attualità
IL CASO HENRY BARKLEY
(e
quello di
OSMAN KAVALA)
processi alla turca
/ PARTE II
di Leila Tavi
Il governo turco cerca di abbattere
tutte le resistenze fisiche e mentali di
Osman Kavala, ormai detenuto nel carcere
di massima sicurezza di Sivri dal 1°
novembre 2020, nonostante nessuna
condanna sia ancora stata formulata nei
suoi confronti.
L’ultimo duro colpo è stato inferto nel
mese scorso dalla Corte suprema che ha
respinto con sette voti contrari su otto
l’esposto del 63enne filantropo e uomo
d’affari, considerato l’oppositore
politico principale del presidente Recep
Tayyip Erdoğan.
L’esposto di Kavala rappresenta una
denuncia per la sua detenzione illegale,
contraria al diritto alla libertà e
all’incolumità dell’essere umano.
Inizialmente Kavala è stato accusato di
aver essere stato tra gli ideatori e
finanziatori delle proteste di Gezi del
luglio 2013, organizzate, a detta dei
magistrati del processo a suo carico,
nel tentativo di sovvertire l’ordine
costituzionale e di voler rovesciare il
governo turco.
Assolto da tali accuse nel febbraio
2020, Kavala è stato immediatamente
arrestato e incarcerato con nuovi capi
d’accusa a suo carico: spionaggio e
coinvolgimento nel fallito colpo di
Stato del 2016 contro l’attuale
presidente turco.
La prima udienza del processo relativo
alle ultime accuse si è tenuta in un
tribunale di Istanbul a metà dicembre.
Durante quest’ultima udienza Kavala ha
respinto con forza le accuse a suo
carico, ribadendo la sua non
colpevolezza ed estraneità ai fatti,
rivolgendosi al giudice con queste
parole: "Mi sono sempre opposto ai colpi
di stato militari e ho criticato
l'interferenza dell'esercito nella
politica".
L’accusa di nuovo evidenzia la natura
politica del processo, non essendoci
prove concrete contro Kavala. La
prossima udienza del nuovo processo è
prevista per il 5 febbraio e se le
accuse di spionaggio fossero confermate,
Kavala rischierebbe venti anni di
carcere, mentre per attentato all’ordine
costituzionale è previsto in Turchia
l’ergastolo. Una punizione “esemplare”
per gli altri oppositori del regime.
Le organizzazioni non governative hanno
prontamente reagito a sostegno di
Kavala. Emma Sinclair-Webb, direttore
della sede turca di Human Rights Watch,
ha criticato aspramente il processo
farsa in cui Kavala si trova, ancora una
volta, al banco degli imputati e il suo
commento al respingimento dell’esposto
presentato da Kavala è stato che la
sentenza della corte è "un altro chiodo
che va a chiudere la sua bara" e uno
smacco da parte del governo turco alla
CEDU, la cui sentenza che chiedeva la
scarcerazione di Kavala è stata
ignorata.
In un tweet ha poi sottolineato come il
potere giudiziario sia completamente
asservito al governo nel suo Paese.
Anche Milena Buyum di Amnesty
International Turchia ha parlato di
natura politica della "detenzione
arbitraria" di Kavala, sottolineando
come la sua collega di Human Rights
Watch la posizione di sfida con cui il
regime si permette di non rispettare le
decisioni della CEDU.
La CEDU ha chiesto nel dicembre 2019 il
rilascio di Kavala, perché considerata
come uno strumento per mettere a tacere
una voce del dissenso politico. La
sentenza non è stata però attuata, come
spesso in altri casi che riguardano
dissidenti sotto accusa e processati nei
tribunali turchi.
Oltre ai singoli dissidenti sono da
tempo nel mirino del regime le ONG; alla
fine di dicembre il Parlamento turco ha
approvato una legge che estende il
controllo sulle operazioni delle Ong,
compresa la possibilità di esonerare e
sostituire dirigenti e soci con
pericolose e ambigue accuse di
terrorismo.
La morsa che attanaglia la società
civile in Turchia si fa sempre più
stretta tra l’indifferenza del Paesi
occidentali che si preoccupano più di
mantenere degli strategici rapporti
commerciale che di promuovere la tutela
dei diritti umani. |