N. 68 - Agosto 2013
(XCIX)
SANDRO PERTINI
IL PRESIDENTE DI TUTTI – PARTE II
di Christian Vannozzi
Liberata
Roma
combatté
prima
a
Firenze
e
poi
a
Genova,
dove
fu
richiamato
a
Roma
da
Nenni.
Purtroppo
chi
doveva
aiutarlo
a
tornare
a
Roma,
uscendo
dal
territorio
occupato
di
Genova,
il
monarchico
Sogno,
non
si
dimostrò
molto
affidabile,
e
vista
la
difficoltà
di
reperire
battelli
per
Roma,
pensò
solo
a se
stesso
e
trovato
un
motoscafo
si
imbarcò
immediatamente
senza
avvisare
Pertini
il
quale
rimase
in
territorio
occupato
con
il
rischio
di
essere
catturato
e
fucilato
in
virtù
della
condanna
a
morte
che
gravava
sulla
sua
testa
dal
1943.
Fortunatamente
i
compagni
socialisti
lo
aiutarono
ad
avere
un
lasciapassare
per
Prato,
grazie
anche
all’aiuto
di
un
industriale
italiano
che
commerciava
con
le
truppe
di
occupazione
tedesche.
Da
Prato
raggiunse
poi
Firenze
a
piedi.
A
Firenze
si
adoperò
nella
lotta
contro
gli
occupanti
nazisti,
ma
fu
nuovamente
richiamato
a
Roma,
dove
si
accorse
che
non
era
di
nessuna
utilità
al
partito
nella
capitale
italiana.
Per
questa
ragione
decise
di
tornare
nuovamente
nel
nord,
dove
dirigeva
le
forze
militari
socialiste
per
la
liberazione
nazionale.
Con un aereo raggiunse Lione, dove entrò in contatto con i partigiani
socialisti
francesi
per
coordinare
un’azione
comune
contro
gli
occupanti
tedeschi.
Grazie
all’aiuto
dei
compagni
francesi
rientrò
in
Italia
passando
per
la
Valle
d’Aosta
e
Ivrea.
Nel CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia), organizzò
lo
sciopero
nazionale
del
25
aprile
1945
a
Milano,
che
avrebbe
dovuto
portare
alla
liberazione
della
città.
Fu
lo
stesso
Sandro
Pertini
ad
annunciarlo
alla
radio
con
un
proclama:
«
Cittadini,
lavoratori!
Sciopero
generale
contro
l'occupazione
tedesca,
contro
la
guerra
fascista,
per
la
salvezza
delle
nostre
terre,
delle
nostre
case,
delle
nostre
officine.
Come
a
Genova
e a
Torino,
ponete
i
tedeschi
di
fronte
al
dilemma:
arrendersi
o
perire
».
Fu letto un proclama che annunciava la mobilitazione nazionale e la
cacciata
dei
nazisti
e
dei
fascisti
dalla
città,
e di
conseguenza
la
condanna
a
morte
dei
vari
gerarchi,
tra
cui
lo
stesso
Benito
Mussolini.
Il
decreto,
trasmesso
via
radio,
recitava:
«
I membri del governo fascista e i gerarchi del fascismo colpevoli
di
aver
soppresso
le
garanzie
costituzionali
e di
aver
distrutto
le
libertà
popolari,
creato
il
regime
fascista,
compromesso
e
tradito
le
sorti
del
Paese
e di
averlo
condotto
all'attuale
catastrofe,
sono
puniti
con
la
pena
di
morte
e
nei
casi
meno
gravi
con
l'ergastolo
».
Ci fu un tentativo di accordo tra Mussolini e i fascisti da un lato
e il
CLNAI
dall’altro,
che
però
non
fu
portato
a
termine
per
interferenza
dei
tedeschi
e
degli
alleati.
Inoltre
il
leader
socialista
Pertini
e i
comunisti
erano
contrari
a
una
resa
di
Mussolini
senza
una
preventiva
consegna
al
tribunale
del
popolo.
