.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

moderna


N. 145 - Gennaio 2020 (CLXXVI)

ESPLORANDO IL nord del mondo

Il Nord Atlantico nell’immaginario degli esploratori europei del XVI secolo

di Filiberto Ciaglia

 

Comprendere quale fosse la concezione del Nord nell’Europa del XVI secolo vuol dire, in qualche modo, entrare nelle menti dei grandi esploratori in procinto d’avventurarsi tra le acque e le terre ancora custodite dalla parte ignota del Nord Atlantico. La cartografia di quella latitudine allora a disposizione rifletteva l’esito di traversate ben più antiche, molte delle quali con ogni probabilità non ebbero mai luogo.

 

Se si dovesse scegliere un primo tentativo di ricerca di ciò che si nascondesse a nord del mondo conosciuto, esso deve essere quello di Pitea. Egli se ne partì nella seconda metà del IV secolo a.C e, superato lo Stretto di Gibilterra, si diresse a nord verso le isole britanniche che furono raggiunte e visitate in più punti.

 

Fu un’osservazione in particolare, però, che suscitò e ancora suscita dei dubbi su quali terre avesse scorto nella sua navigazione: a quanto sembra, il marinaio riportò notizie su un’isola a nord della Scozia con particolari condizioni di luce e masse di ghiaccio nei mari circostanti. La chiamò Thule. Perduto il suo resoconto esplorativo, sulle cui notizie noi abbiamo le testimonianze di esponenti di spicco dell’età antica, il riconoscimento di questa terra rimane un mistero che abbraccia tra le varie possibilità l’Islanda, le Shetland o persino le coste occidentali della Scandinavia.

 

Un’altra nota avventura fu quella di San Brendano e dei monaci irlandesi. Nella tradizione monastica europea, la fondazione dei monasteri si inquadrava in un allontanamento dai centri abitati verso le zone più estreme: le immense foreste, i picchi montuosi o le isole deserte. Brendano salpò verso nord proprio in conformità a tale tradizione, alla ricerca d’un luogo privo di tormenti e tentazioni. Come tutti i racconti delle fondazioni monastiche l’elemento simbolico agiografico permea le narrazioni, ed è un fattore da tener presente nel tentativo di identificazione dei luoghi raggiunti.

 

Nella Navigatio, che è l’opera su cui i viaggi vennero riportati dal santo, furono descritte diverse isole difficili da riconoscere. È certo che raggiunsero le Faer Oer e l’Islanda, mentre è decisamente improbabile la scoperta delle Americhe che in molti hanno ipotizzato. Quel che è sicuro invece, è che nella cartografia europea della prima età moderna l’influenza della Navigatio si rifletteva nella toponomastica atlantica: come nella mappa del cartografo Bartolomeo Pareto del 1455, al tempo al servizio di papa Niccolò V, dove le Insulae Sancti Brendani erano raffigurate a ovest dello Stretto di Gibilterra e a nord dell’arcipelago delle Canarie. L’esempio della mappa di Pareto è solo uno tra i tanti che si avvicendarono ben oltre il XVI secolo, mano a mano che gli spazi si svelavano grazie alle spedizioni, e che relegarono in posizioni sempre più remote le isole misteriose scoperte dal santo.

 

Tornando più a nord, in Islanda la comunità di monaci era cresciuta nel corso degli anni, infoltita da altri irlandesi che raggiungevano l’isola per sfuggire alle scorrerie vichinghe. Erano passati tre secoli dall’approdo islandese di San Brendano, quando nella seconda metà del IX secolo d.C i Vichinghi, a bordo delle loro caratteristiche navi lunghe a vela quadra, raggiunsero l’isola e la colonizzarono decretando la lenta fine della presenza irlandese. Tuttavia essi si spinsero più a nord, raggiungendo la Groenlandia prima e la Terra di Baffin poi, discendendo verso sud sulle coste dell’isola di Terranova.

 

Le informazioni a proposito di questo arrivo precolombiano nel continente americano, oltre a essere figlie delle saghe che i Vichinghi stessi hanno trasmesso, furono avvalorate da un’importante scoperta archeologica negli anni Sessanta: l’esploratore Helge Ingstad e sua moglie Anne Stin, archeologa, scoprirono un villaggio vichingo nella parte settentrionale dell’isola di Terranova.

