comportare la scomparsa di ventidue specie, tra le quali gli squali leuca d’acqua dolce e i pesci sega. Nonostante le proteste, l’inizio dei lavori venne previsto per il 2014 e la conclusione per il 2019. Nel periodo successivo, il governo cinese iniziò a trasportare sul territorio gru e scavatori, reclutò gli operai e invitò la Russia a far parte del progetto. Eppure i lavori non hanno avuto inizio e, nel febbraio 2018, il progetto sarebbe stato ufficiosamente annullato. Quali sarebbero le motivazioni?

 

Un deterrente sono state le rivolte interne, che hanno minato la figura del Presidente Ortega, trascinando il Nicaragua in una guerra civile i cui strascichi continuano tutt’oggi. A correre in suo aiuto è stata la Russia; sin dal suo insediamento sembra che il governo di Ortega abbia ricevuto una sensibile quantità di aiuti economici e militari dal governo di Vladimir Putin, necessari per consolidare e mantenere il proprio potere.

 

Proprio l’intervento russo sembra sia stato fondamentale per la sopravvivenza di Ortega e per il ripristino dell’ordine interno. Il presidente nicaraguense, in riconoscenza, nel 2020 ha inaugurato un consolato onorario in Crimea, dopo averne ufficialmente riconosciuto l’annessione russa, e nel gennaio 2021 si è offerto di ospitare basi militare russe sul proprio territorio. Sembrerebbe, però, che proprio perché intimorito dal precipitare della situazione politica, magari a causa di un cambio nell’élite politica locale o di sabotaggi, Jing avrebbe deciso di congelare i lavori fino al placarsi della rivolta.

 

Un’altra spiegazione potrebbero essere le gravi perdite finanziarie subite da Jing: l’imprenditore cinese, nel corso del 2015, avrebbe perso circa l’85% delle proprie fortune. La motivazione più significativa, probabilmente, è stata però l’avvicinamento verificatosi tra Cina e Panama: se già nel 1999 il governo panamense aveva mostrato apertura, assegnando alla ditta cinese Hutchison-Whampoa la concessione per gestire i porti sia sul lato Atlantico che su quello Pacifico, è stato nel corso dei decenni successivi che le compagnie di navigazione cinesi hanno aumentato l’utenza del canale, tanto da diventarne i secondi fruitori. La qualità dei rapporti si è fortificata nel 2017, anno nel quale il governo panamense, presieduto da Juan Carlos Varela, ha riconosciuto politicamente la Repubblica Popolare Cinese, interrompendo la maggior parte delle relazioni diplomatiche con Taiwan.

 

Nuovi stravolgimenti degli elementi in gioco, però, hanno portato nuovamente il progetto al centro dell’attenzione globale. Il principale è stato il termine del mandato presidenziale di Varela, sconfitto dal nuovo presidente, Laurentino “Nino” Cortizo. Questo governo si è subito mostrato più tiepido nei confronti della Cina: sin dal 2019, anno dell’elezione, ha iniziato a ridimensionare o respingere i piani di lavoro cinesi e avrebbe dichiarato di stare valutando il rinnovo del trattato Hutchinson-Whampoa. Alla base di queste decisioni sembra che non possa essere considerata estranea l’influenza statunitense.

 

È in un contesto simile che, nel novembre 2021, in seguito alla quarta elezione di Ortega, Jing è tornato a parlare del canale: al termine di una lettera di congratulazioni per la vittoria, ha ribadito la volontà di costruirlo. Il mese successivo, il Ministro nicaraguense Denis Moncada ha dichiarato illegittimo il governo di Taiwan, interrompendo con ogni attività diplomatica. Tale decisione dovrebbe cogliere di sorpresa: le relazioni tra il Nicaragua e Taiwan sono sempre state più che pacifiche, sin dal 1990, quando il primo ha riconosciuto il governo di Taipei; negli anni successivi quest’ultimo è diventato uno dei più importanti donatori bilaterali verso il Nicaragua, finanziando una trentina di progetti.

 

È difficile, dunque, non scorgervi l’intervento cinese. Immaginarsi ora che il canale in Nicaragua possa vedere la luce non sembra più impossibile. Non è un segreto che la creazione di una nuova via interoceanica segnerebbe un duro colpo all’economia panamense: il canale risulta già essere troppo piccolo e diverrà sempre più obsoleto. Di contro, deve essere considerato che la promessa della sua costruzione è sempre stata utilizzata più come minaccia che come reale intenzione: troppo poco, a ora, è stato fatto in Nicaragua.

 

Qualora entrambe le ipotesi fossero vere, bisogna valutare il ruolo degli Stati Uniti: nonostante non siano più in possesso del canale, la loro influenza su Panama è sempre rilevante. Dunque sarebbe preferibile accettare un riavvicinamento tra Panama e Cina, oppure osservare il proprio rivale procedere alla costruzione di un’opera che avrà, a proprio svantaggio, conseguenze eclatanti sul commercio mondiale?

 

Al momento, la soluzione a questi dubbi appare difficile e, considerata la lunghezza di eventuali lavori, lontana nel tempo. In ogni caso, la miccia del canale di Nicaragua è stata nuovamente accesa.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]