Mussolini,
data
l’impossibilità
di
una
resa
dignitosa
e il
tradimento
degli
alleati
nazisti
che
trattavano
con
gli
americani
a
sua
insaputa,
decise
di
non
arrendersi
e si
rifugiò
con
i
suoi
fedelissimi
sul
lago
di
Como.
Fu
però
arrestato
a
Dongo.
Il 27 aprile, sempre alla radio, Pertini annunciò la vittoria contro
gli
invasori
nazifascisti
e la
necessità
di
condannare
a
morte
il
duce
del
fascismo:
«
Mussolini,
mentre
giallo
di
livore
e di
paura
tentava
di
varcare
la
frontiera
svizzera,
è
stato
arrestato.
Egli
dovrà
essere
consegnato
a un
tribunale
del
popolo,
perché
lo
giudichi
per
direttissima.
E
per
tutte
le
vittime
del
fascismo
e
per
il
popolo
italiano
dal
fascismo
gettato
in
tanta
rovina
egli
dovrà
essere
e
sarà
giustiziato.
Questo
noi
vogliamo,
nonostante
che
pensiamo
che
per
quest'uomo
il
plotone
di
esecuzione
sia
troppo
onore.
Egli
meriterebbe
di
essere
ucciso
come
un
cane
tignoso
».
L’eroica liberazione di Milano convinse Pertini che gli italiani,
all’occorrenza,
potevano
mostrare
tutto
il
loro
valore
e
determinazione,
cosa
che
diversi
intellettuali
ritenevano
impossibile,
pensando
che
oramai
il
popolo
italiano
fosse
decaduto
in
carisma
e
spirito.
La
stessa
cosa
si
credeva
anche
in
epoca
risorgimentale,
dove
la
popolazione
della
Penisola
mostrò
però
eroismo
a
Torino,
Firenze,
Milano,
ma
anche
a
Roma,
Napoli
e
Palermo.
L’Italia,
come
ben
specificò
Sandro
Pertini,
ritrova
il
suo
vigore
nei
momenti
più
bui.
Gli
scontri
con
i
nazi-fascisti
nel
capoluogo
milanese
si
protrassero
fino
al
30
aprile.
Pertini
ordinò
al
comandante
in
capo
della
brigata
Matteotti
Corrado
Bonfantini
la
fucilazione
del
maresciallo
Rodolfo
Graziani,
che
però
fu
graziato
dal
comandante
socialista
e
consegnato
agli
alleati
per
essere
giudicato.
Sulle
colonne
dell'Avanti
Pertini
scrisse
queste
parole:
«
Mussolini
si
comportò
come
un
vigliacco,
senza
un
gesto,
senza
una
parola
di
fierezza.
Presentendo
l'insurrezione
si
era
rivolto
al
cardinale
arcivescovo
di
Milano
chiedendo
di
potersi
ritirare
in
Valtellina
con
tremila
dei
suoi.
Ai
partigiani
che
lo
arrestarono
offrì
un
impero,
che
non
aveva.
Ancora
all'ultimo
momento
piativa
di
aver
salva
la
vita
per
parlare
alla
radio
e
denunciare
Hitler
che,
a
suo
parere,
lo
aveva
tradito
nove
volte
».
Per
i
servizi
prestati
in
seno
alla
resistenza
Sandro
ricevette
la
medaglia
d'oro
al
valor
militare.
Come
comandante
militare
Pertini
fu a
volte
spietato,
come
però
furono
spietati
i
nemici,
che
fucilarono
suo
fratello
Eugenio
senza
pensarci
due
volte.
A
Milano
ordinò
dunque
la
fucilazione
di
esponenti
del
mondo
dello
spettacolo
che
avevano
preso
parte
alla
Repubblica
Sociale,
probabilmente
non
perché
provasse
gusto
nel
fucilare
qualcuno
ma
per
la
rabbia
cresciuta
nel
suo
cuore
dopo
l'uccisione
del
fratello
e di
altri
compagni
amici
che
non
avrebbe
più
rivisto.
