N. 66 - Giugno 2013
(XCVII)
Il Processo di integrazione europea
Parte
I -
1947-49,
l’iniziativa
britannica
di
Laura
Ballerini
Per
poter comprendere
il
processo
di
integrazione
europea,
bisogna
innanzitutto capire
quali
furono,
di
volta
in volta,
le
motivazioni
che
spinsero
ciascuna
potenza
verso
l'Europa,
da
vedere
dunque
come
una
sommatoria
delle
varie
esigenze
politiche
nazionali.
Quando
si
parla
di
Europa
sono
tre
le
ipotesi
di
sviluppo
che
si
prospettano,
l’indirizzo
unionista,
funzionalista
e
federalista;
il
primo
riguarda
una
collaborazione
ferma
al
livello
intergovernativo,
senza
alcuna
iniziativa
sovranazionale;
il
secondo
prevede
invece
una
cooperazione
tra
gli
stati
e la
loro
rinuncia
alla
sovranità
nazionale
in
alcuni
specifici
settori;
il
terzo
e
ultimo
indirizzo
prevede
una
rinuncia
alla
sovranità
anche
sul
piano
politico,
con
la
creazione
di
organi
sovrastatali.
Oggi
invece
di
protendere
verso
quest’ultimo,
si
discute
sui
primi
due.
La
storia
dell’Unione
Europea
ha
le
sue
radici
già
nella
Società
delle
Nazioni,
fondata
nel
primo
dopoguerra
per
evitare
che
si
ricadesse
in
un
secondo
conflitto
mondiale.
Le
critiche
mosse
verso
la
Società,
che
non
garantiva
una
difesa
collettiva
e
non
aveva
organi
sovranazionali,
sviluppò
l’idea
di
Europa,
troncata
però
sul
nascere
dai
regimi
totalitari
e
dalla
seconda
guerra
mondiale.
Al
termine
del
conflitto,
nel
1945,
nasceva
l’ONU,
per
garantire
la
pace
e la
sicurezza
internazionali,
quando
invece
il
mondo
si
divideva
in
due
blocchi
ideologicamente
contrapposti:
a
ovest
gli
USA,
a
est
l’URSS.
La
politica
statunitense
si
fondò
su
due
pilastri
per
fronteggiare
il
blocco
nemico:
la
dottrina
Truman
(dal
nome
dell’allora
presidente
USA)
di
“contenimento”
del
pericolo
rosso,
e il
piano
Marshall.
Quest’ultimo
garantiva
aiuti
economici
agli
stati
stremati
dalla
guerra,
che
avrebbero
potuto
così
riprendersi
e
saldare
i
debiti
verso
gli
USA.
Una
sapiente
macchina
economica.
Il
piano
prevedeva
anche
finanziamenti
all'integrazione
europea
e
l'abbattimento
delle
barriere
doganali
tra
i
suoi
stati.
L'obbiettivo
degli
USA,
infatti,
era
quello
di
creare
un
unione
economica
europea
a
cui
poter
affacciare
il
proprio
mercato.
L'europeismo
statunitense,
dunque,
nasce
dalla
volontà
di
creare
un
Europa
che
soddisfacesse
i
propri
interessi
economici.
In
tutto
ciò
l’Europa
si
trovava
in
grave
stato
di
bisogno,
pervasa
da
diffidenze
reciproche
e
rancore
verso
l’aggressore
tedesco.
La
proposta
del
piano
di
aiuti
statunitense
la
divise
in
tre
parti:
gli
stati
della
zona
orientale,
satelliti
dell’URSS,
rifiutarono
il
Piano
Marshall,
non
perché
non
ne
avessero
bisogno,
ma
per
volontà
di
Stalin
di
rimarcare
i
confini
del
blocco.
Nell’Europa
occidentale,
invece,
avevano
aderito
in
sedici:
gli
stati
che
gravitavano
intorno
alla
Gran
Bretagna
e
alla
sterlina
e
quelli
continentali:
Italia,
Francia,
Belgio,
Olanda
e
Lussemburgo
e,
per
interposta
persona,
la
Germania
(divisa
nelle
quattro
sfere
di
influenza
sovietica,
statunitense,
francese,
inglese).