 

Il sito fu denominato “L’Anse aux Meadows” ed è stato incluso dall’Unesco nella lista dei patrimoni dell’umanità; molti storici concordano sul fatto che il villaggio fu fondato da Leif Eriksson e popolato per tre anni prima d’essere abbandonato, forse a causa degli scontri con gli indiani. E la stessa fine toccò ai villaggi più affollati della costa occidentale della Groenlandia, che contavano diverse migliaia di abitanti norvegesi: dal XIII secolo i contatti con l’Islanda e con la Norvegia si fecero via via più sporadici, al punto da preoccupare i pontefici della prima età moderna sul destino dei vescovi groenlandesi e sui fedeli dell’isola.

 

Con ogni probabilità l’ultimo colono vichingo morì in uno dei villaggi nel XV secolo, completamente dimenticato dalla propria patria e, incredibilmente, dai navigatori europei che si avventurarono in Atlantico dalla fine del Quattrocento. In effetti, se per quelli di San Brendano e altri viaggi esiste un ricordo che si riflesse nella cartografia europea e guidò gli esploratori a partire dalle spedizioni da Colombo, per quanto riguarda la scoperta vichinga il silenzio è totale.

 

Tornando alle Insulae Sancti Brendani, la loro presenza nelle mappe non rappresenta un unicum nella cartografia del cinquecento. Esisteva anche l’isola di Hy Brasil, collocata a ovest dell’Irlanda e leggendariamente descritta dai miti locali quale atollo sommerso che riemerge dai mari una volta ogni sette anni. In genere, la messa a punto di questa e di altre isole avvolte dal mito negli spazi atlantici serviva a rendere l’ignoto meno insopportabile, oltre a delineare dei luoghi remoti nei quali le esistenze erano caratterizzate dall’assenza di dolore.

 

Mi soffermerei infine su un’altra questione particolare, una navigazione che condizionò i viaggi in Nord Atlantico. Si tratta del viaggio dei Fratelli Zeno, due navigatori veneziani che avrebbero preso il mare intorno al 1380 riuscendo a raggiungere non solo le principali isole europee del Nord Atlantico ma anche la Nuova Scozia. Il resoconto della spedizione fu pubblicato da un lontano discendente in un libro nel 1558 dal titolo Dello scoprimento dell’isole Frislanda, Eslanda, Engrouenlanda, Estotilanda e Icaria fatto sotto il Polo artico da’due fratelli Zeni, M.Nicolo il K. e M.Antonio.

 

Nonostante esista una minoranza di studiosi che ancora sostiene la veridicità dell’approdo degli Zeno nel Nuovo Mondo, i più ritengono il racconto un’invenzione del discendente dei fratelli abilmente elaborata in un periodo nel quale mappe e resoconti di scoperta non mancavano di certo per avere i giusti spunti. In ogni caso, quel che desta un interesse notevole è l’influenza che il contenuto dell’opera e della mappa al suo interno ebbero sulle spedizioni dirette a nord ovest alla fine del XVI secolo. Le isole inventate sparse per il Nord Atlantico comparvero nelle mappe di Ortelius, di Mercatore, e nei resoconti delle prime spedizioni britanniche in cerca del Passaggio di Nord Ovest.

 

La mappa del Nord Atlantico di Abraham Ortelius, che è uno dei più autorevoli geografi dell’età moderna, riassume tutte le credenze cui si è fatto cenno: dalle terre visitate dai fratelli Zeno all’isola di Hy Brasil, con il caratteristico fiume d’acqua che ne percorre il diametro da nord a sud, mentre a ovest e più o meno alla stessa latitudine spicca, isolata rispetto alla mappa di Pareto d’un secolo prima e spostata di migliaia di chilometri, l’Isola di San Brendano.

 

Con un tale bagaglio di leggende e miti che solo in qualche caso presentavano frammenti di autenticità, l’Europa che guardò a Nord prese il largo a partire dal XVI secolo. Le terre scorte e le genti nelle quali gli esploratori s’imbatterono, seppure colte in ultima analisi nella loro totale alterità rispetto al vecchio mondo e alle immaginarie geografie di partenza, finirono comunque per essere contaminate da quello che nel vecchio mondo s’era scritto e detto su ciò che, da sempre fino a quel momento, l’orizzonte gelosamente aveva custodito.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

S. Eliot Morison, Storia della scoperta dell’America. La conquista del nord, Res Gestae, 1971.

T.J. Oleson, Zeno Antonio, in Dictionary of Canadian Biography, Vol. 1, 1979.

R. Hakluyt, I viaggi inglesi (1494-1600), II volume, a cura di Franco Marenco, 1966.

S. White, A cold welcome. The little Ice Age and Europe’s encounter with North America, Harvard Press, 2017.



 

 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.