.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

CONTEMPORANEA


N. 67 - Luglio 2013 (XCVIII)

SANDRO PERTINI
IL PRESIDENTE DI TUTTI – PARTE I

di Christian Vannozzi

 

«Non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà». Con questa frase passò alla storia l'ex presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini, nato a San Giovanni di Stella (Liguria) il 25 settembre del 1896 e morto a Roma il 24 febbraio 1990. Senza dubbio il più amato presidente della storia della Repubblica. Oltre a essere un uomo politico Pertini intraprese anche la carriera di giornalista e fu partigiano italiano nella guerra civile contro i fascisti.

Il padre, Alberto Pertini, era proprietario terriero, e questo diede alla famiglia una certa notorietà nella città e la possibilità di far studiare i propri figli. Il giovane Sandro studiò presso il collegio dei salesiani Don Bosco di Varazze, e successivamente al Liceo Ginnasio “Gabriello Chiabrera” di Savona. Li ebbe come professore Adelchi Baratono, socialista riformista e scrittore di Critica Sociale, periodico socialista di Filippo Turati. Il professore insegnò al giovane Sandro gli ideali socialisti non violenti, che Pertini porterà con se fino alla sua morte, rimanendogli sempre fedele, tranne durante il periodo della lotta partigiana, dove decise di impugnare le armi per difendere la libertà e le persone a lui care.


In memoria di questo suo insegnante rimase celebre la frase di Pertini presidente:«Se non vuoi mai smarrire la strada giusta resta sempre a fianco della classe lavoratrice nei giorni di sole e nei giorni di tempesta» (gennaio 1979).

Nel 1915 venne arruolato, a causa dello scoppio della guerra, nel 25º reggimento di artiglieria da campagna e inviato sul fronte dell'Isonzo nell'aprile di due anni dopo. Pur essendo diplomato non volle prestare servizio come ufficiale, poiché essendo socialista, e di conseguenza neutralista, era ufficialmente contrario alla guerra, a cui partecipava solamente perché costretto dal servizio di leva obbligatorio.


Il Partito Socialista era infatti contrario alla belligeranza, ove operai di diverse nazioni si sarebbero dovuti scontrare per l’arricchimento dei ceti borghesi.


Su direttiva del generale Cadorna fu però costretto a prestare servizio come ufficiale, poiché il generale di corpo d’armata decise che tutti i diplomati prestassero servizio come ufficiali in modo da poter guidare la truppa nel migliore dei modi. Prestò quindi servizio come sottotenente di complemento, e si distinse per diverse azioni eroiche che gli valsero la medaglia d’argento al valor militare.

Finita la guerra si iscrisse ufficialmente al Partito Socialista e partecipò al Congresso di Livorno che sancì la scissione tra socialisti e comunisti.
Rimase poi tra le fila di Turati e Matteotti quando si stabilì l’espulsione dei socialisti riformisti dal PSI. Questi formarono il Partito Socialista Unitario, che fu presieduto da Matteotti.

Nel 1923 si laureò in giurisprudenza all’Ateneo di Modena, con la votazione di 105 su 110 e una tesi sull’industria siderurgica in Italia. A Firenze si iscrisse invece all’Istituto Universitario Cesare Alfieri dove nel 1924 conseguì la sua seconda laurea, in scienze sociali, con una tesi sulla cooperazione. Li conobbe Gaetano Salvemini e i fratelli Rosselli, e aderì al movimento antifascista “Italia Libera”.

A causa della sua ostilità verso il regime di Mussolini il suo studio da avvocato di Savona fu devastato diverse volte dalle camicie nere. Lo stesso Pertini fu picchiato per aver indossato una cravatta rossa e per aver posto una corona di fiori sulla tomba di Matteotti.


