N. 6 - Giugno 2008
(XXXVII)
Presbyter Johannes
Il falso storico che illuse l'occidente
di Lawrence M.F. Sudbury
É il 1165 quando papa Alessandro III
riceve dall'imperatore d'Oriente Manuele I Comneno
una missiva a dir poco misteriosa: una lunga
lettera, in perfetto latino, scritta da un
fantomatico Presbyter Johannes, sedicente
re-sacerdote di un misterioso, enorme regno
cristiano “al di là del mare”, circondato da terre
nelle mani di “infedeli”.
Il latore della missiva è un personaggio
quantomeno particolare: un certo Ugo di Gebal, vescovo
nestoriano del Libano islamico. I nestoriani erano
cristiani considerati eretici di stampo manicheo,
sconfessati dal Concilio di Efeso del 431, che da
qualche tempo mantenevano intense relazioni con un
capotribù mongolo, tale Ye-lu Ta-shih, nemico giurato
dei turchi, che in quel momento assediavano l'Europa e
già vincitore, nel 1137, dell'emiro di Samarcanda:
insomma, forse erano dei rinnegati, forse erano al
servizio dei mongoli, ma, si sa, “il nemico del mio
nemico è mio amico” e, dunque, l'arrivo di questa
lettera diventa un dato certamente positivo per
l'occidente crociato, che ha forse trovato un alleato
insperato nella lotta continua e sostanzialmente
perdente contro l'Islam.
Ma lo scritto non è certamente strano
solo per le circostanze misteriose del suo recapito.
Nella lettera, il Prete Gianni invitava i sovrani
d'Europa (teoricamente la missiva doveva essere
destinata a tutti i monarchi d'Occidente) a fare visita
al suo impero, un impero ricco di meraviglie, il più
vasto mai conosciuto, sconfinato e pieno di ricchezze
inimmaginabili e raccontava di come il padre di Gianni,
Quasidio, anni prima, avesse fatto un sogno premonitore
in cui appariva un castello costruito con oro purissimo
e pietre preziose, con porte e pavimenti in cristallo,
in cui non esistevano muri interni ma solo alte colonne
che si innalzavano come obelischi egizi, sorreggendo
enormi carbonchi che illuminavano a giorno ogni angolo
di ogni singola sala, e arcate punteggiate di zaffiri
che brillavano come le stelle del firmamento.
Per ottenere questo ben di Dio, Quasidio
non doveva nutrirsi d’altro che dell’acqua che sfociava
all’interno del palazzo, bevendone un bicchiere tre
volte al giorno, per tre anni, tre mesi, tre settimane,
tre giorni e tre ore. Fatto questo il sovrano sarebbe
vissuto per trecento anni, tre mesi, tre settimane, tre
giorni e tre ore sempre nel pieno della sua giovinezza.
Scaduto il suo tempo avrebbe dovuto farsi seppellire
ancora vivo restituendo con umiltà le sue carni al
Creatore. Re Quasidio, seguì alla lettere le istruzioni
ricevute e, quando nacque Gianni, egli divenne re al suo
posto. All’interno del regno del prete Gianni, inoltre,
a parte questa incredibile fonte della giovinezza, vi
erano innumerevoli meraviglie, fra cui anche isole dove
gli abitanti erano nutriti direttamente da Dio
attraverso la manna due volte la settimana.
In generale, poi, nel regno (o piuttosto
nell'enorme impero) del Presbyter, ognuno aveva tutto
ciò che gli necessitava per vivere, ogni cittadino era
libero e ricco e, per non creare enormi differenze
sociali, Gianni si faceva chiamare "Prete" piuttosto che
"re", pur essendo il più grande sovrano di tutti i
tempi, che aveva tra i suoi cittadini anche personaggi
per noi fantastici quali sagittari e sirene e razze tra
le più disparate, tra le quali i Gog e i Magog, mitiche
popolazioni carnivore ormai appartenenti solo alla
leggenda dell’apocalisse.
