N. 71 - Novembre 2013
(CII)
iL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA
PARTE VI - fine della guerra fredda e accordi di Maastricht
di Laura Ballerini
Il
quarto
decennio
dell’integrazione
europea,
ovvero
gli
anni
`80,
si
caratterizzarono
dal
riacutizzarsi
delle
tensioni
tra
est
e
ovest
con
una
nuova
corsa
agli
armamenti,
per
questo
sono
noti
come
gli
anni
della
seconda
guerra
fredda.
In
questi
anni
vi
fu
anche
il
problema
del
permanere
della
crisi
economica
internazionale,
delle
crescenti
tensioni
nel
conflitto
arabo-israeliano
e
della
caduta
dei
regimi
totalitari
in
Grecia
(il
regime
dei
colonnelli),
Spagna
(Franco)
e
Portogallo
(Salazar),
che
si
preparavano
alla
loro
entrata
nell’Unione,
rispettivamente
nel
`81
e
nel
`85:
l’Europa
dei
12.
In
vista
di
questo
allargamento
verso
sud,
diventava
ancora
più
urgente
il
problema
dell’integrazione
politica
tra
gli
stati
europei.
All’interno
di
quest’obbiettivo
fu
molto
importante
il
dialogo
tra
l
nuovi
leader
di
Gran
Bretagna,
Francia
e
Germania:
la
conservatrice
Margaret
Thatcher,
il
leader
delle
sinistre
François
Mitterrand
e il
cattolico
Helmut
Kohl.
La
proposta
venne
da
un
italiano
e un
tedesco
che
presentarono
nel
1981
il
piano
Genscher-Colombo,
che
conferiva
più
poteri
e
visibilità
al
Parlamento
e al
Consiglio
europeo.
I
principi
del
piano
vennero
poi
ripresi
nel
`83
nella
Dichiarazione
solenne
sull’Unione
Europea
che
spingeva
verso
una
graduale
integrazione
politica.
Quasi
in
contemporanea
venne
presentato
il
piano
di
Spinelli
che
portava
in
maniera
non
altrettanto
graduale
verso
l’indirizzo
federalista.
A
rappresentare
la
vera
svolta
nel
processo
di
integrazione
politica
fu
il
libro
bianco
di
Delors,
presentato
nel
gennaio
del
`85
alla
conferenza
di
Bruxelles.
Il
documento
prese
il
nome
di
Atto
unico,
proprio
perché
costituiva
un
grande
calendario
di
tutte
le
tappe
che
l’Europa
avrebbe
fatto
per
integrarsi
in
ogni
campo.
Dal
punto
di
vista
economico
l’Atto
prevedeva
che
entro
il
1993
si
realizzasse
un
mercato
unico,
uno
spazio
senza
frontiere
interne,
dove
fosse
possibile
la
libera
circolazione
di
merci,
persone,
servizi
e
capitali;
veniva
ribadita,
inoltre,
l’importanza
della
cooperazione
tra
gli
stati
per
la
creazione
di
una
moneta
unica.
Dal
punto
di
vista
politico,
invece,
veniva
istituzionalizzata
la
CPE,
rafforzato
il
Consiglio
e il
Parlamento.
Per
quel
che
riguardava
le
questioni
militari,
l’Atto
unico
riscopre
la
UEO
del
1954,
a
cui
viene
affidata
la
sicurezza
comune
(anche
se
il
primato
rimaneva,
ovviamente,
alla
NATO).
Gli
stati
dovevano
cooperare
tra
loro
anche
dal
punto
di
vista
culturale,
per
questo
motivo
in
questi
anni
vengono
istituiti
i
progetti
Erasmus
e
Socrates,
per
lo
scambio
culturale
tra
studenti
e
tra
docenti.
L’atto
venne
approvato
nel
1986
ed
entrò
in
vigore
nel
`87.
Gli
eventi
del
1989
segnarono
l’inizio
del
quinto
decennio
di
sviluppo
dell’unificazione
europea,
che
si
orienta
nuovamente
intorno
alla
questione
tedesca.
Nel
novembre
`89,
infatti,
la
caduta
del
muro
di
Berlino
provocherà
un
vuoto
di
potere
nella
Germania
dell’est
e la
fine
della
guerra
fredda.
In
questo
momento
l’attenzione
degli
altri
11
stati
è
rivolta
al
nuovo
stato
tedesco,
unificato,
potentissimo,
con
80
milioni
di
abitanti.
Riesumando
antichi
rancori
e
diffidenze,
un
interrogativo
angosciava
gli
stati
europei:
la
Germania
continuerà
a
partecipare
alla
costruzione
dell’Europa?
O si
lascerà
riprendere
da
vecchi
nazionalismi
per
approfittarsi
del
vuoto
politico
a
est?
Queste
preoccupazioni
vennero
esorcizzate
proprio
dal
cancelliere
tedesco
Kohl
e
dal
presidente
francese
Mitterand.
