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N. 62 - Febbraio 2013 (XCIII)

La difesa dei principati crociati in Terra Santa
gli Aleramici di Monferrato - Parte II

di Christian Vannozzi

 

La capitale era il luogo in cui si mescolavano attività commerciali e discordie tra pisani, veneziani, e genovesi. Dai porti palestinesi non si svolgevano soltanto traffici di esportazione e importazione tra est e ovest, ma prosperava anche il commercio locale, con notevoli profitti.


Le rivalità tra le città mercantili del Mediterraneo veniva espressa anche attraverso la “guera di corsa”.


In questo contesto il doge Orio Mastropietro abdica nel 1192. Enrico Dandolo eredità quindi una situazione molto difficile, che peggiora nel 1195, a causa di una nuova crisi dinastica bizantina. L’imperatore Isacco II viene detronizzato e accecato dal fratello, che prende la corona imperiale con il nome di Alessio III.


Il nuovo doge era però, come già ricordato, un uomo lungimirante ed energico. Aveva novant’anni ed era quasi cieco, secondo alcuni perché Manuele Comneno l’aveva fatto accecare per una risposta insolente durante una missione a Costantinopoli, ma ciò nonostante ben rappresentava lo spirito mercantile e guerriero della repubblica, avendo notevoli capacità organizzative e politiche.


Dopo aver aspettato quattro giorni, i messaggeri furono ammessi alla presenza del doge, e al suo consiglio dove poterono esporre il motivo della loro missione. Dissero infatti che erano stai inviati dai grandi baroni di Francia, i quali avevano preso la croce per vendicare la grande onta subita dal nostro signore Gesù Cristo, e liberare la Città Santa di Gerusalemme.

 

Chiedevano alla repubblica di Venezia, la più potente sui mari, di avere compassione e pietà per i principati Latini e per la Terra Santa. In quell’occasione il doge secondo la cronaca del Villehardouin, congedò gli ambasciatori dicendo che avrebbe risposto da li ad otto giorni, perché la decisione era assai grave, e aveva bisogno di una lunga riflessione. Lo storico Queller sostiene che all’inizio si pensò di far pagare ai crociati una somma di novantaquattromila marchi d’argento per poi accettare il pagamento di ottantacinquemila marchi da pagare in quattro rate.


I crociati francesi e fiamminghi si impegnarono quindi a pagare ottantacinquemila marchi d’argento entro l’anno in quattro rate per il trasporto del proprio contingente.


Il doge sottopose la questione al Gran Consiglio e all’assemblea del popolo per ottenerne l’approvazione, che fu votata all’unanimità. Ambo le parti si erano legate con un accordo solenne, ma mentre i veneziani avevano volontà e risorse per rispettare l’impegno preso, i crociati avevano sopravvalutato se stessi, in quanto le defezioni tra le loro file rendevano arduo l’accumulo di una simile somma di denaro. Dal momento infatti che il Villehardouin sottoscrisse l’impegno con i veneziani, la direzione della crociata passò nelle mani della città lagunare, che avrebbe fatto rispettare l’accordo stipulato.


Da parte francese, la crociata iniziava a “sbriciolarsi”. Il conte di Brienne se ne andò in Puglia con i suoi cavalieri, per sostenervi i diritti della Chiesa, altri dichiaravano che preferivano imbarcarsi in porti più vicini, e a tutto questo si aggiungeva la morte del comandante Tebaldo, l’uomo eletto a Compiègne con il consenso del pontefice Innocenzo III.


I legati pagarono l’anticipo richiesto dai veneziani di venticinquemila marchi prendendoli in prestito da una banca veneziana. Il papa non condivise il trattato, in quanto avrebbe voluto essere avvisato prima della stipula dell’accordo, che accettò solo in cambio della solenne promessa che mai l’esercito crociato avrebbe attaccato una città cristiana, pena la scomunica. Innocenzo III in questa occasione si era dimostrato alquanto lungimirante.


I veneziani non furono mai dei crociati entusiasti, anzi erano restii ad imbarcarsi in un impresa contro il sultano d’Egitto, con il quale intrattenevano ottimi rapporti commerciali.


I veneziani al miraggio di favolosi guadagni in terre lontane anteponevano con maggior spirito pratico i guadagni che potevano accumulare con i commerci. Ciò nonostante lo sforzo economico e militare della repubblica fu notevolissimo. Il doge fece subito venire dei carpentieri per far costruire navi e galee, e fece coniare monete d’argento, per pagare tutti gli operai. Venezia si preparava alla crociata con grande cura.


I veneziani costruirono tre tipi di navi: le latine, navi tonde da carico addette al trasporto di uomini, bagagli e vettovaglie, gli uscieri, navi adibite al trasporto dei cavalli, e le galee, navi sottili a remi, vere e proprie navi da guerra.