Nella lettera “Presto Janne”, come verrà
a lungo chiamato nel medioevo, narra anche che chiunque
giungesse al suo palazzo morente o affamato ne usciva
sazio e pieno di salute, poiché possedeva una
miracolosa, capace di guarire da qualsiasi malattia non
solo i cristiani, ma chiunque fosse intenzionato a
convertirsi a questa religione (la pietra era simile a
un catino, grande abbastanza da contenervi un uomo, con
all’interno solo poche dita di acqua, ma se l’uomo che
vi entrava era in cuor suo un vero cristiano, veniva
ricoperto di acqua fino al collo, e dopo pochi istanti
l’acqua riscendeva di livello allo stesso misterioso
modo in cui era salita, lasciando l’uomo privo di ogni
sofferenza) e che aveva pietre che trasformavano l’acqua
in vino o in latte. Sebbene Prete Gianni fosse
cristiano, all’interno del suo regno erano pochi a
seguirne le orme, ma lui lasciava libero il suo popolo
di seguire la religione prescelta, senza mai imporsi. In
tutto il suo regno c’era pace, ogni cittadino amava
l’altro, senza mai cadere nell’adulterio, non vi erano
ladri e non esisteva l’invidia, la menzogna era bandita,
e se qualcuno mentiva, moriva all’istante.
Le guerre erano esclusivamente intraprese
a difesa del regno ma, anche se solo a scopo difensivo,
l’esercito del Prete Gianni, che egli offriva a
salvaguardia della cristianità, dopo aver, a suo dire,
già annientato i mussulmani in numerose guerre, era
straordinario, composto da migliaia di guerrieri di ogni
razza e persino da splendide amazzoni.
É ovvio che un tale cumulo di “mirabilia”
lasciassero almeno perplessi i membri sia della corte
bizantina prima, che della corte papale poi.
Comunque, è solo nel 1177 (cioè quando ha
termine la guerra tra Impero e Papato) che Alessandro
III e l'imperatore Federico Barbarossa, a cui la
missiva era stata trasmessa, tentarono di rispondere
alla lettera del “Prete Gianni” inviando verso Oriente
una delegazione guidata dal medico di corte papale, ma
nulla più si seppe né della missione diplomatica,
“dispersa nel deserto dell’Iraq”. Così il Presbyter
Johannes scompare dalla storia ed entra nella leggenda.
Da questo momento in poi, infatti, è
tutto un fiorire di ipotesi di localizzazione di questa
specie di “eldorado” descritto nella lettera.
Verso il 1184, il vescovo Otto Freising
scrisse di aver incontrato in Siria un monaco che gli
aveva parlato di un sovrano cristiano, re e sacerdote,
che regnava su un grande impero posto oltre l'Armenia e
la Persia, ma prima dell'India e della Cina. Nel 1221 la
credenza nell'esistenza del misterioso “presbitero”
acquistò credito quando il vescovo di Acri comunicò al
Pontefice che "...un indiano chiamato David... veniva
considerato un pronipote di Prete Gianni" e, circa
dieci anni dopo, Fra' Giovanni dal Pian del Carpine,
ambasciatore del Papa in Estremo Oriente, dove aveva
assistito all'incoronazione del terzo Gran Khan Kuyuk,
nella sua Historia Mongolorum, narrò di come il
successore di Gengis Khan, Ogüdai, era stato sconfitto
dai sudditi di un re cristiano, il Prete Gianni,
conosciuti come «Quegli Indiani chiamati Saraceni
neri, o anche Etiopi».
Persino Marco Polo, nel Milione,
fornì una versione molto elaborata della storia,
descrivendo il Prete Gianni come un grande imperatore,
signore di un immenso dominio esteso dalle giungle
indiane ai ghiacci dell'estremo nord. Secondo il grande
viaggiatore veneziano, i Tartari erano suoi sudditi, gli
pagavano tasse ed erano l'avanguardia delle sue truppe,
fino al giorno in cui elessero Gengis Khan come loro
capo e questi, come riconoscimento della propria
indipendenza, chiese in moglie una figlia del Prete
Gianni. Avutone un rifiuto, gli mosse una guerra che,
dopo una serie di eventi sensazionali, si chiuse con la
vittoria tartara. La notizia sembra confermata nel 1232
da Giovanni da Montecorno che riferisce come un
discendente di Prete Gianni, di nome Giorgio, in quell'anno
ancora regnasse e fosse un vassallo dei mongoli, per
quanto imparentato con un khan.