Il
Regno
Unito,
grande
potenza
mondiale,
non
aveva
nessuna
intenzione
di
essere
assorbito
in
un
unificazione
economica
europea
quando
poteva
vantare
un
vasto
impero
coloniale,
mentre
gli
stati
continentali
si
mostrarono
più
favorevoli.
Belgio
Lussemburgo
e
Olanda,
unendosi
economicamente
nel
Benelux,
avevano
già
manifestato
la
volontà
di
abbattere
le
barriere;
l'Italia
proponeva
di
procedere
a
unione
doganale,
poi
economica
e
infine
politica,
così
da
creare
organi
sovranazionali
che
integrassero
la
Germania
e la
controllassero
nella
sua
rinascita.
Una
visione,
fino
a
questo
momento,
condivisa
dalla
Francia,
preoccupata
dalla
minaccia
tedesca.
Nel
luglio
del
`47
si
aprì
la
Conferenza
di
Parigi
per
dare
una
risposta
agli
Stati
Uniti.
La
risposta
arrivò
nell’aprile
del
`48
con
l’OECE
(Organizzazione
per
la
Cooperazione
Economica
Europea).
La
Gran
Bretagna
non
poteva
permettere
che
si
procedesse
a un
unione
doganale,
propose
allora
una
semplice
collaborazione,
mettendo
in
comune
il
piano
di
ricostruzione.
Con
questa
finalità
nasce
l’OECE,
che
doveva
controllare
la
distribuzione
degli
aiuti
del
Piano
Marshall
e la
ricostruzione
europea.
Il
messaggio
era
molto
chiaro:
l’Europa
si
fa
come
vogliono
gli
europei.
Gli
anni
che
vanno
dal
`47
al
`49,
si
caratterizzano
per
il
prevalere
dell’iniziativa
britannica,
che
si
interessa
come
non
aveva
mai
fatto
delle
questioni
continentali
per
evitare
l’unione
doganale
e
mantenere
il
processo
di
integrazione
sull’indirizzo
unionista.
Dietro
l’europeismo
del
Regno
Unito
vi è
dunque
la
volontà
di
mantenere
intatto
il
proprio
stato
di
grande
potenza
mondiale.
Gli
aiuti
statunitensi
legavano
gli
stati
che
ne
usufruivano
in
uno
stretto
vincolo
di
dipendenza,
senza
garantirgli
però
nessuna
difesa
militare.
L’Europa
occidentale
infatti
poteva
vantare
14
divisioni
contro
le
200
sovietiche:
il
nemico
rosso
era
molto
vicino
e
incredibilmente
più
potente.
Il
ministro
degli
esteri
britannico,
Bevin,
propose
allora
agli
Stati
Uniti
un
unione
occidentale
contro
la
minaccia
comunista.
Gli
USA
però
non
usavano
fare
alleanze
in
tempo
di
pace
e
sollecitarono
gli
stati
europei
a
collaborare
tra
loro
promettendo
in
seguito
un
contributo.
La
Gran
Bretagna
a
quel
punto,
sapendo
che
neanche
unita
l’Europa
avrebbe
potuto
fronteggiare
l’URSS,
attirò
i
paesi
favorevoli
all’unione
doganale
in
un
patto
contro
un
altro
nemico,
più
fattibile,
su
cui
tutti
sarebbero
stati
d’accordo:
la
Germania.
Tutti
tranne
uno,
l’Italia,
tra
poco
vedremo
perché.
Il
17
marzo
1948
venne
siglato
il
Patto
di
Bruxelles,
ovvero
un
Patto
di
unione
economica,
sociale,
culturale
e di
legittima
difesa
collettiva
(l'Unione
Occidentale),
a
cui
partecipavano
Gran
Bretagna,
Francia,
Olanda,
Belgio
e
Lussemburgo:
l’Europa
dei
5.