Il 22 maggio del 1925 fu arrestato per aver distribuito un volantino, stampato a sue spese in cui denunciava apertamente il fascismo, Mussolini, il re e il Senato Regio. Il fascismo era per lui colpevole di aver trasformato l’Italia in una dittatura spietata che non dava voce ne alle opposizioni, ne alla stampa. Il re e il Senato erano colpevoli di aver favorito l’instaurarsi del Regime, che vanificava le guerre risorgimentali e tutti i martiri che avevano combattuto per la libertà. Pertini finiva osannando al socialismo e alla libertà come unico mezzo per creare una società giusta e solidale. Nonostante la condanna Pertini non smise di mostrare pubblicamente il suo dissenso verso quella che considerava una meschina forma di dittatura velata dal volere popolare.

 

Effettivamente, nel fascismo non c'era niente di popolare, ma solo l’intento di guidare in maniera totalitaria una nazione, facendo quasi il lavaggio del cervello ai cittadini, che più che cittadini iniziavano a essere dei sudditi. Il governo fascista lo condannò per questo a otto mesi di carcere, e all'esilio in Francia, una volta terminata la reclusione, per non rischiare una nuova cattura da parte di un Paese che ormai non era più libero e che non somigliava neanche minimamente a quello per il quale aveva combattuto qualche anno prima e per il quale si era distinto in battaglia.

Con le leggi “fascistissime” del 1926, che punivano aspramente tutti coloro che non facevano parte del Partito Fascista, il 12 dicembre del 1926 con l’aiuto di Ferruccio Parri e di Carlo Rosselli, riparò in Francia assieme a Turati. Sandro si stabilì prima a Parigi e poi a Nizza, dove per guadagnarsi da vivere intraprese varie professioni, come quella di muratore e di comparsa cinematografica. Ciò nonostante continuò sempre a interessarsi di politica, e come altri esuli si dedicò alla propaganda antifascista, tenendo vivo l’ideale del Partito Socialista italiano anche fuori dalla Penisola.

A Nizza si era provvisto anche di un collegamento radio per potersi coordinare con i compagni antifascisti che erano rimasti sul territorio italiano. Nel 1929, munito di un passaporto falso, con il nuovo nome di Luigi Roncaglia, rientrò in Italia passando dalla Svizzera, precisamente da Chiasso. Il suo obiettivo era quello di ridare vita al movimento socialista in Italia, coordinando i propri ideali antifascisti anche con le forze democratiche di “Nuova Libertà”, che sul territorio nazionale si mostrarono una vera spina nel fianco per Mussolini e i suoi adepti, che forse mal sapevano competere con la concorrenza di partiti democratici militanti e organizzati.


Il 30 novembre 1929 il Tribunale Speciale fascista per la difesa dello Stato condannò nuovamente Sandro Pertini a dieci anni e nove mesi di reclusione per attività illecita contro la nazione italiana svolta dalla Francia, contraffazione di documenti e ingiuria verso lo Stato. Pertini non si difese dalle accuse, rimase in silenzio non riconoscendo l’autorità di tale tribunale che considerava solamente espressione della dittatura. A sentenza pronunciata gridò in aula «Abbasso il fascismo, viva il socialismo».

Fu detenuto prima nell’isola di Santo Stefano e poi, a causa di problemi di salute, a Turi, dove conobbe Antonio Gramsci, al quale fu sempre legato da un forte rapporto di amicizia. Pertini, infatti, fu sempre ammiratore e sostenitore del leader comunista, per il quale si adoperò attivamente per alleviare la sua prigionia. Purtroppo Gramsci essendo esponente di un partito come quello comunista che era nemico giurato di ogni stato sia fascista che capitalista, e aveva alle spalle i bolscevichi russi, era considerato più di tutti un nemico da parte del governo fascista, che vedeva nei comunisti l’avanguardia dell’Unione Sovietica verso l’Italia.


Pertini purtroppo in carcere si ammalò, tanto che la madre chiese la grazia al tribunale fascista. Egli non accettò lo sconto di pena, ma anzi riprese la madre per questa azione: «Perché mamma, perché? Qui nella mia cella di nascosto, ho pianto lacrime di amarezza e di vergogna - quale smarrimento ti ha sorpresa, perché tu abbia potuto compiere un simile atto di debolezza? E mi sento umiliato al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà. Tu che mi hai sempre compreso, che tanto andavi orgogliosa di me, hai potuto pensare questo? Ma, dunque, ti sei improvvisamente così allontanata da me, da non intendere più l'amore, che io sento per la mia idea?».

