N. 112 - Aprile 2017
(CXLIII)
Il
processo
di
Socrate
UNA
CONDANNA
A
MORTE
“NECESSARIA”
-
PARTE
II
di Paola Scollo
La
lettura
del
Critone
di
Platone
contribuisce
a
gettare
ulteriore
luce
sulla
condanna
a
morte
di
Socrate.
Nonostante
i
dubbi
sulla
sua
datazione,
questo
scritto
si
pone
in
linea
di
continuità
rispetto
all’Apologia.
Osserviamolo
dunque
da
vicino.
Nel
dialogo,
che
si
svolge
in
carcere,
vengono
narrate
le
ultime
ore
di
vita
del
filosofo
a un
mese
dalla
sentenza.
Accanto
a
Socrate
è
Critone,
che
si
definisce
sorpreso
della
serenità
con
cui
Socrate
sta
trascorrendo
gli
ultimi
istanti
che
gli
restano
da
vivere
(Crit.
43 b
4 -
11):
«No,
davvero,
Socrate!
Neanche
io
vorrei
vegliare
insonne
in
tanta
sventura.
Peraltro
sono
rimasto
meravigliato
a
vedere
come
dormivi
tranquillamente,
e
lungamente,
e
non
ti
svegliavo
apposta
per
farti
continuare
così,
nella
massima
tranquillità.
Se
già
in
più
di
un’occasione,
nel
corso
della
vita,
ho
avuto
a
giudicarti
felice
per
il
tuo
comportamento,
a
maggior
ragione
lo
farò
in
una
circostanza
come
questa,
che
riesci
a
vivere
con
tanta
serenità
e
calma».
Ma
Socrate
sostiene
che
sarebbe
fuori
Critone,
dopo
aver
annunciato
l’arrivo
imminente
della
nave
sacra
inviata
da
Delo,
esorta
Socrate
a
fuggire,
ma
Socrate
si
rifiuta
in
quanto
la
fuga
avrebbe
significato
un’infrazione
della
legge.
Non
occorre,
infatti,
commettere
ingiustizia
neanche
in
risposta
alle
ingiustizie
altrui
(46
b -
49
c).
In
seguito,
esorta
Critone
a
riflettere
(Crit.
48 b
6 –
7):
«Rifletti,
adesso,
se
resta
vero
o
meno
che
estremamente
importante
è
non
tanto
vivere
quanto
vivere
bene».
Critone
non
può
che
dare
il
suo
assenso.
Socrate
discute
quindi
su
ciò
che
è
giusto
e
ciò
che
è
ingiusto.
E
conclude
(Crit.
49 d
7 -
13):
«Perciò,
rifletti
bene
anche
tu
se
condividi
la
mia
opinione,
se
davvero
sei
d’accordo
(e
le
nostre
considerazioni
muovano
allora
dal
principio
che
non
è
mai
corretto
commettere
ingiustizia
e
neppure
ricambiarla,
né
reagire
ai
maltrattamenti
facendo
del
male
a
propria
volta);
o se
ti
distacchi,
e
questo
principio
non
lo
condividi».
A
questo
punto,
ha
inizio
la
celebre
prosopopea
delle
leggi
in
cui
il
filosofo
spiega
che
la
mancanza
di
rispetto
nei
confronti
delle
leggi
della
polis
sarebbe
come
trasgredire
un
patto.
Le
leggi
gli
ricordano
di
essere
nato
e
cresciuto
sotto
il
loro
potere:
se
avesse
subito
qualche
torto
e/o
ingiustizia,
perché
non
si è
mai
allontanato
da
essa?
Non
sarebbe
coerente
opporsi
al
giudizio.
Le
leggi
devono
essere
venerate:
esse
dicono
la
verità
(50
a -
53
a).
In
sintesi,
le
cose
più
preziose
per
l’uomo
sono
la
virtù,
la
giustizia
e le
leggi.
Socrate
si
dice
pienamente
trascinato
dalle
argomentazioni
delle
leggi,
pertanto
non
fuggirà.
E a
Critone
non
resta
che
accettare
tale
scelta.
Di
qui
le
conclusioni
(Crit.
54 e
1 -
2):
«Allora
lasciamo
perdere,
Critone:
e
scegliamo
questa
via,
visto
che
ce
la
addita
la
divinità».
Di
notevole
interesse
è
l’interpretazione
di
Canfora
secondo
cui
«il
dissenso
rispetto
ad
un
potere
politico
qualunque
esso
sia,
l’indomita
volontà
di
criticare
e
comprendere,
di
mettere
in
discussione:
questo
insegnamento
dura
al
di
là
dell’alternarsi
e
del
succedersi
dei
sistemi
politici.
[…]
La
sua
condanna
è il
segno
della
debolezza
di
una
democrazia,
con
buona
pace
di
Hegel
(condanna
necessaria).
Nessuna
verità
che
non
si
giustifichi
con
le
sue
forze
va
accettata.
E
l’unico
strumento
per
vagliarne
la
tenuta
è
interrogare
e
sottoporre
a
critica
(exetázein:
che
secondo
Aristotele
era
il
principale
carattere
del
socratismo).
È
con
Socrate
che
la
filosofia
si
pone
come
domanda.
Ed è
in
questo
metodo
critico
il
succo
dei
nostri
studi
classici».
Con
ogni
probabilità
in
queste
pagine
del
Critone
Platone
ha
immaginato
un
confronto
tra
Socrate,
elemento
di
novità
nell’Atene
tra
V e
IV
sec.
a.C.,
e
l’opinione
dei
più,
di
cui
Critone
sarebbe
portavoce.
A
esser
condannata
in
queste
pagine
è la
condotta
dell’uomo
che,
non
ponendo
l’esercizio
dell’arte
dialettica
a
fondamento
della
propria
esistenza,
preferisce
vagare
incerto
tra
molte
ragioni
e
molti
discorsi,
lontano
da
qualsivoglia
ricerca
della
Verità.
Nonostante
alcuni
studiosi
abbiano
rilevato
divergenze
tra
le
due
rappresentazioni
di
Socrate
nell’Apologia
e
quella
nel
Critone,
è
impossibile
non
scorgere
una
linea
di
continuità
fra
i
due
ritratti.
In
entrambi
i
dialoghi,
infatti,
Platone
mantiene
saldi
i
tratti
distintivi
del
pensiero
e
dell’atteggiamento
del
filosofo.
Anzi,
si
potrebbe
affermare
che
il
Critone
custodisca
l’eredità
del
messaggio
socratico
e la
amplifichi,
conferendo
una
posizione
preminente
alla
coerenza
e al
rispetto
delle
leggi.
Si
pensi,
a
tal
proposito,
al
ruolo
di
centralità
del
daimōn
che
si
manifesta
sia
come
impedimento
ad
assumere
comportamenti
negativi
e,
più
in
generale,
a
compiere
azioni
in
contrasto
con
la
divinità
sia
come
slancio
conoscitivo
che
guida
l’uomo
verso
la
ricerca
della
virtù,
ossia
del
Bene.