N. 63 - Marzo 2013
(XCIV)
La difesa dei principati crociati in Terra Santa
gli Aleramici di Monferrato - Parte III
di Christian Vannozzi
Secondo
il
Clari
ed
il
Villehardouin
le
numerose
defezione,
dovute
alla
scomparsa
del
conte
di
Champagne,
resero
impossibile
il
pagamento
del
nolo
della
flotta
richiesto
dai
veneziani.
Il
Doge
a
questo
punto
ingaggia
i
crociati
per
una
missione:
la
conquista
di
Zara,
città
che
si
era
ribellata
al
dominio
veneziano
nell’Adriatico
e si
era
posta
sotto
la
protezione
del
cattolicissimo
re
di
Ungheria.
Il
doge
prese
a
sua
volta
la
croce
e si
unì
con
la
sua
flotta
alla
crociata.
La
spedizione
passava
così
dalla
guida
spirituale
del
papa
a
quella
militare
del
doge,
che
mirava
ad
ampliare
i
possedimenti
ed i
porti
della
repubblica,
e di
Bonifacio
di
Monferrato,
molto
vicino
al
duca
di
Svevia
Filippo,
nemico
del
papa
e
deciso
ad
essere
incornato
Sacro
Romano
Imperatore.
Dopo
il
brutale
saccheggio
della
città,
che
aveva
anche
esposto
le
insegne
cristiane,
il
principe
Alessio
Angelo,
figlio
dell’imperatore
deposto
Isacco
Angelo,
chiede
ausilio
ai
crociati
per
poter
cacciare
l’usurpatore
Alessio
III
ed
ereditare
quanto
gli
spetta.
Il
giovane
principe
Alessio
era
stato
inviato
presso
crociati
con
una
scorta
di
cavalieri
svevi
dallo
stesso
duca
Filippo,
il
quale
aveva
sposato
la
sorella
di
Alessio
e ne
era
dunque
il
cognato.
L’armata
crociata,
costituita
per
la
liberazione
di
Gerusalemme,
si
trova
così
prima
ad
essere
usata
dal
doge
per
ristabilire
la
sua
supremazia
nell’Adriatico,
e
poi
da
Filippo
di
Svevia,
che
riconquistando
il
trono
di
Bisanzio
per
suo
cognato,
avrebbe
potuto
creare
una
sudditanza
dell’impero
d’Oriente
al
Sacro
Romano
Impero
di
cui
si
preparava
ad
essere
incoronato
imperatore.
Il
doge
Dandolo
ed
il
comandante
Bonifacio
di
Monferrato
avevano
ottimi
motivi
per
quella
che
poteva
essere
chiamata
una
“deviazione”
della
crociata,
presentandola
alla
truppa
come
una
“giusta
causa”,
poiché
si
faceva
guerra
ad
un
fellone
che
aveva
con
l’inganno
usurpato
il
trono
al
pio
Isacco
Angelo.
Inoltre
le
finanze
dei
crociati
non
erano
sufficienti
ad
una
campagna
in
Terra
Santa.
Il
principe
bizantino
prometteva
il
finanziamento
della
spedizione
crociata,
un
esercito
per
la
liberazione
della
Terra
Santa
e la
sottomissione
della
chiesa
ortodossa
al
pontefice
romano.
Nonostante
diverse
defezioni,
il
grosso
dell’esercito
crociato
partì
alla
volta
di
Costantinopoli,
fidandosi
delle
parole
dei
grandi
baroni,
e
sicuri
che
nonostante
questa
seconda
“deviazione”sarebbero
giunti
in
Terra
Santa.
I
crociati
raggiunsero
la
città
lagunare,
come
previsto,
per
il
mese
di
giugno,
dopo
aver
valicato
il
Gran
San
Bernardo
ed
il
Moncenisio,
i
due
passi
più
frequentati
nel
secolo
XIII.
Giunti
a
Venezia,
non
potendo
tutti
essere
ospitati
nella
città,
furono
relegati
nell’isola
di
San
Niccolò.
Qui
furono
fatte
allestire
delle
tende
per
i
soldati
e
diverse
stalle
per
i
cavalli
e si
portarono
i
rifornimenti
necessari
alla
truppa.
L’alloggio
non
doveva
essere
molto
confortevole
visto
che
i
“pellegrini”
furono
isolati
dalla
città
e
considerati
quasi
prigionieri.
Il
Villehardouin
sostiene
nella
sua
cronaca
che
nell’estate
del
1202
erano
presenti
a
Venezia
11.000
crociati
dei
33500
previsti.
Molti
cavalieri
avevano
rinunciato
all’impresa,
altri
erano
partiti
da
altri
porti.
