N. 54 - Giugno 2012
(LXXXV)
il primo uomo
uno scrittore tra due mondi
di Giovanna D'Arbitrio
Tratto
dal
romanzo
autobiografico
di
Albert
Camus
Le
Premier Homme,
il
film
di
Gianni
Amelio
Il
Primo
Uomo
è
apparso
anche
sugli
schermi
italiani
dopo
aver
ricevuto
il
premio FIPRESCI
assegnato
dalla
critica
internazionale
al
Festival
di
Toronto.
È
la
storia
di
Jean Cormery
(alias
Camus
stesso,
interpretato
da
J.
Gamblin) che
torna
in
Algeria,
paese
in
cui
è
nato
da
genitori
immigrati
di
seconda
generazione,
da Lucien,
colono
di
origine
francese
morto
durante
la
Prima
Guerra
Mondiale,
e da
Catherine
(Maya
Sansa),
di
origine
spagnola.
Dopo
aver
visitato
la
tomba
del
padre
nel
’57
Jean,
ormai
divenuto
scrittore
di
successo
in
Francia,
cerca
di
diffondere
il
suo
messaggio
di
coesistenza
pacifica
tra
francesi
e
musulmani
in
un
periodo
di
forti
tensioni
ed
attentati
terroristici
per
la
lotta
a
favore
dell’indipendenza
contro
il
colonialismo:
da
una
parte
c’è
la
Francia
che
considera
l’Algeria
terra
ribelle
e
lontana
dove
si
ritiene
necessario
reprimere
brutalmente
ogni
richiesta
di
libertà,
dall’altra
i
rivoluzionari
che
reagiscono
con
attentati
terroristici,
respingendo
con
durezza
le
idee
di
integrazione
tra
le
diverse
etnie.
Il
quarantenne
Jean
si
sente
allora
"straniero"
tra
due
mondi
e
parte
alla
ricerca
di
se
stesso
attraverso
i
ricordi
dell’infanzia
nel
tentativo
di
riannodare
il
passato
al
presente,
per
scoprire
la
verità
su
se
stesso
e
gli
eventi
storici
attraverso
un’analisi
di
cause
ed
effetti:
continui
flashback
ci
mostrano
un
bambino
sensibile,
educato
da
una
nonna
dispotica
(Ulla
Bougué),
da
una
madre
dolce
e
silenziosa,
da
un
affettuoso
giovane
zio,
Etienne
(N.
Giraud),
tutti
poveri
e
analfabeti,
ma
lavoratori
onesti
e
dignitosi,
dotati
di
buoni
sentimenti.
Fondamentale
la
figura
di
un
insegnante,
il
prof.
Bernard
(D.
Podalydés),
maestro
di
vita,
che
lo
incoraggerà
a
proseguire
gli
studi
e lo
aiuterà
nella
sua
crescita
umana
e
spirituale.
Sua
è la
frase
"un
bambino
è il
germoglio
di
un
mondo
che
verrà".
Sono
dunque
i
valori
che
lo
formarono
da
piccolo
che
ora
lo
spingono
a
scrivere
e a
esprimere
le
sue
idee
sui
drammatici
avvenimenti
dell’epoca,
con
il
senso
di
responsabilità
di
un
uomo
dotato
di
una
visione
più
ampia,
più
complessa,
una
visione
che
da
autobiografica
e
personale,
diventa
infine
esistenziale,
sociale,
storica.
Egli
afferma
pertanto
che
il
dovere
di
uno
scrittore
"è
di
aiutare
quelli
che
subiscono
la
storia",
anche
se
"colui
che
scrive
non
sarà
mai
all’altezza
di
colui
che
muore"
per
una
giusta
causa.
Pur
comprendendo
tuttavia
i
motivi
di
quelli
che
sacrificano
la
propria
vita
per
la
libertà
repressa
con
metodi
crudeli
e
disumani,
condanna
fermamente
gli
attentati
terroristici
che
spesso
mietono
vittime
innocenti
in
modo
indiscriminato.
Jean
ritorna
in
Algeria
dunque
per
ritrovare
soprattutto
"i
rapporti
umani
del
passato"
con
l’aiuto
della
madre
ormai
anziana
(C.
Sola),
rapporti
ancora
vivi
nel
presente
in
un
mondo
sconvolto
dai
cambiamenti.
Prevalgono
nel
film
le
luci
soffuse,
i
lumi
di
candele,
il
colore
ingiallito
di
vecchie
foto
che
registrano
i
ricordi
(la
fotografia
è di
Y.
Cape),
la
narrazione
lenta,
i
primi
piani
sui
volti
espressivi
ed
intensi.
Solo
a
tratti
una
luce
solare
invade
lo
schermo
con
squarci
paesaggistici
sul
fresco
verde
primaverile
delle
piante
o
sull’intenso
blu
del
mare.
E
così,
seguendo
il
colore,
anche
la
musica
sembra
in
ogni
momento
sottolineare
gli
stati
d’animo
(colonna
sonora
di
F.
Piersanti).
Un
bel
film,
anche
se
velato
di
tristezza,
un
film
che
ancora
una
volta
ci
dimostra
la
bravura
di
G.
Amelio,
regista
e
sceneggiatore,
nonché
la
sua
sensibilità
nel
penetrare
i
meandri
della
psiche
infantile,
sensibilità
già
dimostrata
in
precedenti
film,
come
Ladro
di
Bambini,
Le
Chiavi
di
Casa
e
altri.
Bravissimo
anche
Nino Jouglet,
il
piccolo
attore
che
interpreta
Jean
da
bambino.