L'8
giugno
del
1945
sposò
la
giornalista
e
staffetta
partigiana
Carla
Valtolina,
conosciuta
qualche
mese
prima.
In
aprile
divenne
segretario
del
PSIUP
nelle
cui
liste
fu
eletto
all'Assemblea
Costituente
e si
oppose
all'amnistia
richiesta
dal
comunista
Togliatti
verso
coloro
che
si
erano
macchiati
di
reati
politici
durante
il
fascismo.
Pertini
voleva
che
lo
Stato
fosse
di
nuova
generazione,
epurato
totalmente
dal
fascismo
e da
tutti
coloro
che
con
esso
avevano
collaborato.
Chiedeva
a
grande
voce
il
reintegro
negli
uffici
pubblici
e
privati
di
tutti
coloro
che
ne
erano
stati
cacciati
per
la
mancata
adesione
al
fascismo:
«
Ricordiamo
che
l'epurazione
è
mancata:
si
disse
che
si
doveva
colpire
in
alto
e
non
in
basso,
ma
praticamente
non
si è
colpito
né
in
alto
né
in
basso.
Vediamo
ora
lo
spettacolo
di
questa
amnistia
che
raggiunge
lo
scopo
contrario
a
quello
per
cui
era
stata
emanata:
pensiamo,
quindi,
che
verrà
un
giorno
in
cui
dovremo
vergognarci
di
aver
combattuto
contro
il
fascismo
e
costituirà
colpa
essere
stati
in
carcere
e al
confino
per
questo
».
L'Italia
doveva
avviarsi
verso
radicali
riforme
sociali,
che
cancellassero
il
regime
e
sostenessero
il
Paese,
specialmente
le
classi
più
povere
rappresentate
dalla
classe
operaia
e da
coloro
che
erano
rimasti
orfani
o
vedove
e
impossibilitati
a
provvedere
a sé
stessi.
Quelle
classi
che
maggiormente
avevano
sofferto
dovevano
essere
tutelate.
Nel
gennaio
1947
accadde
un
fatto
inaspettato
che
minò
l’esistenza
stessa
del
partito
di
Pertini.
Sandro
auspicava
da
sempre
l’unità
delle
forze
socialiste
ma
purtroppo
il
socialismo,
specialmente
in
Italia,
non
avrebbe
potuto
avere
un’anima
comune,
perché
le
differenze
tra
le
varie
fazioni
del
vecchio
partito
di
Costa
e
Turati
erano
troppo
profonde
per
poter
convogliare
in
un
unico
agglomerato.
Il
XXV
Congresso
del
Partito
Socialista
di
Unità
Proletaria,
che
come
specificato
nel
nome
auspicava
l’unità
socialista,
come
anche
il
Partito
Socialista
Unitario
di
Matteotti,
sancì
la
scissione
con
l’ala
riformista
e
democratica
guidata
da
Giuseppe
Saragat.
La
scissione,
che
passò
alla
storia
come
“scissione
di
Palazzo
Barberini”,
portò
alla
creazione
del
Partito
Socialista
dei
Lavoratori
Italiani,
un
partito
democratico
socialista
che
si
allontanava
dall’anima
massimalista
e di
affinità
al
comunismo
che
era
alla
base
del
PSIUP.
Pertini
era
tuttavia
contrario
all’unità
d’azione
e
alla
presentazione
di
liste
comuni
con
i
comunisti,
questo
perché
voleva
che
il
Partito
Socialista,
che
riprese
questo
nome
dopo
la
scissione
di
Saragat
e i
suoi,
avesse
una
sua
autonomia
e
non
dipendesse
troppo
nettamente
da
Mosca.