La
flotta
partita
dalle
Fiandre
agli
ordini
del
barone
Jean
de
Nele,
si
diresse
in
Siria
senza
congiungersi
con
la
flotta
veneziana.
Alcuni
cavalieri
francesi
si
imbarcarono
a
Marsiglia
recandosi
direttamente
in
Terra
Santa.
A
Piacenza
un
contingente
di
cavalieri
francesi
decise
di
dirigersi
in
Puglia
presso
il
conte
Gualtiero
di
Brienne.
Il
Villehardouin
polemizza
contro
coloro
che
lasciarono
la
crociata
per
dirigersi
in
Siria
e
trae
partito
da
questo
fatto
per
spiegare
l’impossibilità
in
cui
si
trovarono
i
nobili
crociati
di
corrispondere
ai
veneziani
l’intera
somma
pattuita
per
il
traghettamento.
Antonio
Carile
è in
disaccordo
con
i
due
cronisti
della
“Conquista
di
Costantinopoli”
in
quanto
anche
se
l’esercito
crociato
si
era
in
parte
dissolto
a
causa
della
morte
del
conte
Tebaldo,
l’estensione
della
crociata
alla
Borgogna
e
all’impero
dopo
la
nomina
del
marchese
Bonfacio
di
Monferrato
a
capo
dell’impresa,
implicò
la
partecipazione
della
cavalleria
lombarda,
toscana,
tedesca
e
arlesiana.
Per
Carile
quindi
le
defezioni
francesi
furono
compensate
dall’incremento
delle
truppe
italo-tedesche
guidate
dal
marchese
Bonifacio.
Da
questa
analisi
risulterebbe
che
i
crociati
presenti
a
Venezia
nell’estate
del
1022
erano
pressoché
uguali
a
quelli
che
si
prevedevano.
I
problemi
riguardarono
però
il
pagamento
della
somma
pattuita
con
i
veneziani,
in
quanto
i
crociati
erano
sprovvisti
del
denaro
che
avevano
concordato
con
il
doge.
A
questo
punto,
vista
l’impossibilità
per
i
crociati
di
mantenere
l’impegno
preso
con
la
repubblica,
il
doge
propose
ai
crociati,
dopo
aver
consultato
le
assemblee
cittadine,
di
pagare
il
debito
con
la
loro
parte
del
primo
bottino.
Nel
settembre
1202,
visto
l’avvicinarsi
dell’inverno,
il
doge
propose
ai
crociati
di
aiutare
Venezia
a
riconquistare
Zara,
una
città
dalmata
che
nel
1183
si
era
ribellata
alla
repubblica
grazie
all’ausilio
del
re
di
Ungheria.
In
cambio
Venezia
avrebbe
dilazionato
la
somma
mancante
permettendo
l’avvio
della
crociata.
La
proposta
del
doge
di
attaccare
la
città
cristiana
di
Zara
fu
contrastata
dal
papa
che
mandò
a
Venezia
il
cardinale
Pietro
di
Capua
per
distogliere
il
doge
Dandolo
e i
comandanti
crociati
da
una
simile
azione.
La
fermezza
con
cui
il
risoluto
Dandolo
si
oppose
al
divieto
del
papa
destò
molta
meraviglia
tra
le
fila
francesi.
Per
i
nobili
francesi
infatti
una
simile
resistenza
ad
una
richiesta
del
sommo
pontefice
era
impensabile.
Lo
stesso
legato
pontificio
Pietro
Captano,
inizialmente
contrario,
si
convinse
che
la
conquista
di
Zara
fosse
una
causa
giusta
e
necessaria,
se
non
altro
per
impedire
il
fallimento
della
crociata.
Nell’estate
del
1202
Alessio
Angelo,
figlio
dell’imperatore
spodestato
Isacco,
si
trovava
nel
castello
di
suo
cognato
Filippo
di
Svevia.
Il
principe
bizantino
era
riuscito
a
fuggire
da
Costantinopoli
dove
suo
zio
lo
aveva
imprigionato
insieme
a
suo
padre.
Tra
il
settembre
e
l’ottobre
1201
Alessio
riuscì
a
fuggire
dalla
prigione
e ad
imbarcarsi
su
una
nave
pisana.
Sbarcato
ad
Ancona
raggiunse
via
terra
il
castello
del
duca
di
Svevia.
Filippo
accolse
generosamente
il
cognato
e ne
appoggiò
diplomaticamente
i
progetti
di
restaurazione.