Poi, per più di cento anni, nessuno più
parlò del presbyter e furono probabilmente le grandi
scoperte geografiche, con un picco successivo al viaggio
di Magellano, a riportare in auge l'argomento nei secoli
che seguirono, spostando la “localizzazione” possibile
del suo regno fantastico dall'Asia all'Africa. Nel 1355
ebbe enorme diffusione il manoscritto di un viaggiatore
inglese, tale John Mandeville, che, dopo aver visitato
il paese del Prete Gianni, avrebbe affidato le sue
memorie ad un medico belga, Jean de Bourgogne, perchè lo
rendesse pubblico. Nel 1371, in punto di morte, il
medico confessò di essersi inventato tutto, ma
l'argomento era tornato a tal punto agli onori delle
cronache da divenire quasi un “topos” letterario.
Anche
i geografi e cartografi misero molto del loro per la
diffusione del mito. Sul Mappamondo
tardomedievale di Martin Behaim leggiamo:
"Il paese verso mezzanotte è dominato
dall'Imperatore Mangu, il khan della Tartaria, che è un
uomo facoltoso del grande Imperatore, il Padre Gianni di
India. La moglie del grande Re è anch’ella cristiana",
mentre nel Sinus magnus di Tolomeo troviamo: "Questo
mare, terra e città tutte appartengono al grande
Imperatore Prete Gianni di India" e, sotto l'isola
di Seilan (Ceilon): "Tutta questa terra, mare ed
isole, paesi e re sono stati dati dai Tre Re Magi
all'Imperatore Prete Gianni, e nel passato erano tutti
cristiani, ma attualmente non più di settantadue
cristiani sono conosciuti essere fra essi.". Infine,
secondo Guy Annequin, Gianni equivarrebbe alla
latinizzazione del titolo regale etiopico Zan e potrebbe
essere confermato dalla circostanza che l'Etiopia era
cristiana già a partire dal IV secolo.
Insomma, per la cultura medievale il
Prete Gianni ed il suo paese erano qualcosa di reale e
ben presente all'immaginario collettivo.
Ma cosa si può dire oggi di questa figura
così misteriosa?
Dal punto di vista storico, alcuni
elementi potrebbero dar conto di una certa quale “realtà
di fondo” alla base della leggenda. La Chiesa Cristiana
Nestoriana aveva (e ha ancora) i suoi vertici in aree
che attualmente sono parte di Iraq, Iran e Afghanistan
ed il grosso dei fedeli è ancora concentrato oggi in
India, ma nel corso del VI e VII Secolo espletò
un'intensa attività missionaria in Asia
Centro-Orientale, in particolare tra le popolazioni
turco-mongole. Anche alcuni sovrani Uiguri si
convertirono a questa fede e una popolazione
tartaro-uigura, l'etnia dei Kara Khitay (vocabolo turco
che vuol dire cinesi neri, da cui forse i saraceni neri
detti etiopi di Fra' Giovanni dal Pian del Carpine),
formò un immenso impero, esteso, al momento della
massima espansione, dalla Cina settentrionale e dall'Altai
al Lago d'Aral, che durò tra X, XI e XII secolo. Il suo
più grande condottiero fu il khan Yeliutashi che
sconfisse Arabi, Tartari, Turchi, Cinesi e Russi, e
regnò dal 1126 al 1144.
Yeliutashi era cristiano nestoriano, come
molti suoi sudditi e l'ultimo della sua dinastia fu
Toghrul, di cui Gengis era nominalmente vassallo e che
tale rimase finchè non lo sconfisse, come riportato
nella Storia del conquistatore del mondo di
Djowéïnì ou Gouwaïnì, un autore islamico che nel 1257 si
recò alla corte dei re Mongoli. Forse Yeliutashi era il
vero nome del Prete Gianni? O forse era Gur-Khan, il
condottiero le cui truppe nel 1141, prima che le notizie
sul Prete Gianni si diffondessero in Europa, sconfissero
i mussulmani nella battaglia di Samarcanda? O forse era
il nome di uno dei Negus di Etiopia che effettivamente
era un impero cristiano in Africa?
