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N. 81 - Settembre 2014 (CXII)

 i PRIMI GIORNI DELL’ITALIA Del MARESCIALLO BADOGLIO
TRA CRISI ISTITUZIONALI E FUGHE

di Carlo Ciullini

 

Il crollo del Fascismo avvenne dopo il Gran Consiglio del 24 Luglio 1943: venne convocato per discutere la situazione militare che ormai preoccupava anche eminenti personalità fasciste, quali Grandi, Bottai, Ciano.

 

Si stava facendo strada, soprattutto ad opera di Grandi, l’idea di togliere a Mussolini, e quindi al Fascismo, l’onere e la responsabilità della condotta militare della guerra, lasciandogli però la direzione politica.

 

Il Duce avrebbe dovuto restituire al Re il comando supremo delle forze armate, che aveva assunto nel 1940.

 

Senza dilungarsi sul resoconto della seduta, sembra però opportuno puntualizzare come l’opposizione fascista non perseguisse lo scopo di rovesciare Mussolini: il gruppo di Grandi, scrive lo storico Joseph Schroeder: “voleva soltanto ridurre il potere del Duce alla misura primitiva, e spianare al Re la via per il ritorno alle sue funzioni costituzionali. L’intenzione di Grandi di rendere più costituzionale il regime fascista per mezzo di una proposta i cui possibili effetti erano stati certamente mal calcolati, assunse importanza storica soltanto in quanto fornì alla Corte e agli ambienti militari un’occasione inattesa, ma estremamente gradita, per eseguire il colpo di Stato in programma comunque. Sfruttare il velato voto di sfiducia del Gran Consiglio contro Mussolini, quale motivo legale e al tempo stesso determinante per la destituzione, doveva apparire alle forze antifasciste tanto più allettante, in quanto eventuali misure di rappresaglia tedesche dovevano dirigersi in primo luogo contro i cospiratori fascisti. Nel gioco delle forze politiche italiane, si erano quindi formate contro Mussolini varie correnti contemporanee di diversissima origine. Mirando alla stessa meta di privare Mussolini del potere in modo più o meno radicale, le aspirazioni di ambienti della Corte, militari e fascisti si toccarono e in parte si allearono (...) Con il voto del Gran Consiglio, in seguito spesso sopravvalutato nella sua importanza costituzionale, gli avvenimenti non presero affatto una direzione nuova, ma furono soltanto condotti con maggiore rapidità verso il loro obbiettivo prestabilito, la deposizione di Mussolini”.

 

Dopo l’arresto di Mussolini, Badoglio costituì un gabinetto di tecnici e si espresse per la continuazione della guerra a fianco della Germania, ma Hitler diffidò subito dell’anziano maresciallo, come riporta lo storico statunitense William Shirer: Disse ai suoi consiglieri stupefatti: ’Il Duce ha dato le dimissioni. Badoglio, il nostro peggior nemico, ha assunto il governo’. Quella fu una delle ultime volte in cui Hitler reagì con la fredda intelligenza di cui aveva dato prova di fronte a varie crisi, in tempi passati e più fortunati. Avendo il generale Jodl proposto di attendere finché da Roma giungessero notizie più complete, Hitler lo mise subito a tacere. Gli disse:’ Non v’è dubbio che nella loro fellonia quei signori proclameranno che ci resteranno fedeli, ma il loro non sarà che un tradimento. È chiaro che non resteranno fedeli alla Germania (...) Benché questo tizio (Badoglio) abbia immediatamente dichiarato che la guerra continuerà, ciò per loro non significherà nulla. Sono costretti a dir questo, ma rimangono dei traditori’.”

 

Quella notte Hitler diede anche l’ordine di occupare i passi delle Alpi, fra Italia e Germania e fra l’Italia e la Francia.

 

Gli Alleati, invece, si chiedevano come incoraggiare Badoglio a fare la pace: Pur essendo inevitabile che la nostra reazione militare alla caduta di Mussolini richiedesse tempo (...) era di importanza capitale che la nostra reazione politica fosse immediata. Dovevamo incoraggiare il nuovo governo italiano a fare la pace, e dovevamo trovarci pronti quando i nuovi governanti si fossero dichiarati disposti alla pace”. In questi termini parlò Harold MacMillan, diplomatico americano.

 

Gli inglesi si erano resi ben conto, nonostante la frammentarietà delle informazioni in loro possesso, che il Gran Consiglio del Fascismo non aveva voluto la defenestrazione di Mussolini, e che i fascisti ad oltranza avrebbero continuato la guerra con l’aiuto dei tedeschi: era a loro chiaro che il Re avesse approfittato dell’occasione offerta dal gruppo di Grandi per ordire una congiura.