Il
soggiorno
in
Germania
del
marchese
Bonifacio,
nell’inverno
del
1201,
fa
pensare
ad
un
incontro
organizzato
da
Filippo
di
Svevia
tra
il
comandante
crociato
e il
principe
bizantino
per
gettare
le
basi
sulla
possibile
restaurazione
imperiale.
Dandolo
in
piazza
S.
Marco
prese
la
croce
e
lasciò
il
governo
della
repubblica
a
suo
figlio.
Alcuni
crociati
ebbero
l’impressione
che
la
guida
morale
ed
effettiva
della
crociata
fosse
passata
nelle
mani
del
doge.
Dei
cavalieri
infatti
rifiutarono
di
partire
per
Zara
e
rinunciarono
all’impresa.
Il
10
ottobre
1202,
dopo
mesi
di
indecisioni
e
ritardi
la
flotta
salpò
da
Venezia.
Gli
accordi
per
“la
deviazione”
su
Zara
vennero
infatti
ratificati
unicamente
con
i
capi
crociati,
senza
che
la
truppa
ne
venisse
informata.
Il
problema
delle
città
dalmate
era
stato
uno
delle
prime
preoccupazioni
del
doge
Enrico
Dandolo,
ed
era
una
delle
costanti
della
politica
veneziana
controllare
le
città
marinare
dell’Adriatico
impedendo
così
lo
sviluppo
di
concorrenti
nel
golfo
di
Venezia.
La
flotta
navigò
per
un
mese
circa
lungo
la
costa
istriana.
Il
doge
ne
approfittò
per
ottenere
la
completa
sottomissione
delle
città
di
Trieste
e di
Muggia.
Inoltre
il
contingente
di
rematori
veneziani
fu
ampliato
dal
reclutamento
di
marinai
istriani.
Un’importante
tappa
fu
Pola,
dove
i
“pellegrini”
si
riposarono
e
approvvigionarono
le
navi.
I
“pellegrini”
raggiunsero
Zara
tra
il
10 e
l’11
novembre
1202
e
ruppero
subito
le
catene
del
porto
per
prendere
la
città.
Malgrado
i
dissensi
scoppiati
nell’esercito
crociato,
dove
Simone
di
Monfort
si
pose
a
capo
dell’ala
dei
crociati
decisa
a
rispettare
il
divieto
papale
di
assalire
città
cristiane,
ripetuto
ancora
sotto
Zara
dall’abate
cistercense
di
Vaux-de-Cernay,
l’assedio
iniziò
fin
dal
giorno
dopo
nonostante
molti
dei
baroni
partecipanti
all’impresa
non
fossero
presenti
all’assalto.
Il
comandante
Bonifacio
di
Monferrato
e il
conte
Matteo
di
Montmorency
non
erano
infatti
presenti.
Il
marchese
evitò
in
questo
modo
di
trasgredire
al
divieto
papale
che
lo
avrebbe
portato
alla
scomunica
e
tolto
il
comando
dell’armata
crociata.
I
rappresentanti
della
città
mandarono
i
propri
legati
per
distogliere
i
crociati
dal
servire
i
veneziani
in
una
impresa
che
li
avrebbe
portati
alla
scomunica,
ma
la
risolutezza
del
doge
Dandolo
non
fece
vacillare
la
volontà
dei
crociati
nel
conquistare
la
città
dalmata
per
pagare
così
il
debito
verso
il
Doge
e
poter
giungere
in
Terra
Santa.
Il
13
novembre
i
crociati
iniziarono
le
operazioni
militari.
Gli
abitanti
impauriti
esposero
le
immagini
sacre
sulle
mura
per
dimostrare
la
propria
fede
cristiana,
ma,
ciò
malgrado,
i
crociati
non
ebbero
nessun
tentennamento.
L’assedio
fu
condotto
sia
per
terra
che
per
mare
e il
24
novembre
la
città
dalmata
fu
conquistata.
La
città
fu
divisa
a
metà
tra
“pellegrini”
e
veneziani.
Ai
veneziani
spettò
la
parte
vicina
al
porto,
dove
erano
attraccate
le
navi,
mentre
ai
franchi
fu
data
la
periferia.
Non
potendo
attraversare
l’Adriatico
in
inverno
la
spedizione
si
fermò
a
Zara
in
attesa
della
primavera.
Il
Clari
sostiene
che
durante
questo
periodo
ci
furono
problemi
tra
veneziani
e
franchi,
vi
fu
infatti
una
rissa
che
durò
ben
trentasei
ore.