Ma riflettiamo un istante su questa
lettera del Prete Gianni e sulle condizioni storiche in
cui arriva in Europa.
Nel 1165 il mondo occidentale era
inevitabilmente un mondo piuttosto chiuso: le grandi
rotte commerciali con l'Oriente si erano in buona misura
interrotte con la caduta dell'Impero Romano e solo
alcuni avventurieri si spingevano al di là dei confini
della cristianità, rappresentata essenzialmente
dall'Europa e dall'“Autremér”. Questo dava enorme spazio
alle supposizioni ed invenzioni sull'“altrove”, che
nascevano da una pressoché totale mancanza di conoscenza
e comunicazione con territori lontani.
Se rileggiamo la lettera del Prete
Gianni, in realtà, non troviamo nulla di più che una
specie di raccolta di elementi dell'immaginario colto
medievale legati proprio all'“altrove”. Proviamo ad
elencare le risultanze in questo senso all'interno del
testo.
Abbiamo:
- animali
immaginari (grifoni, alerioni, liocorni) o esotici
(elefanti, dromedari, salamandre) già conosciuti
dall'antichità;
- popolazioni
fantastiche che discendono da tradizioni mitologiche
latine (giganti, amazzoni, sagittari), bibliche (la
Manna, Gog e Magog o il paese di Pisonia che corrisponde
al Pison di Genesi,II) o da commistioni di vari
elementi (popoli con più occhi che sono,
fondamentalmente, la contrapposizione speculare dei
ciclopi);
- nozioni
geografiche ben presenti all'occidente dai resoconti dei
viaggiatori tardo-romani e dei commercianti sulla Via
della Seta (deserti, piantagioni di pepe, esistenza
dell'isola di Ceylon, vista già nell'antichità come
luogo edenico, esistenza del fiume Indo, localizzazione
di un regno giudaico nell'Asia centrale, che corrisponde
al regno dei Khazari);
-
reminiscenze agiografiche derivanti
dall'autorialità basso-imperiale (soprattutto con l'idea
di un San Tommaso evangelizzatore d'Oriente che troviamo
già in Eusebio da Cesarea) o storico-mitologiche (con le
menzioni delle gesta leggendarie di Alessandro Magno);
- concezioni
magico-alchemiche tradizionali, riflesso di una
mentalità magico-simbolica che, come provato da Le Goff,
è tipica del periodo (con la ricerca di un Eden
terrestre, con la fonte dell'eterna giovinezza, con le
pietre della guarigione, sostanzialmente pietre
filosofali, derivanti dallo stesso nucleo archetipico
che produce il mito graaliano, e, non a caso, le terre
del Prete Gianni diventeranno l'ultimo ricettacolo
proprio del Graal nel Parzival di Von Eschembach);
- sentimenti
propri dell'occidente cristiano, in particolare per
quanto riguarda un sottile ma diffuso antisemitismo (in
tutta la lettera il rapporto con gli Ebrei è improntato
a una notevole diffidenza) ed un ovvio e palese
anti-islamismo.
Insomma, nel testo non troviamo
assolutamente nulla che possa provare una sua
provenienza extra-europea: tutto ciò che vi è inserito
poteva essere facilmente frutto di una redazione da
parte di persone di alto livello culturale (sulla base
delle conoscenze coeve) presenti nell'area europea.
Al contrario, anzi, troviamo qualcosa che
molto difficilmente avrebbe potuto provenire dall'Asia
centrale, centro-orientale o dall'Africa orientale: un
attacco palese e virulento nei confronti di Ospedalieri
(capoverso 5) e Templari (capoverso 55).
La domanda che ci si deve porre è: perché
un re degli Uiguri o un khan o un imperatore etiope, in
ogni caso un sovrano cristiano di terre con scarsissime
o nulle comunicazioni con l'Europa, avrebbe dovuto
nutrire sentimenti così negativi, nel 1165, verso gli
ordini monastici considerati campioni della cristianità,
sempre ammesso che avesse avuto modo di conoscerli? Non
ha senso.
L'unica spiegazione è che il redattore (o
i redattori) della lettera, che sembra identificarsi con
un falso, fossero interni alle dispute europee.