La
linea
del
partito
maggioritaria,
guidata
da
Nenni,
optò
però
per
l’alleanza
stretta
con
Mosca
e i
comunisti,
che
avrebbe
col
tempo
reso
schiavo
il
partito
degli
alleati
sovietici.
Neanche
il
Patto
Atlantico
e la
Democrazia
Cristiana
erano
però
considerati
da
Pertini
dei
leali
interlocutori.
Contro
il
Patto
Atlantico
si
espresse
infatti
Sandro
nel
suo
discorso
al
senato
quale
capogruppo
socialista:
«
Oggi noi abbiamo sentito gridare ‘Viva l'Italia"
quando
voi
avete
posto
il
problema
dell'indipendenza
della
Patria.
Ma
non
so
quanti
di
coloro
che
oggi
hanno
alzato
questo
grido,
sarebbero
pronti
domani
veramente
a
impugnare
le
armi
per
difendere
la
Patria.
Molti
di
costoro
non
le
hanno
sapute
impugnare
contro
i
nazisti.
Le
hanno
impugnate
invece
contadini
e
operai,
i
quali
si
sono
fatti
ammazzare
per
la
indipendenza
della
Patria
».
Per Pertini l’Alleanza Atlantica serviva solo a dividere l’Europa e
a
contrastare
la
classe
operaia,
che
in
America
veniva
ostacolata
da
sempre.
Inoltre
l’Alleanza
era
senza
mezzi
termini
qualcosa
che
veniva
creata
per
difendersi
dall’Unione
Sovietica
e
dal
socialismo.
Alla
morte
di
Stalin,
leader
dell’URSS,
Sandro
al
senato
si
espresse
con
queste
parole:
« Il compagno Stalin ha terminato bene la sua giornata, anche se
troppo
presto
per
noi
e
per
le
sorti
del
mondo.
L'ultima
sua
parola
è
stata
di
pace.
Si
resta
stupiti
per
la
grandezza
di
questa
figura
che
la
morte
pone
nella
sua
giusta
luce.
Uomini
di
ogni
credo,
amici
e
avversari,
debbono
oggi
riconoscere
l'immensa
statura
di
Giuseppe
Stalin.
Egli
è un
gigante
della
storia
e la
sua
memoria
non
conoscerà
tramonto
».
Come socialista Pertini fu infatti sempre fautore della pace, e
contrario
alla
guerra,
in
ogni
sua
forma,
sia
diretta
che
indiretta.
La
carriera
politica
di
Pertini
all'interno
del
Parlamento
Italiano,
sia
alla
Camera
che
al
Senato
fu
sempre
accompagnato
da
un
acceso
vigore
e da
una
volontà
ferrea
verso
il
rispetto
della
dignità
dei
lavoratori,
delle
vedove,
degli
orfani,
e
della
costituzione
che
lui
stesso
aveva
partecipato
a
redigere.
L'importanza del politico Pertini fu di essere all'avanguardia in
un’epoca
di
confusione
e di
assoggettamento
dell'Italia
al
potere
statunitense
e a
quello
del
papato.
Nel
1963,
eletto
come
deputato
nella
circoscrizione
di
Genova
e
Imperia,
Pertini
viene
anche
eletto
vice
Presidente
della
Camera,
iniziando
così
a
ricoprire
un
ruolo
parlamentare
di
prim'ordine
nonostante
ancora
esponente
di
una
corrente
contraria
a
quella
del
cattolicesimo
dominante
della
Democrazia
Cristiana.
Come antifascista si oppose fortemente a un comizio del Movimento
Sociale
Italiano,
di
ispirazione
mussoliniana
che
doveva
tenersi
a
Genova,
città
simbolo
del
socialismo.
Per
Pertini
il
Movimento
Sociale
non
era
che
una
forma
un
po’
più
addolcita
di
fascismo,
che
però
ripercorreva
le
stesse
strade
dei
mussoliniani,
favorendo
esercito,
polizia,
e
auspicando
la
grandezza
della
nazione.