Il
Regno
Unito
aveva
invitato
i
paesi
del
Benelux
e la
Francia
in
un
patto
di
reciproca
difesa
in
caso
di
aggressione,
facendo
leva
sulla
forte
diffidenza
e
paura
di
un
nuovo
attacco
tedesco.
Approfittando
delle
sollecitazioni
statunitensi
la
Gran
Bretagna
aveva
creato
un
unione
militare,
estesa
poi
agli
altri
ambiti,
evitando
l’abbattimento
delle
barriere
doganali
e
mantenendo
il
processo
d’integrazione
a un
livello
di
semplice
collaborazione
intergovernativa.
Il
Patto
di
Bruxelles
è
dunque
la
prima
iniziativa
europeista
(cronologicamente
viene
prima
infatti
dell'OECE),
ma
anche
una
tomba
che
impediva
la
creazione
di
organi
sovranazionali.
Ora
che
l’Europa
si
era
espressa
gli
USA
dovevano
prendere
una
posizione
e
accettarono
il
compromesso.
Istituirono
però
il
GATT,
il
nuovo
ordine
economico
mondiale
basato
sulle
clausole
di
convertibilità
del
dollaro
(che
diveniva
la
base
di
ogni
scambio)
e
della
nazione
più
favorita
(per
eliminare
le
discriminazioni
in
campo
economico
e
commerciale).
Nel
maggio
del
`48
si
tenne
ad
Aja
la
prima
conferenza
europea,
dove
partecipò
anche
l’Italia.
Qui
si
confrontarono
le
posizioni
unioniste
e
federaliste,
portando
alla
luce
un
punto
a
metà
strada
tra
i
due,
l’indirizzo
funzionalista.
L’opinione
pubblica,
presa
dagli
esiti
della
guerra,
non
si
curò
di
questa
conferenza,
portando
gli
stati
a
collaborare
sul
piano
culturale
per
coinvolgerla.
I 5
del
Patto
di
Bruxelles
avviarono
dei
negoziati
per
formare
un
organizzazione
culturale
che
smuovesse
i
governi
e
l’opinione
pubblica
verso
l’integrazione:
circa
un
anno
dopo,
il 5
maggio
1949,
si
formerà
il
Consiglio
d’Europa.
Perché
l’Italia
non
aderì
al
Patto
di
Bruxelles?
Francia
e
Gran
Bretagna
esclusero
l’Italia
manifestando
la
volontà
di
non
assumersi
l’onere
di
paesi
che
non
potevano
difendere
se
stessi,
temendo
più
di
tutto
la
visione
europeista
italiana,
orientata
verso
il
federalismo
e
l’inclusione
tedesca.
Nel
luglio
del
`48,
l’allora
ministro
degli
esteri
Sforza,
come
rettore
dell’Università
per
stranieri
di
Perugia,
tenne
un
discorso
inaugurale
dove
spiegò
perché
l’Italia
non
condivideva
il
Patto
di
Bruxelles.
Quest’ultimo,
basandosi
sull’esclusione
della
Germania,
non
sarebbe
stato
in
grado
di
controllarla
nella
sua
rinascita,
ma
sarebbe
diventato
il
luogo
dove
avrebbe
imposto
nuovamente
la
sua
supremazia.
Se
invece
all’interno
del
patto
avessero
avuto
tutti
lo
stesso
peso,
e la
Germania
ne
fosse
entrata
a
far
parte,
avrebbero
potuto
evitare
che
si
ritrasformasse
in
una
minaccia.
Per
farlo
però
bisognava
evolversi
da
una
posizione
unionista
a
una
federalista,
con
strutture
sovranazionali.
L’integrazione,
dunque,
per
abbracciare
e
controllare
la
Germania.
Per
paura
di
essere
esclusa
dal
dialogo
sopra
un
alleanza
militare
con
gli
USA,
l’Italia
chiarì
la
sua
posizione
nell’agosto
dello
stesso
anno
con
il
“memorandum
sull’unione
europea”
(noto
come
memorandum
Sforza).