A questo punto i “sospetti falsari” non
sono, in realtà, molti. Certamente, sia per il tenore
della lettera che per il suo chiaro indirizzamento
politico, la provenienza, se europea, doveva essere
attribuibile ad una cancelleria reale. Quale? Le
possibilità si restringono a quattro corti: quella
papale, quella francese, quella imperiale o quella
bizantina.
Le prime due sono subito da escludere.
Sia il Papa (che, tra l'altro, è destinatario ultimo
della lettera) che il re di Francia non avrebbero avuto
nessun interesse a gettare discredito sui
monaci-guerrieri: papato e Francia erano, anzi, i grandi
protettori degli Ordini (e se, per le vicende ben note
legate a Filippo il Bello, in una fase, comunque
successiva, entrambi diventeranno nemici dei Templari,
lo stesso non si può assolutamente dire per gli
Ospedalieri).
I rapporti imperiali con gli ordini
monastici erano, al contrario, assai meno idilliaci: nel
contrasto tra impero e papato Templari e Ospedalieri,
pur rimanendo abbastanza defilati, avevano sempre
parteggiato, come ovvio, per il secondo, non
riconoscendo mai alcuna autorità imperiale e forzando
addirittura l'imperatore alla creazione di un nuovo
Ordine, a lui fedele: quello dei Teutonici. Inoltre,
l'idea di una unione in una sola persona di potere
temporale e spirituale rientrava pienamente negli
assunti sostenuti da Federico Barbarossa e l'illusione
di un possibile apporto di un potentissimo lontano
alleato avrebbe potuto dare nuovo impeto alla lotta
crociata, dando occasione all'Impero di inserirsi
pienamente in una vicenda in cui il suo ruolo non era
stato, fino a quel momento, affatto centrale.
Manuele I Comneno, da parte sua, dopo le
battaglie per la riconquista di Antiochia, a cui gli
Ordini avevano partecipato attivamente a difesa
dell'indipendenza del regno di Raimondo e, soprattutto,
dopo il passaggio di quest'ultimo nelle mani di Rinaldo
di Chatillon, non era sicuramente a favore di
Ospedalieri e Templari, ma, nel 1165, i suoi rapporti
con con il Regno Latino di Gerusalemme di Baldovino III
(difeso, anche se con atteggiamento piuttosto ambiguo,
anche dai monaci-guerrieri) erano ottimi e, soprattutto,
non aveva alcun interesse, dopo il trattato con il
sultano Norandino di Aleppo, che prevedeva un'alleanza
per una pur strana crociata bizantino-aleppina contro i
selgiucidi siriani, a richiamare l'occidente verso il
medio-oriente, favorendo, sebbene indirettamente, anche
i suoi mortali nemici veneziani.
Ecco, dunque, che tutti i sospetti di un
falso piuttosto palese sembrano, anche solo utilizzando
il classico metodo del “cui prodest”, appuntarsi su
Federico Barbarossa: c'era l'occasione (i Teutonici
ebbero frequenti rapporti con i nestoriani), c'era il
movente (riaffermare le proprie teorie nella lotta con
il papato e dare nuova linfa allo spirito crociato),
c'era l'arma (la cancelleria più colta e preparata
d'Europa): oltre, senza ulteriori, probabilmente
impossibili, prove storiche, non possiamo andare, ma con
un buon grado di attendibilità possiamo ritenere che il
mito del Prete Gianni, che per secoli illuse l'Europa,
nacque semplicemente in seno alle dispute che
insanguinarono l'Europa del XII secolo e non in qualche
remoto impero cristiano che, quasi certamente, non
esistette mai.
Riferimenti bibliografici:
AA.VV., Catholic
Encyclopedia, (http://www.catholicity.com/encyclopedia/)
D.Balestracci, Terre ignote
strana gente. Storie di viaggiatori medievali, Laterza,
Bari 2008
J.Evola, Il Mistero del
Graal, Mediterranee, Roma, 1972
A.Graf, Il mito del
paradiso terrestre, Basaia, Roma 1982
J.Pirenne, La leggenda del
prete Gianni, Marietti, Milano, 2000
R.Silverberg, La leggenda
del prete Gianni, il mitico re d'oriente che i popoli
d'Europa sognarono per secoli, PiEmme, Casale, 1998 |