Durante
una
visita
a
Milano
in
ricordo
della
strage
di
Piazza
Fontana,
Pertini,
che
era
all'epoca
Presidente
della
Camera
dei
Deputati
si
rifiutò
di
stringere
la
mano
al
questore
Marcello
Guida,
direttore
del
carcere
di
Ventotene
durante
il
regime
fascista.
Questo
atto,
che
rompeva
ogni
possibile
schema
diplomatico
e di
protocollo,
servì
a
far
capire,
qualora
ce
ne
fosse
stato
ancora
bisogno,
l'antifascismo
attivo
di
Sandro
Pertini,
che
non
dimenticava
la
dittatura
tremenda
che
l'Italia
aveva
subito,
in
ricordo
della
memoria
storica
e
della
resistenza
che
aveva
salvato
la
Penisola
dall'orlo
del
baratro.
Fu
contrario
all'alleanza
tra
il
PSI
e i
partiti
di
Centro,
perché
auspicava
l'unità
di
azione
con
la
sinistra
comunista,
che
avrebbe
voluto
vedere
affrancata
da
Mosca,
molto
più
legata
alla
politica
internazionale
che
all'effettivo
benessere
della
classe
lavoratrice.
Come
già
spiegato
precedentemente
auspicava
sì
l'unione
della
sinistra
italiana
ma
anche
l'indipendenza
di
questa
sinistra
dagli
intrighi
internazionali
che
si
muovevano
lungo
l'asse
Washington-Mosca.
Inoltre
desiderava
per
i
socialisti
un
ruolo
di
primo
piano
verso
la
classe
lavoratrice.
Il
partito
doveva
infatti
pensare
al
benessere
dei
lavoratori
e
non
interrogarsi
sui
rapporti
diplomatici
Nato-URSS.
Diffidava
della
Chiesa,
vista
la
sua
ingerenza
e
complicità
sia
con
il
regime
fascista
ma
anche
come
intermediaria
per
la
fuga
di
Mussolini
all'estero.
Una
Chiesa
che
tollerava
il
fascismo
e
aveva
fatto
di
tutto,
con
il
cardinale
Schuster,
per
salvare
Benito
Mussolini
non
poteva
essere
sua
amica,
ne
tantomeno
poteva
essere
un'alleata
politica,
visto
che
i
comunisti
per
lui
erano
compagni
e
non
nemici
da
abbattere
come
invece
pensavano
tra
le
file
della
Democrazia
Cristiana.
Lombardi
e
altri
dirigenti
socialisti
non
riuscivano
a
capirlo,
e
per
questa
ragione
non
ebbe
mai
molti
alleati
nelle
alte
sfere
del
partito.
Amava
il
socialismo
italiano,
ma
non
i
suoi
dirigenti,
con
i
quali
entrava
spesso
in
disaccordo
ma
con
cui
non
rompeva
in
nome
della
classe
lavoratrice.
Sandro
metteva
infatti
sempre
il
benessere
personale
dietro
al
benessere
del
mondo
operaio,
che
diveniva
per
lui
la
vera
fonte
di
ispirazione.
Dal
1947
al
1968
fu
direttore
del
quotidiano
genovese
Il
Lavoro,
che
presentava
tutte
le
problematiche
relative
al
mondo
dei
lavoratori
e
proponeva
soluzioni
concrete
per
rendere
meno
dura
la
loro
vita.
Come
direttore
di
questo
giornale
mostrò
tutta
la
sua
abilità
giornalistica
e
tutta
la
sua
passione
come
scrittore
politico.
Dal
1946
al
1947
e
poi
dal
1949
al
1951,
fu
anche
direttore
de
L'Avanti,
lo
storico
giornale
del
Partito
Socialista,
organo
ufficiale
di
stampa
del
partito
stesso.