Il 20 settembre del 1940 finì il periodo di reclusione, ma considerato elemento pericoloso per il regime fu confinato a Ventotene dove conobbe gli antifascisti Altiero Spinelli, Umberto Terracini, Pietro Secchia ed Ernesto Rossi.


Con la caduta del fascismo nel 1943 riottenne la libertà, adoperandosi per far liberare anche i prigionieri comunisti, che il re considerava nemici del regno. A livello politico fu incaricato della rifondazione del PSI assieme a Pietro Nenni. Nacque così il PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria), sorto dall’unione del vecchio PSI e del MUP (Movimento Unità Proletaria). Fu poi eletto con Carlo Andreoni vicesegretario, per occuparsi dell'organizzazione militare del partito a Roma.


Partecipò anche alla giunta militare del CLN con il comunista Giorgio Amendola, il democristiano Giuseppe Spataro, l’esponente del Partito d’Azione Bauer, il liberale Brosio e il democratico Cevollotto.


In seguito fece parte della giunta militare del CLN con Giorgio Amendola (PCI), Riccardo Bauer (PdA), Giuseppe Spataro (DC), Manlio Brosio (PLI) e Mario Cevolotto (DL). L’8 settembre partecipò in prima persona alla difesa di Roma contro i nazisti, nella battaglia di Porta San Paolo, in cui i patrioti italiani persero contro gli occupanti tedeschi condannando Roma al regime Hitleriano.

La sua attività paramilitare gli costò la cattura da parte delle SS assieme a Giuseppe Saragat e la condanna a morte come nemico della Germania e della Repubblica Sociale di Mussolini. Fortunatamente fu liberato prima dell’esecuzione da un’abile manovra della brigata Matteotti, formata da partigiani socialisti in onore del leader martire dell’Italia Libera dal fascismo. I partigiani fecero prima in modo che Pertini e Saragat fossero trasferiti dal carcere delle SS a quello della Guardia Repubblicana fascista. Alla prigione arrivarono poi documenti falsi di scarcerazione grazie ai quali i partigiani fecero uscire i due leader socialisti dal carcere.

A Roma operò assieme al leader comunista Amendola, che si distinse con le sue brigate in diverse azioni che portarono notevoli successi. Purtroppo le azioni comuniste, condotte a volte troppo repentinamente, e senza un ben escogitato piano, causarono anche l’attentato di via Rasella, che sfociò nell’eccidio delle Fosse Ardeatine, una delle pagine più tristi della nostra storia. In quell’occasione i nazisti, per vendicarsi dell’attentato catturarono e uccisero i prigionieri italiani in numero assai maggiore di quelli che furono trucidati nell’attentato.


Questo fu l’ultimo atto dei nazisti a Roma, che però rimane ormai nelle menti di ogni cittadino della capitale italiana, che purtroppo non potrà mai dimenticare la strage tremenda che i gerarchi militari tedeschi perpetrarono.

Pertini non condivise l’attacco ideato dai comunisti, ma per paura che le forze antifasciste si spaccassero su questo avvenimento si scontrò con il democristiano Spataro che voleva espellere dal Comitato di liberazione Nazionale Amendola e i suoi. Finita la guerra Pertini testimoniò contro il comandante tedesco Kappler, artefice della strage, stabilendo che l’azione fu portata a termine dal CLN anche se non tutti i membri, tra cui lui, ne erano a conoscenza. Pronunciò nel 1977 pubblicamente queste parole: “Le azioni contro i tedeschi erano coperte dal segreto cospirativo. L'azione di via Rasella fu fatta dai Gap comunisti. Naturalmente io non ne ero al corrente. L'ho però totalmente approvata quando ne venni a conoscenza. Il nemico doveva essere colpito dovunque si trovava. Questa era la legge della guerra partigiana. Perciò fui d'accordo, a posteriori, con la decisione che era partita da Giorgio Amendola”.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.