Si
tennero
infatti
alcune
conferenze,
aperte
a
Roma
nel
`90,
che
portarono,
circa
un
anno
dopo,
alla
convocazione
del
Consiglio
europeo
a
Maastricht.
Le
conseguenze
di
questo
Consiglio
saranno
indispensabili
per
ridefinire
la
nuova
Europa,
segnata
dal
crollo
dell’URSS
e
dalla
riunificazione
tedesca.
Gli
accordi
stipulati
a
Maastricht
si
basavano
su
tre
pilastri:
l’integrazione
economica,
la
politica
estera
e
gli
affari
di
giustizia
interna.
Il
primo
pilastro
si
poggiava
sul
successo
di
CECA,
CEE
e
CEEACP
e si
prefiggeva
dunque
l’obbiettivo
di
procedere
verso
l’unione
monetaria
ed
economica
dei
paesi
membri.
Quello
che
gli
stati
europei
volevano
premurarsi,
infatti,
era
che
la
Germania
rinunciasse,
insieme
agli
altri,
alla
sovranità
monetaria
e
che
procedesse
all’europeizzazione
del
marco,
moneta
di
valore
incredibilmente
più
forte
e
che
per
questo
destava
grandi
preoccupazioni.
Vennero
definiti
allora
5
parametri,
tre
nominali
e
due
inerenti
l’economica
reale:
il
tasso
d’interesse
non
doveva
superare
il 2
% di
quello
dei
tre
paesi
con
più
basso
tasso
d’inflazione;
il
tasso
di
cambio
era
già
stato
fissato
dallo
SME
al
2.25%;
il
tasso
d’inflazione
non
doveva
superare
l’1.5
%
della
media
dei
tre
stati
con
inflazione
più
bassa;
il
debito
pubblico
doveva
essere
inferiore
al
60%
del
PIL;
il
deficit
di
bilancio
non
doveva
superare
il
3%
del
PIL.
Si
evitavano
così
i
rischi
di
inflazione
e di
supremazia
della
moneta
tedesca.
Questo
primo
punto
veniva
gestito
in
maniera
sovranazionale.
Il
secondo
pilastro
riguardava
invece
la
politica
estera
e la
sicurezza
comuni.
La
volontà
del
governo
francese
era
quella
di
coinvolgere
la
Germania
anche
sul
piano
politico
e di
difesa,
per
legarla
ancora
di
più
al
progetto
Europa.
Per
questo
venne
scritta
una
lettera,
firmata
Mitterand
e
Kohl,
dove
si
parlava
di
un’identità
di
difesa
europea
comune,
basata
sulla
UEO.
La
visione
carolingia
della
Francia
si
scontrò
nuovamente
con
quella
atlantica
di
Italia
e
Gran
Bretagna,
che
risposero
con
un’altra
lettera,
firmata
Major
(succeduto
alla
Thatcher)
e
Andreotti,
dove
si
accettava
l’idea
di
un’identità
di
difesa
comune,
a
patto
che
non
mettesse
in
discussione
l’Alleanza
atlantica.
Con
queste
premesse
nacque
la
PESC
(Politica
estera
e di
sicurezza
comune).
Gli
obiettivi
erano
il
mantenimento
della
pace,
la
cooperazione
per
la
sicurezza
internazionale,
lo
sviluppo
della
democrazia,
il
rispetto
per
i
diritti
dell’uomo
e
delle
libertà
fondamentali.
La
UEO
sarebbe
stata
associata
allo
sviluppo
europeo,
senza
però
costituirne
autonomamente
la
difesa,
inquadrata
nell’Alleanza
atlantica.
La
PESC
mantenne
un
carattere
intergovernativo
e,
salvo
alcune
questioni,
le
decisioni
dovevano
essere
adottate
all’unanimità.
Per
quel
che
riguarda
il
terzo
pilastro
si
decise
per
la
cooperazione
nel
settore
della
Giustizia
e
degli
Affari
interni,
con
l’istituzione
di
un
Ufficio
europeo
di
polizia
(Europol),
e
sintonizzando
le
politiche
di
immigrazioni.
Anche
qui
la
cooperazione
rimane
a
livello
intergovernativo.
I
pilastri
del
trattato
di
Maastricht
sono
dunque
fortemente
squilibrati,
solo
il
primo,
infatti,
si
presenta
in
chiave
sovranazionale.
Si
procede
ancora
con
un’
Europa
“a
due
velocità”.
La
firma
del
trattato,
nel
febbraio
`92,
da
il
via
alla
costruzione
europea
in
una
situazione
di
instabilità
politica
che
si
ripercuote
anche
sui
successi
ottenuti
in
campo
economico
e
monetario.
E
ora,
riconfermata
la
“fedeltà”
tedesca,
saranno
altre
le
questioni
al
centro
dei
pensieri
europei:
l’allargamento
a
est
e
l’identità
di
difesa
comune.