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N. 114 - Giugno 2017 (CXLV)

PROFILO DEI CASTELLI MOLISANI
PARTE V - Il Castello D’Alessandro a Pescolanciano, la Torre Castello

di Riccia e il Castello di Roccamandolfi, il Castello Svevo a Termoli
di Vincenzo La Salandra

 

Nel descrivere i quattro castelli che completano la penultima tappa del nostro percorso molisano partiamo da Pescolanciano e dall’imponente Castello D’Alessandro. La struttura sembra letteralmente allungarsi nell’atto di fondersi e aggrapparsi al possente mastio, sembra ricordare certe spettacolari visioni dei castelli catari del Medioevo, e ha nel mastio, appunto, la parte più antica delle fortificazioni.

 

Il Castello è un vero e suggestivo ‘guardiano’ del tratturo Castel di Sangro - Lucera, e, come tanti altri esempi sparsi nel territorio molisano e per esteso meridionale del Sannio e di Capitanata, era nato come fortezza dei Longobardi: la primitiva struttura, difensiva e militarmente compatta, ha subito negli anni una serie di successivi rimaneggiamenti e ricostruzioni.

 

Dopo alcuni rimaneggiamenti nel XV secolo, il Castello di Pescolanciano subì notevoli perfezionamenti dopo essere entrato in possesso dei D’Alessandro dal 1594: nel perimetro del cortile esterno trovarono collocazione la legnaia, le scuderie e i magazzini; fu aperto anche un nuovo ingresso e il lato meridionale venne ingentilito con un loggiato.

 

Nel XVII secolo fu realizzata nel castello la cappella palatina, e nel XVIII secolo vi fu impiantata una importante fabbrica di ceramiche. Oggi la struttura, a pianta quadrangolare, a cui si accede da un suggestivo ponte fisso che si affaccia su un pauroso dirupo, è di proprietà al sessanta per cento della provincia di Isernia e per il rimanente quaranta per cento della famiglia degli eredi D’Alessandro.

 

La seconda tappa è a Riccia, dove svetta la compatta Torre Castello: il complesso è ormai ridotto a rudere ma la torre resta a testimoniare l’antica importanza e imponenza che il castello dovette avere in passato. Una fortezza esisteva certamente già nell’XI secolo, ma fu solo a partire dal 1285 che l’incastellamento conobbe un notevole sviluppo, dopo l’assegnazione a Bartolomeo di Capua, protonotario di Carlo I d’Angiò.

 

Nel XIV secolo fu l’abitazione di Costanza di Chiaromonte che, ripudiata dal potente Ladislao di Durazzo, fu data in moglie ad Andrea di Capua. Ancora, nel XVI secolo i di Capua potenziarono ulteriormente la struttura che fu poi danneggiata durante la rivoluzione del 1799 e finalmente dal terremoto del 1805, che la ridusse a rudere.

 

È possibile ricostruire attraverso i resti l’originale pianta triangolare dotata di ponte levatoio sul lato opposto verso l’abitato e di una piccola corte difesa dall’unica imponente torre superstite. La Torre è alta più di venti metri ed è dotata di beccatelli a coronamento: è stata restaurata nel 1990 con il ripristino del piano interrato e dei tre piani superiori.

 

Terza tappa dell’itinerario è il suggestivo Castello di Roccamandolfi, che fu edificato nelle viscere del Matese a partire dall’epoca longobarda, in una posizione altamente strategica e nel controllo delle vallate dei fiumi Biferno e Volturno.

 

Le vicende che nei secoli hanno interessato il castello sono assieme notevoli e affascinanti: nel 1195 il conte di Molise, Ruggero di Mandra, alleato di Tancredi d’Altavilla, vi resistette a lungo difendendosi dagli assalti delle truppe di Enrico VI.

 

Negli anni tra il 1221 e il 1223 fu Tommaso da Celano a sbarre il passo agli svevi di Federico II. Qualche anno dopo, il 1269, nel castello di Roccamandolfi si era rifugiato un gruppo di Catari che furono scovati e catturati da un gruppo di emissari di Carlo d’Angiò. Proprio in questa occasione il castello venne abbattuto per rimanere in stato di abbandono: oggi l’edificio conserva parte della cinta muraria, semi-immersa nel verde, mentre all’interno permane lo stato di rudere medievale.

 

Se all’interno è solo ricostruibile il palatium, che doveva essere un possente torrione quadrangolare più alto delle mura del castello, lungo la cinta muraria sono ancora visibili due torri circolari, di cui una a controllare l’ingresso, e tre torrette ‘a cavaliere’, caratteristiche perché partono direttamente dalle mura senza poggiare sul terreno.

 

L’ultimo esempio di questo quinto itinerario molisano è il celebre e ben conservato Castello Svevo di Termoli. Il Castello di Termoli è stato definito la punta di diamante dell’inappuntabile sistema difensivo delle città voluto da Federico II si Svevia nel XIII secolo. Sorge sui resti di una fortificazione del secolo VI, che venne ulteriormente perfezionata e sviluppata dai Normanni, prima delle modifiche definitive volute da Federico II.

 

Nel 1456 il castello fu gravemente danneggiato dal terremoto; il secolo successivo venne incendiato assieme al borgo, il 1567, con l’attacco dei Turchi. Ma nello stesso XVI secolo la struttura fu ben ripristinata con l’aggiunta di notevoli accorgimenti tecnici: non solo la torre superiore fu dotata di ponte levatoio e isolata da quella inferiore, ma anche le feritoie furono allargate per consentire l’uso di armi da fuoco.

 

 Nel XVII secolo il Castello si trasformava da fortezza in prigione. Il castello è costituito da una parte inferiore a tronco si piramide, con quattro torrette cilindriche angolari, a cui è sovrapposta una più piccola torre quadrangolare.

 

Attualmente è sede di una stazione metereologica dell’Aeronautica Militare e fulcro, durante l’estate, dei giochi pirotecnici che rievocano, attraverso la festa, il ricordo delle incursioni ottomane "esorcizzando" i pericoli del mare.



 

 

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