Nella
V e
nella
VI
legislatura
fu
Presidente
della
Camera
dei
Deputati,
fu
il
primo
socialista
a
esserlo,
e in
quel
ruolo
governò
la
Camera
anche
in
maniera
energica,
opponendosi
ai
dictat
DC
che
volevano
una
sorta
di
voto
palese
durante
lo
stallo
per
l'elezione
del
Presidente
della
Repubblica
che
porteranno
alla
presidenza
Leone.
Pertini
come
garante
della
libertà
e
della
segretezza
del
voto
e
come
Presidente
dell'Assemblea
Plenaria,
si
oppose
alla
DC,
prendendo
i
plausi
di
tutta
l'opinione
pubblica
italiana
che
lo
vedeva
ormai
come
un
uomo
giusto
e di
sani
principi,
che
non
chinava
la
testa
davanti
a
nessuno.
Durante
il
sequestro
Moro
del
1878,
Sandro
in
opposizione
con
la
dirigenza
del
PSI,
auspicò
una
linea
dura
e
senza
trattative
contro
i
terroristi
delle
Brigate
Rosse,
con
i
quali
non
voleva
immischiarsi.
Pertini
considerava
le
Brigate
Rosse
nemiche
della
classe
operaia
in
quanto
non
combattevano
per
i
lavoratori
ma
inasprivano
solo
ulteriormente
le
problematiche
del
Paese
mettendo
paura
alla
maggior
parte
dei
cittadini
e
allontanandoli
dalla
sinistra.
L'8
luglio
1978,
al
sedicesimo
scrutinio
Pertini
viene
eletto
Presidente
della
Repubblica,
con
una
maggioranza
di
voti
che
non
venne
più
eguagliata
dai
suoi
successori,
832
su
995.
La
scelta
su
Pertini,
dopo
15
votazioni
nulle,
trovò
concordi
democristiani,
socialisti
e
comunisti,
che
fino
a
quel
momento
non
erano
riusciti
a
trovare
un
candidato
che
potesse
rispondere
alle
loro
esigenze.
La
presidenza
coronava
tutti
gli
sforzi
dell'uomo
Pertini,
giusto,
coerente
e
carismatico,
capace
di
prendere
in
mano
un
Paese
che
usciva
dal
periodo
buio
del
sequestro
Moro
e
che
era
dilaniato
dal
terrorismo
politico.
Come
presidente
Pertini
riuscì
ad
avvicinare
nuovamente
i
cittadini
italiani
alle
istituzioni
dando
un
volto
responsabile
e
rispettabile
alla
politica.
In
parlamento
ricordò
sia
Aldo
Moro
ucciso
nel
1978
che
Gramsci
con
il
quale
aveva
condiviso
la
prigione
durante
il
fascismo.
Presenziò
al
funerale
del
leader
comunista
Berlinguer,
e
festeggiò
assieme
alla
nazionale
azzurra
la
vittoria
ai
mondiali
di
calcio
di
Spagna
1982.
Inutile
ricordare
che
fu
il
Presidente
più
amato
dagli
italiani,
quello
che
più
di
tutti
si
avvicinò
al
popolo
e
alla
classe
operaia
dandosi
da
fare
attivamente
per
migliorarne
le
condizioni.
Sotto
la
sua
presidenza
nel
1983
vi
fu
il
primo
governo
a
guida
socialista
della
storia
italiana,
il
Governo
Craxi,
che
favorì
lui
stesso
nella
formazione.
Finita
la
presidenza
sedette
in
senato
come
senatore
a
vita,
non
rinnovando
la
tessera
del
partito
socialista
ma
non
disdegnando
la
sua
appartenenza
storica.
Il
24
febbraio
del
1990
l'ex
Presidente
si
spenge
a
Roma,
salutato
dall'intera
nazione
che
si
era
adoperato
a
creare.
Nel
cuore
di
ogni
italiano
Pertini
rappresenta
e
rappresenterà
sempre
il
Presidente
della
Repubblica.