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N. 76 - Aprile 2014 (CVII)

prima rivoluzione industriale
TRA putting out system E fabbrica

di Laura Ballerini

 

Quando in Inghilterra venne abolito il sistema feudale, nel 18 secolo, si sentì l’esigenza di portare su mercato un’altra importante produzione, quella tessile. I proprietari terrieri più intraprendenti iniziarono a comprare le materie prime, come la lana grezza, e la portavano nelle campagne per farla lavorare dai contadini e tornare poi a prendere il prodotto finito e immetterlo nel mercato.

 

Si creò un vero e proprio business, che prese il nome di putting out system, ovvero “ portare fuori” (dalle campagne).  C’erano, però, degli inconvenienti. Il primo problema era rappresentato dal prodotto, non raffinato e non omogeneo: ogni contadino, infatti, aveva un proprio telaio, producendo beni molto diversi (in questa prima fase il lavoro corrisponde con il capitale, perché la macchina per la produzione appartiene alla manodopera).

 

Il secondo problema era costituito dai trasporti: chi intraprendeva questo business doveva affrontare eccessivi passaggi, dalla materia prima alla manodopera, dalla manodopera al mercato. il primo problema venne ovviato dal signore che iniziò a fornire lui stesso i telai, più moderni, che fornivano un prodotto migliore e omogeneo. Si passa dunque a una seconda fase del sistema dove il lavoro non coincide più con il capitale. Per superare, invece, il costo dei trasporti, vennero creati dei luoghi dove convergere i lavoratori: questi trovavano li la materia prima e il telaio e vi lasciavano il prodotto finito. 

 

Questi luoghi venivano collocati poi vicino il mercato o le materie prime, per ottimizzare ulteriormente i trasporti. In questo momento non si può ancora parlare di industria bensì di manifattura, perché il singolo lavoratore ricopre tutte le fasi della lavorazione del prodotto, dall’inizio alla fine.

 

Il passaggio verso l’industria verrà descritto da Adam Smith nel 1776 in “inchiesta sulla natura e le cause della ricchezza delle nazione”. In questo libro egli teorizza la divisione del lavoro. Invece di lasciare al singolo l’intera gestione del bene, è più produttivo affidargli una sola fase della lavorazione: in questo modo l’operaio avrebbe appreso meglio e avrebbe svolto quella solo funzione meglio e più rapidamente, facendo diminuire i costi ma aumentare la produzione. Questi luoghi di convergenza dei lavoratori, le fabbriche, diventavano così il “regno della specializzazione”.

 

Ma oltre la divisione del lavoro, altri due elementi caratterizzavano il passaggio dalla manifattura all’industria: uno di questi è la tecnologia. Il lavoro viene applicato al progresso tecnologico, per diminuire i tempi e i costi e fornire un guadagno.

 

A differenza del sistema feudale, chiuso e improntato all’autoconsumo, il sistema industriale si configura come un sistema aperto e in competizione. In questo periodo, infatti, si registra un’incessante nascere e morire di attività economiche, non più solo tessili, in concorrenza tra loro. Viene definita la concorrenza “perfetta”, che consente l’affacciarsi sul mercato anche dei cosiddetti self made man.

 

Queste imprese, per svilupparsi necessitano di un mercato nazionale a cui affacciarsi e il ruolo dello stato, in questo momento, è proprio quello di abbattere i dazi e le dogane interne per facilitare gli scambi. Diventa fondamentale allora incrementare i trasporti: nasce così quella che sarà il simbolo della prima rivoluzione industriale, ovvero la ferrovia. Quest’ultima non incrementò soltanto le industrie che la producevano, ma anche quelle siderurgiche. Fonte di energia: il carbone.

 

La rivoluzione industriale, però, aveva le sue ombre, ovvero le condizioni degli operai. Questo nascere continuo di industrie, così in concorrenza tra loro, non garantiva nulla agli operai, che lavoravano anche 14 ore al giorno: e tra loro donne e bambini. Non aveva nessun tipo di tutela contro il licenziamento o infortuni sul lavoro, e iniziarono a ribellarsi in due modi.

 

Molti protestavano per migliori condizioni di lavoro e salari più alti, ma per molti la rabbia andava contro i macchinari. Fu Ned Lud per primo a scagliarsi contro i telai, e da allora si parò di luddismo per indicare tutti coloro che accusavano le innovazioni tecnologiche di togliergli lavoro.

 

Così, sempre in Inghilterra, intorno gli anni 30 dell’800, vi furono le prime legislazione per gli operai: non potevano lavorare i bambini inferiori ai sette anni e venne istituito un factory ispector che doveva vigilare sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche.

 

La rivoluzione industriale arrivò anche nel resto d’Europa nel periodo della restaurazione. Molti stati seguirono il modello inglese, come il Belgio, altri invece preferirono una maggiore ingerenza dello stato nelle questioni economiche, come la Francia. Li fu lo stato infatti a procedere alla creazione di infrastrutture, creando società per azioni per raccogliere il capitale tra i medi (non grandi come in Inghilterra) proprietari terrieri.



 

 

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