Questo
scontro
tra
esercito
crociato
e
veneziani
dimostra
come
i
soldati
francesi
a
Zara
incominciarono
a
comprendere
che
ormai
erano
dentro
un
gioco
politico
che
li
avrebbe
portati
in
direzione
nettamente
lontane
dalle
mete
prefisse
al
momento
della
partenza,
e
sfogarono
il
loro
malumore
verso
coloro
che
ritenevano
responsabili
del
fallimento
della
loro
impresa.
La
decisione
di
far
scalo
a
Zara
diede
ad
Innocenzo
III
l’impressione
di
aver
perso
il
controllo
della
crociata.
La
reazione
del
pontefice
fu,
come
prevedibile,
quella
di
scomunicare
tutti
i
responsabili.
Preoccupati
i
baroni
mandarono
a
Roma
degli
ambasciatori
nel
tentativo
di
convincere
il
papa
a
ritirare
la
scomunica.
Furono
inviati
insieme
al
legato
pontificio
Pietro
Capuano,
il
vescovo
di
Soissons
Nevelon
e
Jean
de
Noyon,
cancelliere
del
conte
Baldovino,
e
due
cavalieri,
Jean
de
Fraire
e
Robert
de
Bove.
I
legati,
giunti
a
Roma
nel
febbraio
del
1203,
tentarono
in
tutti
i
modi
di
convincere
il
papa
al
perdono
sostenendo
che
la
città
era
stata
attaccata
per
una
giusta
causa.
Innocenzo
III
assolse
i
crociati
ma
non
i
veneziani,
ritenuti
i
principali
responsabili
dell’attacco,
senza
però
proibire
ai
“pellegrini”
di
servirsi
della
flotta
della
repubblica
per
giungere
in
Terra
Santa.
Inoltre
crociati
e
veneziani
conquistando
Zara
attaccarono
indirettamente
il
re
di
Ungheria,
unico
monarca
cristiano
ad
aver
aderito
alla
crociata.
Bonifacio,
come
comandante
della
crociata,
avrebbe
dovuto
assumersi
la
sua
parte
di
colpa,
ma
arrivò
a
Zara
solo
due
giorni
dopo
i
saccheggi,
trattenuto
a
Roma
per
delle
faccende
importanti.
Appena
qualche
giorno
dopo
il
suo
arrivo
giunsero
a
Zara
dei
messaggeri
dalla
corte
di
Filippo
di
Svevia
con
una
precisa
proposta
del
principe
bizantino
Alessio,
cognato
di
Filippo
di
Svevia
e
figlio
dell’imperatore
Isacco.
“Se
i
crociati
avessero
deviato
dalla
rotta
per
aiutarlo
a
riprendere
quanto
gli
spettava
a
Costantinopoli,
restaurando
suo
padre
Isacco
sul
trono
imperiale,
Alessio
prometteva
di
saldare
tutti
i
debiti
con
Venezia,
di
finanziare
la
spedizione
in
Egitto,
di
rafforzare
le
schiere
crociate
con
10000
uomini
mantenuti
a
sue
spese
e di
mantenere
una
guarnigione
permanente
di
500
cavalieri
bizantini
in
Terra
Santa.
E
inoltre
faceva
sapere
che
il
popolo
bizantino
sarebbe
stato
talmente
contento
del
suo
ritorno
che
la
Chiesa
e il
popolo
avrebbero
reso
obbedienza
alla
supremazia
della
Sede
di
Roma,
rinunciando
all’antico
scisma.
Inoltre
i
crociati
ed i
veneziani
in
quello
stesso
periodo
erano
indecisi
sul
da
farsi,
poiché
non
avevano
ne
il
denaro
ne
le
risorse
sufficienti
per
tentare
la
campagna
contro
l’Egitto.
Oltre
al
Doge,
per
i
suoi
fini
commerciali,
Costantinopoli
interessava
anche
al
marchese
Bonifacio,
molto
vicino
diplomaticamente
a
Filippo
di
Svevia
e
deciso
a
vendicare
l’offesa
che
aveva
ricevuto
il
fratello
Corrado
dopo
aver
aiutato
l’imperatore
Isacco
contro
la
cospirazione
del
generale
Branas.
L’idea
di
servirsi
dell’impero
bizantino
come
base
di
partenza
e
come
centrale
di
rifornimenti
per
la
riconquista
della
Terra
Santa
era
ormai
familiare
ai
latini
e
non
era
stata
estranea
neppure
alla
politica
papale
nei
confronti
di
Bisanzio.
Bonifacio
di
Monferrato
ed
Enrico
Dandolo
sposarono
senza
indugio
la
proposta
del
principe
Alessio.
Entrambi
nutrivano
ambizioni
sul
decadente
impero,
Venezia
per
il
monopolio
delle
rotte
commerciali
e
Bonifacio
per
la
possibilità
di
fiorenti
città
da
porre
sotto
il
suo
dominio.