 

In effetti, Badoglio voleva sia far uscire l’Italia dalla guerra, sia evitare una brutale reazione tedesca, che si sarebbe risolta nell’occupazione del paese, e che andava dunque anticipata. Sperava di mitigare le clausole della capitolazione promettendo agli Alleati un rovesciamento della posizione italiana, e la partecipazione alla lotta contro la Germania.

 

La situazione del nuovo governo apparve subito critica: mentre i tedeschi facevano affluire truppe in Italia, gli Alleati chiedevano che l’anziano maresciallo si decidesse a dichiarare la resa.

 

Sempre MacMillan: Abbiamo concesso agli italiani una breve sospensione dei bombardamenti, e dal Quartier Generale è partito alla loro volta un messaggio del tutto ‘morbido’. In sostanza abbiamo detto:’Caro Re, ben fatto! Caro popolo italiano, ben fatto! Vi siete liberati di Mussolini e del Fascismo. È magnifico. Ora venite e fate quello che è necessario fare. Se (come penso probabile) Badoglio cerca di menar il can per l’aia e se noi non facciamo aperture dirette o indirette, passato un breve intervallo di tempo noi dovremmo fare la voce grossa e dire: ‘Bene, una settimana è passata. Che cosa fa il Re? A che pensa Badoglio? O dentro o fuori. Avete nicchiato, e ora saremo noi a darci da fare. Bombarderemo Genova, Napoli, Bologna, Milano, Torino, Roma. E non sarà colpa nostra, bensì del Re e di Badoglio’. Penso che saremo in grado di attuare questa forma di propaganda bellica (per radio e con volantini), e insieme di condurre azioni di bombardamento”.

 

Il generale Eisenhower lanciò il 31 Luglio un messaggio radio agli italiani in cui si diceva: “Italiani, vi mandiamo un monito solenne (...) il periodo di pausa è finito. Siate pronti. Presto inizierà l’offensiva aerea senza remissione, di giorno e di notte(...) e quando cadranno le bombe, ricordatevi che il sangue sparso di ogni italiano cade sulle mani degli uomini di Roma che, nell’ora in cui l’Italia dovrebbe decidere, hanno temporeggiato invece di agire per l’onore, per la pace e per la libertà”.

 

Il 3 Settembre 1943 il generale Castellano, per ordine del governo Badoglio, firmava la capitolazione che doveva essere annunciata soltanto l’8 Settembre, dopo lo sbarco di una divisione aerotrasportata americana vicino Roma, per difendere la capitale dai tedeschi.

 

Ma proprio l’8 Settembre le forze naziste occuparono tutti gli aeroporti del Lazio: Eisenhower decise di annullare l’operazione e rifiutò di rinviare l’annuncio dell’armistizio, che fu dato alle 18.

 

La sera l’annuncio venne letto alla radio, senza che fossero impartiti ordini alle truppe italiane, e limitandosi a sostenere che il Regio Esercito avrebbe reagito a eventuali attacchi che fossero pervenuti da qualsiasi parte diversa dagli Alleati.

 

Alle ore 5 della mattina del giorno 9 Vittorio Emanuele III e Badoglio, seguiti da vari alti ufficiali, lasciarono Roma senza dare all’esercito istruzioni necessarie, tanto da renderlo inefficiente in pochi giorni.

 

Il 12 settembre Hitler faceva liberare Mussolini, che formò un governo repubblicano fascista sotto la sua direzione, governo che era fermamente deciso a riprendere la lotta a fianco della Germania.

 

Il governo tedesco assegnò a quello fascista repubblicano, il cui membro più eminente era senza dubbio il maresciallo Graziani, nemico irriducibile di Badoglio, la giurisdizione sulla pianura padana: La Repubblica Sociale italiana di Mussolini non era un modello di Stato formatosi naturalmente, ma un a creazione artificiale per opera di Hitler - ricorda Schroeder - E come se ciò non bastasse, il Quartier Generale del Fuhrer legò il governo di questa ‘Repubblica’ fin dal principio saldamente ai propri interessi, lo costrinse a una insubordinazione incondizionata, lo condannò a una passività impotente. Il governo tedesco tutelò da quel momento un governo non del tutto privo di volontà, ma debole e impotente che non disponeva di nessuna libertà di decisione e di azione, e non possedeva più neppure un minimo di autonomia”.

 

L’Italia si trovava così divisa in due: al Nord Mussolini, i tedeschi e i partigiani, al Sud il Re, Badoglio e gli Alleati.

 

Riferimenti bibliografici

 

MacMillan Harold, Diari di guerra. Il mediterraneo dal 1943 al 1945, Bologna, 1987

Schroeder John (a cura di Renzo De Felice), La caduta di Mussolini e le contromisure tedesche nell’Italia centrale, Bologna, 1977

Shirer William, Storia del III° Reich, Milano,1997



 

 

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