N. 136 - Aprile 2019
(CLXVII)
IL PRESEPE NELL’ARTE
EXCURSUS SULLA PIÙ NOTA TRADIZIONE ARTISTICO-DEVOZIONALE – PARTE IV
di Teresa Nicolangelo
Nel
corso
del
Settecento
prosegue
la
rivoluzione
nella
fattura
delle
figure
presepiali,
che
vedono
l’utilizzo
contemporaneo
di
materiali
diversi,
coesistenti
anche
all’interno
dello
stesso
soggetto.
Nasce
il
pastore
nella
forma
oggi
a
noi
più
familiare:
testa
in
terracotta,
materiale
che
consente
maggiori
espressività
e
velocità
di
esecuzione
rispetto
al
legno,
e
anima,
come
accennato
in
precedenza,
in
ferro
“cotto”,
lasciato,
cioè,
riposare
nella
cenere
allo
scopo
di
aumentarne
la
duttilità,
caratteristica
indispensabile
per
ricreare
ed
enfatizzare
il
movimento
delle
figure,
conferendo
loro
massima
plasticità.
Bottega
di
Lorenzo
Mosca
(?),
Presepe
Reale,
XVIII
secolo.
Caserta,
Reggia,
Appartamenti
Storici,
Sala
Ellittica.
L’introduzione
poi
della
scenografia
(il
cosiddetto
scoglio),
di
ambientazione
mediterranea
e
popolata
di
ruderi
in
conseguenza
del
fascino
esercitato
dalle
scoperte
di
Ercolano
e
Pompei
alla
metà
del
secolo
(rispettivamente
1738
e
1748),
contribuisce,
svincolandolo
dalla
bidimensionalità
e
dal
tradizionale
contesto
di
collocazione,
a
conferire
al
presepe
un’identità
propria
e
una
dimensione
peculiare
entro
la
quale
dar
spazio
ad
altrettanto
peculiari
e
bizzarre
caratteristiche,
dall’ostentazione
di
un
certo
esibizionismo
gastronomico
alla
presenza
di
cosiddetti
“tipi”,
pastori
con
caratteristiche
specifiche,
tuttavia
interpretate
da
ciascun
artista
con
una
certa
originalità.
Presepe
Cuciniello
(pastori
di
XVIII
secolo,
scoglio
di
Michele
Cuciniello),
1879.
Napoli,
Museo
Nazionale
di
san
Martino.
Domenico
Antonio
Vaccaro
(1681-1750),
il
cui
nome
è
legato
al
Chiostro
di
Santa
Chiara
e la
cui
cifra
stilistica
si
caratterizza
per
un
certo
decorativismo,
Francesco
Celebrano
(1729-1814),
che
indugia
con
spiccato
gusto
del
grottesco
sulla
descrizione
delle
deformità
e
Giuseppe
Sanmartino
(1720-1793),
delicato
autore
del
Cristo
velato
della
Cappella
San
Severo
a
Napoli,
i
cui
lavori
costituiscono
una
summa
di
labor
limae
e
pathos
in
perfetto
equilibrio.
Persino
il
mondo
animale
partecipa
attivamente
all’azione,
popolando
variamente
la
scena,
e
alla
realizzazione
di
esso
si
dedicano
in
maniera
esclusiva
personalità
quali
Nicola
Vassallo,
Tommaso
Schettino,
Francesco
Gallo,
solo
per
citare
i
più
noti.
Con
l’Ottocento
si
assiste
a
una
ulteriore
riduzione
delle
dimensioni
dei
pastori
a
una
ventina
di
centimetri
e
alla
scomparsa
delle
“vestiture”,
sostituite
da
una
modellazione
delle
figure
a
tutto
tondo:
se
già
il
Sanmartino
aveva
felicemente
tentato,
con
la
Notte
Santa
ora
a
Monaco,
un
esperimento
su
modellato
intero
concepito,
però,
come
esperienza
artistica,
nel
secolo
scorso,
le
motivazioni
si
rivelano
soprattutto
di
natura
pratica
ed
economica.
Giuseppe
Sanmartino,
Notte
Santa,
terracotta
policromata,
metà
XVIII
secolo.
Monaco,
Museo
Nazionale
Bavarese.
Parallelamente
continua
la
produzione
di
pastori
“a
terzina”,
con
una
relegazione,
nella
maggior
parte
dei
casi,
a
riproduzioni
da
calchi
operati
su
figure
d’autore,
mentre
sul
finire
del
secolo
si
avvia
una
produzione
di
pastori
destinati
agli
sfondi:
di
piccole
dimensioni,
le
cosiddette
“moschelle
a
pettolelle”
svolgono
il
compito
di
conferire
alla
realtà
scenografica
maggiore
spazialità
e
profondità.
L’etimologia
è
strettamente
legata
al
territorio
partenopeo,
facendo
riferimento
il
primo
termine
alle
ridotte
dimensioni
e il
secondo
alla
“pettola”,
tipica
sfoglia
di
pasta:
le
“moschelle”
risultano
infatti
caratterizzate
da
uno
sfoglio
di
creta
simulante
la
vestitura.
Il
XIX
secolo
rappresenta,
in
ogni
caso,
un
periodo
di
stasi,
se
non
addirittura
di
crisi
della
produzione
artistica,
che
si
adagia
in
una
stanca
e
ostinata
riproposizione
di
schemi,
anche
se
il
presepe
entra,
in
maniera
prepotente,
in
ogni
casa.