La cronaca del maresciallo Villehardouin ci dice che fu sepolto nella chiesa di Saint Etienne a Troyes.


La scomparsa del conte di Champagne, determinò la ricerca di un nuovo comandante, visto anche il processo di disgregazione delle forze crociate che si stava attuando. Il conte Gualtieri di Brienne, infatti, con il suo seguito di cavalieri crociati, si stavano dirigendo in Puglia, per difendere i possedimenti di sua moglie, figlia del re di Sicilia Tancredi. Questo contingente non si riunì più alla crociata.


La direzione militare della crociata, data la struttura feudale dell’esercito, era subordinata alla possibilità di fornire un contingente di cavalieri abbastanza ampio per divenire un centro di raccordo delle sparse forze della cavalleria feudale. Cercare un comandante significava anche, da un punto di vista militare, trovare un contingente di cavalieri legati da vincoli feudali al loro signore.


Dopo il rifiuto del duca di Borgogna, Oddo, e del conte Tebaldo di Bar-de-Duc, cugino del defunto comandante, Goffredo di Villehardouin propose la candidatura del marchese Bonifacio di Monferrato, cugino del re di Francia e zio del defunto re di Gerusalemme Baldovino V e della principessa del regno, Maria.


Sicuramente il Villehardouin aveva incontrato il marchese durante il suo viaggio di ritorno in Francia, e deve averne ricevuto assicurazioni circa la possibilità di una sua partecipazione alla crociata con un seguito adeguato. Villehardouin darà poi prova nella sua cronaca di amicizia per il marchese, anche se tende a mettere in secondo piano la partecipazione lombarda e tedesca.


Con la nomina del marchese di Monferrato, la crociata si estese alla cavalleria lombarda. La partecipazione di Bonifacio a capo della crociata implicò l’apporto di un numero di cavalieri paragonabile a quello del defunto Tebaldo di Champagne.


Al marchese è dovuta pure l’estensione della crociata alla Germania. Il marchese infatti era strettamente legato al re di Francia Filippo Augusto e a Filippo di Svevia, presso i quali soggiornò. Fino alla fine di novembre 1201 fu ospite del re di Francia, e da dicembre 1201 a gennaio 1202 fu ospitato presso il futuro rex romanorum.


La presenza come comandante crociato di una personalità legata agli ambienti ghibellini, mostra come la crociata sia sfuggita di mano al pontefice Innocenzo III.


Bonifacio era il fratello dell’eroe di Tiro e re di Gerusalemme Corrado di Monferrato. Corrado aveva sposato la principessa bizantina Teodora, figlia dell’imperatore Isacco II, colui che aveva liberato l’impero d’Oriente dall’usurpatore Andronico, ottenendo il titolo di Cesare. Durante la rivolta del nobile Alessio Branas, Corrado si mise a capo dei cavalieri Latini che risiedevano a Costantinopoli, per difendere il suocero Isacco II. L’imperatore, a capo delle guardie imperiali, lasciò però solo a combattere il genero, che sconfisse Alessio, ma decise di abbandonare Costantinopoli e la moglie a causa dell’ostilità che il sovrano nutriva per lui.


Giunto a Tiro, la fortifico e resistette agli attacchi di Saladino, che non riuscì a prendere la città. Dopo l’eroica difesa, prese come moglie la principessa Isabella, erede del trono di Gerusalemme, con la quale ebbe una figlia, Maria.


La famiglia del marchese era strettamente legata al regno di Gerusalemme, il che gli conferiva un grande prestigio agli occhi dei crociati, inoltre, anche se al momento non sembravano rilevanti, i suoi vincoli di parentela con Bisanzio erano altrettanto forti.


Prima del suo ritorno in Monferrato, Bonifacio fece una deviazione in Alsazia, per incontrarsi con il suo amico e signore Filippo di Svevia. Entrambi avevano rancori contro Bisanzio, ed inoltre, nel Natale del 1201, arrivò proprio da Costantinopoli un ospite inatteso, Alessio, il figlio dell’imperatore detronizzato Isacco II.


Grazie ad una nave pisana, il giovane principe era riuscito a fuggire da Costantinopoli per recarsi ad Ancona, dalla quale si recò in Alsazia dal cognato Filippo e dalla sorella per chiedere protezione cercare validi alleati in Occidente.


A febbraio Alessio si diresse infatti a Roma, per chiedere l’ausilio del papa. Innocenzo III. Il pontefice, che intratteneva rapporti cordiali con Alessio III per quanto riguarda la riunificazione delle chiese, rifiutò di aiutare il giovane principe. Qualche tempo dopo giunse Bonifacio, il neo comandante della crociata, il quale chiese al pontefice il permesso di guidare i crociati contro l’usurpatore Alessio III, permesso che il papa negò, ribadendo che la crociata non doveva essere indirizzate verso città cristiane.



 

 

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