Oltre
a un
preambolo
sulla
posizione
europeista
italiana,
il
memorandum
offriva
una
proposta,
secondo
la
quale
le
conversazioni
europee
non
dovevano
limitarsi
ai 5
del
Patto
di
Bruxelles,
ma
estendersi
ai
16
dell’OECE.
Il
governo
francese
allora
suggerì
all’Italia
di
ritirare
il
memorandum
(era
difficile
discutere
in
5,
lo
sarebbe
stato
ancor
più
in
16)
e
aspettare
il
segnale
della
Francia
per
affacciarsi
all’alleanza
atlantica.
Il 4
aprile
del
1949
12
paesi
(alcuni
dell'OECE
più
Usa
e
Canada)
firmarono
l'Alleanza
Atlantica,
tra
questi
l’Italia,
grazie
all’aiuto
Francese.
Tale
aiuto
era
motivato
in
realtà
dalla
volontà
di
portare
nel
Patto
anche
il
territorio
algerino,
allora
suolo
francese,
considerato
alla
stregua
dell’Italia
“area
mediterranea”.
Il
Patto
Atlantico
rappresenta
il
terzo
pilastro
della
politica
statunitense
durante
la
guerra
fredda.
Contrariamente
a
quanto
si
potrebbe
pensare
l’alleanza
atlantica
rafforzò
non
poco
la
spinta
verso
l’europeismo.
Con
la
firma
del
Patto
i
paesi
europei
avevano
finalmente
trovato
negli
USA
la
protezione
che
cercavano,
rendendosi
conto
però
della
totale
disparità
con
questi
ultimi.
Nessuno
stato
europeo
preso
singolarmente
avrebbe
potuto
porsi
a
livello
paritario
con
gli
Stati
Uniti,
tantomeno
con
l’Unione
Sovietica.
Pertanto
l’unico
modo
per
affrancarsi
dalla
dipendenza
dagli
USA
era
quello
di
spingere
verso
la
creazione
di
un
terzo
soggetto
al
pari
degli
altri
due.
Ecco
quindi
che
lo
squilibrio
interno
al
Patto
incentivò
la
collaborazione
europea.
Ma
vi
era
un
secondo
squilibrio,
stavolta
esterno,
costituito
dal
caso
tedesco.
Gli
Usa
infatti
si
erano
mostrati
favorevoli
al
riarmo
della
Germania
dell’Ovest
ai
fini
della
sua
entrata
nel
Patto
atlantico,
sia
perché
era
il
punto
di
equilibrio
tra
i
due
blocchi,
sia
perché
con
il
suo
contributo
militare
avrebbe
potuto
rafforzare
l’alleanza.
Nonostante
la
forte
opposizione
proveniente
dalla
Francia
e
dalla
stessa
Germania,
gli
altri
paesi
aderenti
al
Patto
Atlantico
iniziarono
a
prendere
in
considerazione
il
riarmo,
ritenendo
di
poter
controllare
la
minaccia
tedesca
intensificando
l’integrazione
europea.
Con
gli
accordi
di
Washington
e
Petersberg,
nell’agosto
e
nel
settembre
del
`49,
le
potenze
occupanti
la
Germania
dell’ovest
ricostruirono
le
strutture
politiche
tedesche
dando
vita
alla
Repubblica
Federale
Tedesca,
a
cui
trasferirono
i
loro
poteri.
Ecco
quindi
spiegato
come
l’alleanza
atlantica
sia
stata
una
spinta
decisiva
all’integrazione
europea:
da
una
parte
la
volontà
di
porsi
al
pari
degli
USA,
dall’altra
quella
di
controllare
il
pericolo
tedesco,
spinsero
i
paesi
i
paesi
dell’Europa
occidentale
ad
avvicinarsi
all’indirizzo
funzionalista
e
dunque
a
una
maggiore
collaborazione.
Questo
primo
biennio
si
caratterizza
quindi
dalla
supremazia
dell’iniziativa
britannica
che
agisce
per
mantenere
intatto
il
suo
status,
dall’interesse
economico
degli
Stati
Uniti
verso
un
Europa
senza
barriere
doganali
e
dalla
paura
Francese
di
un
nuovo
attacco
tedesco.