Dapprima
plasmate
a
mano,
le
statuine
divengono
più
a
buon
mercato
quando
la
serialità
legata
al
sempre
più
largo
utilizzo
dello
stampo
permette
di
ottenere
prodotti
dozzinali,
ma
anche
economicamente
molto
più
accessibili:
il
mercato
inizia
dunque
a
far
fronte,
in
modo
massiccio,
alle
richieste
di
un
pubblico
sempre
più
popolare.
Agli
artisti
di
un
certo
calibro
che,
unici
fino
a
questo
momento,
hanno
risposto
alle
aspettative
di
un
pubblico
culturalmente
ed
economicamente
più
elevato,
si
affiancano
gli
artigiani,
pronti
a
soddisfare
richieste
più
umili.
La
semplicità
delle
materie
prime,
quali
creta,
fil
di
ferro
e
canapa,
maggiormente
economiche
rispetto
al
legno,
la
velocità
di
esecuzione,
la
riduzione
delle
dimensioni
e la
possibilità,
per
un
pubblico
meno
esigente,
di
ricorrere
a
calchi,
contribuiscono
a
una
maggiore
accessibilità
dei
prezzi
e,
conseguentemente,
a
una
più
larga
diffusione
del
presepe.
L’attività
del
“figuraro”
o
“pastoraro”,
in
precedenza
documentata
come
filone
parallelo
a
una
professionalità
artigiana
di
tipo
differente
e
costituente
la
fonte
di
reddito
principale
per
l’intero
anno,
diviene
attività
esclusiva
di
produzione
dei
pastori,
mentre
la
plastica,
ultima
innovazione
adottata
nel
progressivo
processo
di
standardizzazione
e
diffusione
del
presepe,
regala
a
quest’ultimo
il
vantaggio
dell’infrangibilità,
ma
anche
del
definitivo
appiattimento,
scrivendo
l’ultimo
atto
di
questa
millenaria
tradizione:
anche
se
non
più
artisticamente
rilevante,
il
presepe
entra
davvero
in
ogni
casa.
E se
nella
prima
metà
del
Novecento,
così
come
genialmente
rappresentato
nella
commedia
Natale
in
casa
Cupiello
da
Eduardo
De
Filippo,
è
ancora
il
presepe
a
essere
indiscusso
protagonista
delle
Feste,
non
così
nell’ultima
parte
del
secolo:
non
si
può,
infatti,
affermare
che
la
presenza
di
una
rappresentazione
della
Natività
sia
oggi
elemento
simbolico
indispensabile
e
imprescindibile
nelle
case
nel
corso
delle
festività
natalizie,
sostituita
sovente
com’è
dall’albero
di
Natale.
Ma
la
dicotomia
presepe/albero
può
non
essere
considerata
del
tutto
veritiera
se
riletta
(e
ricomposta)
attraverso
un’antica
leggenda
medievale
affidata
alla
memoria
dall’opera
di
Jacopo
da
Varazze
con
la
sua
Legenda
Aurea
(contenente
al
suo
interno
la
Leggenda
della
Vera
Croce).
In
essa
si
narra
del
pollone
dell’Albero
della
Vita,
consegnato
dall’Arcangelo
Michele
a
Set
in
risposta
della
richiesta
del
padre
Adamo,
ormai
prossimo
alla
morte,
di
ottenere
l’olio
della
misericordia,
viatico
di
una
morte
serena.
Il
germoglio,
posto
nella
bocca
di
Adamo
al
momento
della
sua
sepoltura,
attecchendo
e
radicandosi
all’interno
del
teschio,
cresce
e si
sviluppa,
divenendo
un
albero.
Ritrovato
in
seguito
da
Salomone
e
abbattuto
per
essere
impiegato,
secondo
i
desideri
del
re,
nella
costruzione
del
Tempio
di
Gerusalemme,
non
riesce
a
trovare
una
giusta
collocazione
nel
cantiere,
perché
inspiegabilmente
sempre
o
troppo
lungo
o
troppo
corto,
tanto
da
non
poter
essere
utilizzato.
Si
decide,
così,
di
gettarlo
su
un
fiume
in
guisa
di
passerella,
ma
la
regina
di
Saba,
trovandosi
a
passare
per
il
ponte,
ne
riconosce
l’origine
e ne
profetizza
il
futuro
utilizzo.
Salomone,
messo
al
corrente
della
profezia,
decreta
l’interramento
della
trave,
fin
quando
nel
corso
della
Passione
di
Cristo,
rinvenuta
dagli
Ebrei,
essa
trova
il
suo
utilizzo
come
Legno
della
Croce.
Il
progetto
di
Salvezza
è
completo
in
questa
simbolica
ringkomposition
ove
l’albero
che
ha
visto
l’origine
del
peccato
partecipa
alla
sua
definitiva
sconfitta
attraverso
il
sacrificio
di
Cristo.
Sotto
questa
luce
non
sarà
poi
così
profano
il
ritrovarlo
nelle
case
in
periodo
natalizio,
forse,
anzi,
il
luogo
più
adatto
per
la
disposizione
del
presepe
sarebbe
proprio
ai
piedi
di
esso,
simbolico
ricordo
dell’origine
e
del
compimento
dell’opera
di
Redenzione
che,
senza
il
momento
centrale
della
Nascita,
mai
sarebbe
stato
realizzabile.
Riferimenti
bibliografici:
Presepi
artistici
e
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a
cura
di
L.
Zeppegno,
I
Documentari,
De
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Novara
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Presepi
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nei
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Lapidario
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Otto
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Il
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Dalle
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Di
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Il
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Jaka
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Milano
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con
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“Archeo
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Istituto
Geografico
De
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1985.