Un’altra
discordanza
tra
i
due
cronisti
riguarda
l’incontro
tra
i
crociati
ed
il
principe
Alessio:
Villehardouin
scrive
infatti
che
Alessio
giunse
a
Zara,
e lì
promise
ai
crociati
il
suo
aiuto
nella
guerra
contro
gli
infedeli.
Duecentomila
marchi
e la
riunificazione
delle
chiese.
Il
Clari
sostiene
invece
che
i
crociati
salparono
con
l’arrivo
della
primavera
verso
l’isola
di
Corfù,
lasciando
delle
galee
ad
attendere
Alessio
ed
il
suo
seguito.
L’incontro
quindi
con
i
comandanti
crociati
e
con
il
Doge
avvenne,
secondo
il
Clari,
nell’isola
di
Corfù.
Il
doge
Dandolo
influì
non
poco
sulla
decisione
finale,
consapevole
dei
benefici
economici
che
avrebbe
ottenuto
insediando
sul
trono
bizantino
un
imperatore
in
debito
con
Venezia.
Inoltre
la
repubblica
avrebbe
avuto
il
suo
denaro
e
avrebbe
esteso
e
rafforzato
i
suoi
privilegi
commerciali
su
tutto
l’impero
bizantino.
La
spedizione
verso
Costantinopoli
fu
sostenuta
anche
da
alcuni
ecclesiastici,
tra
i
quali
Garnier
di
Trainel,
vescovo
di
Troyes;
Nevelon
di
Cherisy,
vescovo
di
Saissoins,
Corrado
di
Krossigk,
vescovo
di
Halberstadt,
Giovanni
Faecete,
vescovo
di
Acri.
L’abate
cistercense
di
Vaux-de-Cernay
e
Simon
de
Montfort
sostenevano
invece
che
non
si
dovesse
disubbidire
al
divieto
papale
di
attaccare
l’impero
di
Costantinopoli,
ma
che
bisognava
proseguire
per
la
Terra
Santa,
vero
obiettivo
della
crociata.
Il
Clari
si
riferisce
all’episodio
che
riguarda
la
congiura
del
generale
Branas,
in
quanto
inizia
una
narrazione
degli
eventi
che
riguardarono
Corrado,
fratello
maggiore
di
Bonifacio,
nell’impero
bizantino
e
poi
in
Terra
Santa.
Un’altra
voce
contraria,
ad
un’azione
contro
Costantinopoli,
veniva
dal
ponteficie.
Lo
studio
di
Antonio
Carile,
Per
una
storia
dell’impero
Latino
di
Costantinopoli,
presenta
la
lettera
del
papa
Innocenzo
III
contro
la
decisione
di
appoggiare
il
principe
Alessio
nella
sua
guerra
contro
lo
zio
usurpatore.
Il
sommo
pontefice
condannava
apertamente
un
nuovo
utilizzo
delle
insegne
crociate
contro
una
città
cristiana.
Nella
sua
epistola,
Innocenzo
III,
pur
riconoscendo
che
Alessio
III
aveva
preso
il
trono
spodestando
il
fratello,
sosteneva
che
un
esercito
che
portava
la
croce,
e
che
si
era
costituito
per
liberare
la
Terra
Santa
dagli
infedeli,
non
doveva
immischiarsi
in
affari
dinastici
di
stati
cristiani,
in
quanto
aveva
un
più
alto
compito,
quello
di
riportare
Gerusalemme
alla
Cristianità.
Il
pontefice
spiega
ai
crociati
che
la
grave
ingiuria,
subita
da
Isacco
Angelo
e da
suo
figlio
Alessio,
non
era
una
questione
che
li
riguardasse
in
prima
persona.
Il
papa
dice
apertamente
ai
crociati
che
non
è la
loro
missione,
la
loro
missione
infatti
era
di
liberare
i
Santi
Luoghi
in
cui
il
Cristo
era
nato
e
dove
era
stato
crocifisso
per
liberare
l’umanità
dalla
morte
e
dal
peccato.
Quei
luoghi,
in
cui
era
compresa
la
Città
Santa
di
Gerusalemme,
sede
dell’antico
Tempio
di
Salomone
e
luogo
in
cui
il
Cristo
affrontò
il
martirio,
che
giaceva
sotto
il
dominio
e le
“barbarie”
degli
infedeli
seguaci
di
Maometto.
Riuniti
in
assemblea
la
maggior
parte
dei
comandanti
crociati
accettarono
la
proposta
del
principe
Alessio.
La
partenza
avvenne
il
24
maggio
del
1203.