N. 87 - Marzo 2015
(CXVIII)
SANGUE BEATO
LA MORTE DI MONSIGNOR ROMERO
di Filippo Petrocelli
Ci
sono
voluti
trentacinque
anni
per
iniziare
il
percorso
di
beatificazione
di
monsignor
Oscar
Romero,
arcivescovo
di
San
Salvador
ucciso
sull’altare
della
cattedrale
da
un
sicario
degli
squadroni
della
morte
del
maggiore
Roberto
D'Aubuisson,
il
24
marzo
1980.
È
stato
papa
Francesco
a
imprimere
una
svolta
decisiva
al
processo
che
aveva
già
ripreso
vigore
con
papa
Benedetto
XVI.
L’amato
Carol
Wojtila
invece
–
assorto
a
supremo
simbolo
di
perfezione
e
infallibilità
pontificia
– ha
osteggiato
con
vigore
questo
vescovo
originario
di
Ciudad
Barrios,
inviando
tre
“ispezioni”
pastorali
in
Salvador
contro
quel
pastore
in
odore
di
“ermeneutica
marxista”,
ricordando
più
volte
quanto
i
preti
non
dovessero
far
politica.
Tant’è
che
Giovanni
Paolo
II
lo
ha
accolto
molto
freddamente
a
Roma
nel
1979,
quando
il
prelato
era
venuto
nella
città
eterna
per
parlare
della
gravissima
situazione
del
Salvador
e
delle
connivenze
e
complicità
della
chiesa
salvadoregna
con
la
dittatura
militare.
Ma
molti
problemi
monsignor
Romero
li
ebbe
anche
con
Paolo
VI,
che
più
volte
ne
criticò
l’operato,
anche
a
causa
del
forte
orientamento
conservatore
di
una
parte
dell’episcopato
centroamericano.
Eppure
Romero
non
fu
né
un
politico,
né
un
rivoluzionario.
A
torto
se
ne
parla
oggi
come
di
un
esponente
della
teologia
della
liberazione:
sebbene
ampliamente
influenzato
da
quest’ideologia
lui
non
vi
aderì
mai
espressamente
restando
saldamente
“dentro”
il
perimetro
dottrinale
della
chiesa
cattolica,
senza
mai
neanche
avvicinarsi
all’eresia,
ligio
all’autorità
papale
e
all’ortodossia
cristiana.
Una
delle
svolte
nella
vita
di
Romero
fu
l’uccisione
di
Rutilio
Grande,
gesuita
e
suo
collaboratore
personale,
assassinato
nel
1977
dagli
squadroni
della
morte,
proprio
per
il
suo
impegno
civile.
Primo
prelato
a
perdere
la
vita
nella
guerra
civile
salvadoregna,
questa
morte
convinse
Romero
ad
alzare
la
voce
contro
D’Aubisson.
Tuttavia
alla
beatificazione
di
monsignor
Romero
ha
contribuito
non
poco
monsignor
Paglia,
vero
deus
ex
machina
di
tutta
questa
operazione
e
uomo
di
fiducia
di
Bergoglio.
Paglia
già
nel
1997
aveva
proposto
il
sacerdote
come
“servo
di
dio”,
incontrando
però
la
ferma
opposizione
delle
alte
gerarchie
ecclesiastiche.
La
colpa
di
Romero
secondo
questi
ultimi,
era
quella
di
aver
espresso
giudizi
non
troppo
lusinghieri
sul
regime
militare,
di
aver
denunciato
pubblicamente
i
massacri
di
contadini
e
proletari
per
mano
degli
squadroni
della
morte
di
D’Aubisson
in
quella
che
molti
hanno
definito
come
la
guerra
civile
salvadoregna,
lo
scontro
fra
Arena
e il
FMLN
(Farabundo
Martì
Liberation
National)
durato
dal
1979
fino
al
1992.
Il
perché
della
sua
morte?
Un
prete
amico
dei
guerriglieri
marxisti
non
poteva
sopravvivere,
né
doveva
continuare
a
parlare
nelle
sue
omelie
di
giustizia
sociale
e
uguaglianza.
A
oggi
la
data
della
beatificazione
è
fissata
per
il
23
maggio
2015,
mentre
a
far
discutere
resta
comunque
la
motivazione
della
beatificazione:
colpito
“in
odium
fidei”
a
causa
della
sua
predicazione
mentre
non
è
stato
riconosciuto
il
martirio
per
giustizia,
ovvero
ucciso
perché
nel
giusto.
Ma
se
da
oggi
monsignor
Romero
diventa
un
simbolo
ufficiale
per
la
chiesa
cattolica,
per
trenta
anni
è
stato
comunque
il
simbolo
“occulto”
di
una
chiesa
umile
e
povera,
schierata
in
prima
linea
contro
le
ingiustizie
e la
prevaricazioni,
contro
le
dittature
militari
di
ieri
e di
oggi.
Anche
se
spesso
al
fianco
dei
guerriglieri.