N. 113 - Maggio 2017
(CXLIV)
PROFILO DEI CASTELLI MOLISANI
PARTE Iv - Il Castello Pignatelli a Monteroduni
e il
Castello
di
Macchiagodena
di Vincenzo La Salandra
Già
nel
Settecento
l'opera
colonizzatrice
dell'uomo
si
armonizzava
con
la
natura
in
Molise,
dove
Giuseppe
Maria
Galanti,
che
vi
era
nato
nel
1743,
ambientava
la
narrazione
di
un
personaggio
–
don
Damiano
Petrone
–
della
sua
ampia Descrizione
dello
Stato
antico
ed
attuale
del
Contato
di
Molise
(1781):
«Visitando
il
Molise,
quando
giunsi
in
questo
paese,
lo
trovai
tutto
coperto
di
alberi
e di
frutti,
e di
un
genere
il
più
squisito.
Rimasi
attonito
a
sapere
che
di
bene
così
grande
per
questo
luogo
era
stato
opera
il
solo
suo
parroco,
Damiano
Petrone.
Egli
non
dava
altra
penitenza
ai
peccatori,
che
di
piantare
certi
alberi
nei
loro
propri
poderi
e,
quando
non
ne
avevano,
in
quelli
dei
loro
congiunti
o
dei
loro
vicini.
Le
piante
giovani
si
facevano
in
ragione
del
numero
e
della
qualità
dei
peccati.
Il
peccatore
era
talvolta
obbligato
a
portarsi
in
regioni
lontane,
a
farne
l'acquisto.
Quando
egli
si
scusava
di
essere
povero,
di
non
avere
strumenti
né
modo,
il
parroco
di
suo
denaro
il
tutto
gli
somministrava.
Così
faceva
egli
servire
la
religione
al
bene
della
patria».
Il
passo
è
famoso
ed
introduce
la
prima
edizione
dell'edizione
delle
opere
del
Galanti
curate
da
Tommaso
Fiore,
che
lo
definì
«lo
spirito
più
acuto
del
Mezzogiorno,
nella
corrente
illuministica
di
quel
tempo...».
La
vocazione
naturalistica
del
parroco
di
Montagano
è
diventata
un
racconto
simbolo
di
una
regione
dove
è
ancora
possibile
trovare
angoli
incontaminati
e
un’urbanizzazione
eco-compatibile
e
armonizzata
con
l'ambiente.
Dalla
pagina
del
Galanti
passiamo
quindi
ai
Castelli
che
fanno
parte
della
quarta
parte
di
questa
rubrica
e
che
sono
avvolti
dal
verde
delle
campagne
molisane.
Il
più
antico
dei
due
è il
Castello
Pignatelli
di
Monteroduni,
che
fu
teatro
nel
1193
della
celebre
disputa
tra
Enrico
VI
e
gli
Altavilla.
La
struttura,
frutto
di
una
lunga
evoluzione
edilizia,
testimonia
con
la
sua
mole
notevole
e
con
le
stesse
forme
attuali
la
grande
importanza
che
ebbe
nel
passato.
L'edificio
fu
dapprima
un
piccolo
e
originario
fortilizio
longobardo
che
fu
potenziato
e
ampliato
nei
secoli
successivi
sia
dai
Normanni
e
specialmente
dagli
Angioini.
Tra
il
1500
e il
1600,
la
famiglia
D'Afflitto
conferì
al
castello
l'assetto
odierno
che
verrà
completato
con
ulteriori
rimaneggiamenti
da
parte
degli
ultimi
proprietari:
i
Piagnatelli
della
Leonessa,
che
realizzarono
la
merlatura
all'apice
delle
torri.
Oggi
il
castello
è
proprietà
del
Comune
e
ospita
annualmente
il
suggestivo
Eddie
Lang
Jazz
Festival.
Il
castello
è di
classica
forma
quadrata,
difeso
da
quattro
torri
circolari
e da
una
cinta
fortificata
con
torri
a
scarpa.
Dal
piccolo
cortile
centrale
si
accede
agli
ambienti
interni:
tra
le
altre
sale,
è di
notevole
e
peculiare
interesse
il
salone
settecentesco
con
soffitto
ligneo
formato
da
ben
190
tavole
di
querciolo
dipinte
a
tempera.
E
arriviamo
al
secondo
esempio
di
castello
molisano
letteralmente
immerso
nel
verde
della
natura:
il
Castello
di
Macchiagodena,
che
appare
infatti
come
un
tassello
architettonico
che
completa
il
verde
e
suggestivo
paesaggio
della
valle
del
fiume
Biferno,
delimitata
dal
massiccio
del
Matese
e da
una
corona
di
altri
monti
minori.
Il
castello
venne
edificato
dai
Longobardi
nel
X
secolo,
a
cavaliere
tra
le
due
contee
di
Boiano
e
Isernia,
e
come
a
fungere
da
guardia
e
sentinella
del
tratturo
Pescasseroli-Candela:
l'edificio
subì
una
serie
di
modifiche
nelle
epoche
successive
e
fino
alla
ristrutturazione
seguente
al
terremoto
del
1805,
con
l'apertura
di
finestre
e
balconi
lungo
le
cortine
murarie
e
sulle
torri.
Dal
2010
il
castello
è di
proprietà
della
Regione
Molise.
Il
bastione
è a
pianta
quadrangolare
e la
struttura
fu
realizzata
su
di
uno
sperone
roccioso
che,
in
origine,
era
difeso
da
quattro
torri.
Oggi
ne
sopravvivono
solo
tre.
Una
rampa
conduce
all'ingresso
e
dal
cortile
si
accede
agli
ambienti
interni:
molto
interessante
la
biblioteca
che
è
arredata
con
eleganti
mobili
ottocenteschi
e
custodisce
bei
dipinti,
che
decorano
le
sue
sale,
oltre
a
pregiati
manoscritti
e
volumi
antichi.
Tra
questi
libri
rari
v’è
anche
una
copia
del
testo
settecentesco
del
Galanti
da
cui
siamo
partiti.